di GIOVANNI BIRINDELLI
Ieri parlavo con un anziano giardiniere. Mi diceva che la manutenzione dei giardini “pubblici” di Piazza Santa Maria Novella, a Firenze, per sei mesi l’anno (quelli estivi, in cui la buona manutenzione è molto più complessa che nei mesi invernali) è pagata e gestita direttamente dagli imprenditori privati che hanno negozi che si affacciano sulla piazza.
Per qualcuno, esempi concreti come questo (o come la famosa analisi di Coase sul finanziamento dei fari in Inghilterra) servono più della teoria per ridere della domanda: “se lo stato non costruisse le strade, chi le costruirebbe?”. In altri termini, per ridere di quelli che con faccia seria sostengono l’esistenza di “beni pubblici”: beni e servizi a cui persone danno valore ma che, in quanto non escludibili (le strade lo sono, tra l’altro), molti ritengono che possano essere finanziati solo attraverso l’interventismo statale (cioè l’aggressione alla proprietà privata e alla libertà) .
Prima di bitcoin, erano solo gli economisti della Scuola Austriaca a ridere della tesi secondo cui l’unico denaro possibile sarebbe quello di stato (un denaro disonesto, il cui uso è imposto con la violenza, e che costituisce una delle grandi cause delle crisi economiche strutturali e cicliche). Oggi, dopo bitcoin, è sempre più difficile trovare qualcuno che abbia voglia di esporsi al ridicolo sostenendo quella tesi.
Se le strade potessero essere costruite e detenute privatamente in forma distribuita, anonima e incensurabile, lo sarebbero. E i sostenitori dell’esistenza dei “beni pubblici” (non pochi dei quali si autodefiniscono “liberali”) si autocensurerebbero per non esporsi al ridicolo, invece di pontificare su manuali universitari di “politica economica”.
Purtroppo, le strade non potranno mai essere costruite e detenute privatamente in forma distribuita, anonima e incensurabile. Tuttavia il principio di non aggressione, che consente il libero mercato ovunque (e quindi anche nel settore della costruzione e manutenzione delle strade), può essere difeso privatamente in forma distribuita, anonima e incensurabile: non sostituendo formalmente la legislazione esistente ma affiancandola in modo informale, più o meno come bitcoin ha fatto col denaro fiat di stato.
Prima o poi, questioni di legittimità a parte (che tagliano sempre la testa al toro), anche i fan dei “beni pubblici” si autocensureranno per non esporsi al ridicolo. La teoria li ha esposti al ridicolo già da parecchio tempo; tuttavia, per autocensurarsi a loro serve che sia la realtà concreta a esporli al ridicolo. Lo farà. Ha già iniziato a farlo.
Comunque, prima di avventurarsi sui beni pubblici (intesi tali secondo la teoria dei manuali di economia), personalmente punterei l’attenzione su beni che evidentemente pubblici non sono in quanto rivali e facilmente escludibili, che però vengono trattati come tali dallo statalismo imperante. La scuola è l’esempio più importante, a mio avviso, ma gli scempi dell’amministrazione pubblica su beni che pubblici non sono ritengo sia incommensurabile.
Marino? Ma no, Eridanio, il sindaco di Firenze è Nardella. E quello di Marino è Colizza. Da me a Roma, poi, Marino non c’è più. Al suo posto c’è una…virginea avvocata. Tre esemplari di vuoto pneumatico?
D’accordo. Rimane il problema del quando.
Il quando è per me solo certo dal punto di vista teorico. Per la realtà il futuro dipende proprio dallo svolgersi del presente e quindi l’ “AN” futuro dipende dal “QUOMODO” presente.
Col vuoto pneumatico che circola nelle zucche dico “AN” … ANvedi, ecco Marino…
:-)
Può far impressione quel “MAI”, caro Colla, per quella caratteristica di indefinibile e frustrata attesa. Se però ci pensa un po’ forse lo potrà anche vedere come un aspetto secondario rispetto alla creatività che si apre come prospettiva di sperimentare nuove forme e convenzioni di natura privatistica. Queste potrebbero affiancare la legislazione corrente superandola, vedendo l’archetipo della proprietà pubblica perdere di intensità in favore di una evoluzione del diritto più caratterizzato dalla organizzazione funzionale della fruizione di un bene.
La proprietà privata ed i diritti reali di godimento sui beni rimangono l’unico modo per muovere quelle ed altre risorse per cambiare la realtà che ci circonda senza necessità di mettere in atto o subire odiose servitù o imposizioni.
Tragedia dei beni comuni. Se anche i mari fossero privati di certo sarebbero meno inquinati, così si potrebbero continuare a mangiare le vongole e le cozze, come se non ci fosse un domani. Invece di rischiare di ritrovarsi a gustare delle linguine al carburante , come mi è capitato l’anno scorso in un ristorante sull’adriatico.
Bravo il Ciccio benestante che sgavazza al ristorante.
Come no, dopo gli avana e la terrazza ci sta bene.
Continua a raccontarci la favola bella che ieri ti illuse e che oggi ti illude o Ermione. (nel tuo caso non è Ermione, ma fa comunque rima)
Non sarei pessimista sul fatto che le strade “non potranno MAI essere costruite e detenute privatamente”. Arriverà anche quel momento. Prima o poi, come dice Birindelli. Ma quanto ci vorrà?