DI MATTEO CORSINI
Da qualche giorno Luigi Di Maio, che fa il ministro del Lavoro (sic!), va ripetendo che il primo decreto si chiamerà “decreto dignità”.
Secondo Di Maio l’obiettivo è “permettere a chi lavora di scegliersi un lavoro dignitoso.”
Obiettivo che sarebbe raggiunto a partire da un “progetto organico di ristrutturazione dei centri per l’impiego”.
Che sarebbe poi, secondo i programmi pentastellati, il passaggio propedeutico all’introduzione del reddito di cittadinanza.
Credo ci sia un problema: quello che è dignitoso per una persona potrebbe non esserlo per un’altra, trattandosi di un concetto soggettivo. Quindi chi stabilisce cosa è dignitoso?
Se ha diritto a farlo la singola persona, il percettore del reddito di cittadinanza in teoria potrebbe continuare a rifiutare opportunità di impiego (tutte poi da verificare, se è vero che i centri pubblici per l’impiego “trovano” 3 lavori su 100) senza perdere il diritto al reddito stesso.
Se lo fa il ministero del Lavoro o qualche altro apparato burocratico, potrà sempre esserci qualcuno che ritiene non dignitoso il lavoro che gli viene offerto. E costui troverà sempre un Di Maio più Di Maio di Luigi pronto a perorarne la causa in campagna elettorale.
Vorrei sbagliarmi, ma ritengo ampiamente probabile che la riforma dei centri per l’impiego finirà per dare un lavoro (dignitoso, per carità!) per lo più a chi in quei centri lavorerà.
Altri consumatori di tasse in arrivo.
Un altro centro di arbitrio e spesa pubblici.