DI GIOVANNI BIRINDELLI
Un modo per reagire simbolicamente al “reddito di cittadinanza” (ma più in generale alla redistribuzione delle risorse*) potrebbe essere quello di istituire una ONLUS che permettesse ai pochi libertari esistenti di devolvere il 5 x 1000 delle tasse che essi non riescono a sottrarre al fisco ai più ricchi fra i miliardari: diciamo il “top 1%”, quelli a cui lo stato estorce più di quanto estorca al “bottom 90%” (https://taxfoundation.org/top-1-percent-pays-more-taxes-bo…/). Questo sarebbe anche, e primariamente, un modo di fare un gesto simbolico di solidarietà e di riparazione nei confronti di quel top 1%. Un modo per dire loro: “not in my name”.
Naturalmente, non tutti i miliardari potrebbero accedere a questa riparazione: solo quelli che, per esempio, potessero dimostrare di non aver mai partecipato attivamente alla coercizione fiscale (p. es. ricoprendo un incarico nella macchina statale); oppure che la loro prosperità non derivi da commesse ‘pubbliche’ o da scambi (anche fra privati) resi inevitabili a causa dell’azione coercitiva dello stato.
Certo, una semplice associazione di beneficienza privata che operasse direttamente e anonimamente in bitcoin sarebbe più coerente e più pulita. Ma farebbe meno incazzare gli statalisti, che in questo modo non vedrebbero risorse che potrebbero andare allo stato andare invece alle persone straricche (per questo, a una ONLUS di questo tipo non darebbero mai l’autorizzazione di accedere al 5×1000).
Un obiettivo secondario di questa associazione che non ci sarà mai sarebbe anche quello di ricordare le contraddizioni e confusioni di fondo degli statalisti.
Una di queste contraddizioni (morale) è il fatto noto che l’imposizione fiscale è un atto di saccheggio che inoltre, a differenza di quello commesso dal comune ladro, viola anche il principio di uguaglianza davanti alla legge (che invece gli statalisti e la loro costituzione pensano di difendere). E lo fa ancora di più quando l’imposizione fiscale è progressiva.
Un’altra di queste confusioni (economica) riguarda l’utilità marginale decrescente. La confusione su questo concetto è una di quelle che stanno alla base di tutte le velleità redistributive dei collettivisti e della loro invidiosa incazzatura per le “disuguaglianze”.
Il principio di utilità marginale decrescente è una legge economica (scientifica) che stabilisce, in buona sostanza, che, al crescere delle centinaia di euro che Tizio possiede, diminuisce l’importanza (in gergo l’“utilità”) che per lui (!) hanno cento euro**.
Ora, i collettivisti fanno confusione fra questa legge economica (compatibile con la teoria soggettiva del valore) e l’imbecille cialtronata (naturalmente incompatibile con la teoria soggettiva del valore, quindi priva di alcun senso economico scientifico) secondo la quale, posto che Tizio sia più ricco di Caio, cento euro per Tizio hanno per lui un’utilità minore di quella che gli stessi cento euro hanno per Caio.
Il fatto statistico che molto spesso sia così non altera di una virgola la legge economica in base alla quale non deve affatto necessariamente essere così e anzi accade spesso che non sia così. E soprattutto non altera di una virgola la Legge morale (il principio di non aggressione) che impedisce a chiunque di violare la proprietà di chiunque altro per qualsiasi motivo.
Tornando a quell’associazione, una delle ragioni per cui essa farebbe incazzare parecchio i collettivisti è proprio il fatto che essi fanno questa confusione fondamentale fra principio scientifico dell’utilità marginale decrescente e cialtronesca tecnica di giustificazione dell’invidia. Per loro, l’azione di una persona di reddito medio che donasse cento euro a un miliardario invece che a un bisognoso (e, ancora peggio, che facesse questo attraverso lo stato col 5×1000), sarebbe “immorale” ed economicamente distruttiva (perché, in base al loro pensiero anti-scientifico e aggressivo, ridurrebbe “l’utilità generale”). I pochi che hanno familiarità con la filosofia della libertà e con l’economia intesa come scienza dell’azione umana sanno che non solo questa azione sarebbe assolutamente legittima (cosa che non è qualsiasi misura redistributiva statale) ma anche che la seconda obiezione (quella che ridurrebbe l'”utilità generale”) sarebbe priva di senso non solo perché l'”utilità generale” è un non-senso logico ma anche perché, come abbiamo accennato, le utilità individuali non possono essere comparate (e ancora meno misurate).
Attaccando simbolicamente la redistribuzione delle risorse, quello scandaloso gesto di solidarietà e di riparazione attaccherebbe (sempre solo simbolicamente) una delle cause del declino economico di lungo periodo scientificamente determinate e di cui le socialdemocrazie fanno sempre maggior uso***.
Tuttavia, una cosa è studiare, ragionare, scrivere e parlare, e un’altra cosa è agire. L’azione è sempre molto più largamente percepibile della parola, quindi l’eco dell’“andatevi a farvi fottere” sarebbe più ampio.
NOTE
(*) Ancora più in generale, alla progressività fiscale, prevista in Italia dall’articolo 56 della costituzione; e in ultima istanza allo stato e alle idee di ‘legge’ e di ‘uguaglianza davanti alla legge’ su cui esso è basato.
(**) Questo a causa del fatto che ogni essere umano, che se ne renda conto oppure no, agisce in base a una scala di priorità individuali. In altre parole, Tizio utilizza le prime centinaia di euro che entrano in suo possesso per soddisfare i bisogni che per lui sono più importanti. Le seconde centinaia di euro per soddisfare i bisogni subito successivi nella sua personale lista, e così via. La soggettività del valore (legge scientifica complementare a quella dell’utilità marginale decrescente) ci dice che ogni persona ha priorità e preferenze diverse dalle altre.
(***) Con questo non voglio dire, naturalmente, che sarebbe sbagliato donare ai bisognosi. Al contrario: la solidarietà (volontaria) è un caposaldo del capitalismo e non c’è dubbio che, oltre un certo punto (variabile fra persona e persona e inconoscibile), più si sale nella lista delle priorità individuali, più è difficile trovare differenze fra le priorità dei singoli individui. Una donazione a una persona povera potrebbe aiutarla molto, mentre una donazione a una persona ricca sarebbe probabilmente (non necessariamente) per essa poco rilevante. Ma la donazione a cui faccio riferimento non sarebbe diretta ad aiutare direttamente una persona, ma un principio morale e una legge economica la cui sistematica violazione da parte dello stato aumenta, nel lungo periodo, il numero di persone in stato di difficoltà economica.
Per fortuna questa cosa rimarrà una provocazione grazia alla sua non attuabilità.
Un movimento che si ispira a gente come Thoreau, una specie di Diogene moderno, non dovrebbe preoccuparsi di dare un “contributo spese” (poichè questo in realtà sarebbe) a gente che non ne ha minimamente bisogno.
TRA L’ALTRO DI SUPER RICCHI NON CRONY CAPITALISTS NON CREDO NE ESISTANO.
I super ricchi non stanno certo a farsi pelare dal fisco; con i migliori tributaristi sulla piazza, le sovvenzioni a partiti per leggi di favore, i trusts giusti, holdings, cartiere e paraventi vari, delocalizzano, eludono ed abbattono gli imponibili del voluto: costa molto ovviamente, ma se le cifre in gioco sono alte vale la pena.