DI GUGLIELMO PIOMBINI
In un post di qualche giorno fa, Marco Rossi, ha scritto che nelle attuali democrazie la produzione di ricchezza e il potere politico sono disallineati come ai tempi dell’antico regime, quando il potere era in mano agli aristocratici, rentier ormai parassitari che non producevano valore economico né fornivano più protezione tramite la forza militare.
Anche oggi chi produce non ha potere potere politico, mentre chi non produce controlla l’apparato dello Stato.
“Nei paesi sviluppati – ha osservato Rossi – la redistribuzione ha reso possibile la creazione di un gigantesco welfare, che ha permesso a masse sterminate di tenersi fuori dalla produzione e vivere grazie al valore estratto dai sempre meno produttori, la cui libertà è sempre più coartata. Oggi in Italia lavora una persona su tre, per capirci. Le altre due vivono grazie all’estrazione di valore dal povero terzo lavoratore, sempre più oppresso da un sistema che lo mette sistematicamente e inevitabilmente in minoranza e lo schiaccia, privandolo nel processo della libertà di agire e di godere dei frutti della sua fatica. La democrazia a suffragio universale con uguaglianza di voto ha finito per replicare esattamente la situazione che era nata per superare: chi produce non ha potere; il potere è interamente concentrato nelle mani di rentier parassiti. In questo esito non c’è né giustizia né equilibrio né sostenibilità né futuro. Il sistema in ogni caso collasserà: il Venezuela non ne è una patologia ma il suo logico epilogo. È tempo di abbandonare il dogma democratico, che ha esaurito il suo ruolo storico positivo e propulsivo ed è ormai una cancrena, ed elaborarne uno nuovo e allineato alle esigenze dell’oggi e del domani”.
Ci sono pochi dubbi sul fatto che oggi in Italia il potere sia completamente in mano ai ceti che vivono di spesa pubblica. Altrimenti come si spiega il fatto che i produttori che alimentano le casse dello Stato vengano colpiti quasi ogni giorno con nuovi obblighi, nuovi adempimenti, nuove imposte, nuove sanzioni? L’obbligo di fattura elettronica è solo l’ultimo degli esempi. A questo riguardo, solo un deputato (Galeazzo Bignami) ha fatto un intervento di buon senso denunciandone il carattere vessatorio. Tutti gli altri parlamentari, per quanto ne so, sulle questioni fiscali sono completamente allineati con le ragioni dei burocrati dell’Agenzia delle Entrate e dei consumatori di tasse.
Fino a trent’anni fa, però, non c’era tutto questo disallineamento tra produzione e potere politico. Il ceto produttivo riusciva in qualche modo a far sentire la propria voce, a far valere almeno in parte le proprie ragioni, a difendersi politicamente. Poi la situazione è precipitata. Cosa è successo?
Innanzitutto sono cambiati i numeri: i consumatori di tasse sono diventati molto più numerosi, mentre i produttori di tasse si sono ridotti di numero. La forza elettorale dei primi quindi è molto cresciuta a danno dei secondi.
In secondo luogo c’è stata una forte controffensiva ideologica che ha esaltato, anche a livello popolare, alcune categorie legate allo Stato. La Rai, ad esempio, ha trasmesso in questi anni numerosi sceneggiati che hanno come protagonisti commissari di polizia, marescialli dei carabinieri, magistrati antimafia, insegnanti della scuola pubblica, medici del servizio sanitario nazionale, pensionati retributivi (es. nonno Libero interpretato da Lino Banfi, ex sindacalista dei ferrovieri), mentre è rarissimo trovare figure positive di imprenditori, artigiani, commercianti, partite iva, e perfino di tecnici e di operai.
Anche questo fattore culturale ha favorito la caduta in disgrazia dei ceti produttivi.
Che tristezza e il guaio è che non accenna neanche il cambio di tendenza. Il Grande Marchionne diceva che stiamo creando una società che vuole solo diritti e così continuando di diritti moriremo
Peccato che il Grande come dici tu, e per carità non entro nel merito delle sue indiscutibili capacità manageriali, lavorasse per ciò che di peggio potesse esserci nel mondo imprenditoriale italiano, perdite socializzate e profitti privatizzati, se lo sarebbe dovuto ricordare qualche volta.
Tale situazione non è tipica solo dell’Italia, ma anche di altri paesi europei bancarottieri . L’idea è quella di unire le forze sotto la bandiera di un’Europa Unita politicamente e fiscalmente, in modo da condividere i loro costi interni , non più sostenibili , con le nazioni dove ancora si produce ricchezza. La logica sottostante è : finché c’è qualcuno da spolpare c’è speranza. E’ per questo motivo che le caste parassitarie diffondono a reti unificate la narrazione che la colpa è della Germania, o della speculazione, e del neoliberismo . Serve a convincere l’opinione pubblica che “Più Europa” é la soluzione ideale. Che insieme si vince. Che i nemici sono esterni. Al contrario nemici sono tutti interni .
L’altra soluzione che sta emergendo ultimamente è quella di lasciare l’Unione Europea e “risolvere” il problema con la sovranità monetaria, creando ex novo i soldi che i produttori di ricchezza non riescono più a fornire. E’ la soluzione populista. Peccato che conduca a scenari venezuelani o turchi. L’unica soluzione reale e possibile, sarebbe quella di ridurre la casta parassitaria, consentendo ai produttori di ricchezza di tornare in maggioranza e
lasciarli in pace, con poche tasse e molte meno regolamentazioni che soffocano il loro entusiasmo imprenditoriale.
Ma come si fa utilizzando i normali strumenti democratici , se la maggioranza assoluta vota per le due soluzioni precedenti ?
E’ impossibile . La soluzione è individuale.
Non si può parlare nemmeno di maggioranza assoluta, un 30% circa degli aventi diritti al voto ha scelto gli sciroccati anarcocomunisti che governano con i sovranisti al 19% sempre degli aventi diritto al voto……. qui è la minoranza assoluta che sta decidendo, con i soldi della maggioranza assoluta dei risparmiatori, quella sì.
E’ solo una questione di tempo: I soldi degli altri, prima o poi, finiscono!