DI PIETRO AGRIESTI
Mentre la Germania incarcera Puidgemont, voglio dire che sono a favore dell’indipendenza della Catalogna. E più in generale sono a favore di ogni indipendenza e di ogni secessione per principio, perché mantenere il controllo di un territorio contro il volere dei suoi abitanti, è sostanzialmente un’occupazione militare.
Gli Stati sono nati, quasi sempre, sopra le teste dei cittadini: sono nati da guerre, annessioni, conquiste, accordi diplomatici, matrimoni fra reali, etc… Non sono comunità volontarie, ma esempi di integrazione forzata.
Lo vediamo plasticamente rappresentato nelle vicende catalane, nella Spagna che prima manganella chi vota per l’indipendenza e poi arresta e perseguita gli indipendentisti.
La Storia non si può disfare, ma uno dei modi per correggere, in parte, questa stortura è il riconoscimento del principio di secessione, che renderebbe gli Stati un po’ più simili a comunità volontarie.
Prima del problema di come un gruppo si organizza per prendere le decisioni che riguardano la collettività, c’è il problema di come quel gruppo si forma. Solo in una comunità volontaria si può dire a qualcuno “hai accettato di farne parte, e ora ne devi rispettare le regole”. Perché se non ho scelto di farne parte, vi sono stato annesso a prescindere e non ho la possibilità di chiamarmene fuori, quelle regole non le ho mai accettate e mi vengono semplicemente imposte con la forza. Democratiche o meno che siano.
La secessione è un principio civilissimo, che ogni Costituzione, ogni Stato, ogni ordinamento giuridico, ogni istituzione internazionale dovrebbero riconoscere. Cosa c’è di più civile che ammettere la possibilità di separarsi? Cosa c’è di meno civile che voler mantenere in piedi una relazione con la violenza?
Idealmente la secessione è solo la declinazione particolare di un principio più generale che vuole ogni relazione umana (affettiva, sessuale, religiosa, economica, finanziaria, politica,..) pacifica, volontaria, contrattuale e che si applica tanto a livello individuale, quanto a livello collettivo e politico.
E come il divorzio è anche un modo per evitare tante tragedie familiari, così la secessione è un modo per evitare tante tragedie umane: guerre, ribellioni, terrorismo, e così via. Oltre un certo punto, è essenziale che sia possibile separarsi e andare ognuno per la sua strada, anziché continuare a convivere in un clima sempre più conflittuale.
E ricordiamoci che non è la fine di una relazione, ma il suo mantenimento, che richiede il consenso di entrambe le parti. Quando anche solo una delle due parti in gioco non vuole più tenere in piedi la relazione, questa si scioglie, per quanto possa essere doloroso, per quante difficoltà ne possano seguire, per quanto ce ne si possa sempre pentire in un secondo momento, per quanto tutto il mondo possa ritenere questa decisione sbagliata.
Che possibilità aveva uno schiavo di essere libero in un mondo che accettava la schiavitù? Sì qualcuno poteva scappare ma è in un mondo che la rifiuta che gli schiavi in generale possono essere liberi. È quindi l’idea della secessione che deve passare perché non si tratti di uno che delocalizza, o compra una cittadinanza straniera, o va a vivere sull’isola della rose o nei boschi o compie un raro gesto di disobbeddienza spesso destinato a finir male. La battaglia della idee insomma è una cosa più concreta di quel che sembra alla prima impressione.
Hai finito gli avana.
La terrazza è crollata.
La famigghia non c’è più.
Che sfiga.
Nel mio piccolo non vorrei più essere cittadino italiano. Come devo fare?
Il punto è che la secessione è un’idea normale, pacifica, financo banale e pure riconosciuta in altri ambiti. Non ha nulla di eversivo, non è il caos, non è neppure strampalata o radicale.. è puro buon senso, è se mai un fattore di ordine, è un fatto di civiltà. È questo che deve passare. Come è passata l’idea del divorzio, quella del rifiuto del colonialismo (+o-) o dell’abolizione della schiavitù. La possibilità di separarsi, dalla Spagna, dall’Unione Europea, dall’Inghilterra.. deve essere concepita da tutti come una cosa quasi scontata. Quando sarà passato questo il contrario sembrerà ripugnante e barbaro come oggi ci sembrano certe usanze islamiche o di tutti quei popoli che ci appaiono incivili.
I princìpi son belle parole. Sono una conquista che affascina l’immaginario collettivo, una scintilla.
Un apostrofo rosa tra le parole: “Cchiù pìlu …. pe tutt”.
Tali principi funzionano per adesione volontaria fondata sullo sforzo di assumere le responsabilità che lo stato storicamente si è incaricato di alleggerire dalla coscienza degli individui.
Qualcuno direbbe che bisogna “forkare” le istituzioni rendendole obsolete.
Assumere il costo di comprendere che lasciare l’incerto presente regolato per il futuro che incerto lo è per definizione non sembra difficile, ma è la differenza che passa dal sapere che il fumo fa male ed il conseguente abbandono del vizio. Quando è un vero vizio costa uno sforzo capitale.
Per separarsi da uno stato tirannico, violento e fisicamente manesco che opprime direttamente le carni della gente basta far leva sulle pance degli oppressi lasciare che accada quel che di sangue inevitabilmente verrà tinto. La disperazione chiama la furia.
I soggetti apicali son relativamente meno di uno stato moderno, le teste a rotolare sarebbero meno ed un Masaniello qualsiasi potrebbe agglutinare la rabbia e la difesa attiva dell’intangibilità dell’individuo.
Cessata l’emergenza tutto si sistema un po’ alla carlona fino alla prossima crisi. Molto meglio, ma non si va oltre ripetendo un canovaccio già conosciuto e consumato.
Separarsi invece dallo stato felpato moderno invece è ben più complesso. Non basta far perno sulla la pancia, il cuore e le altre frattaglie idealmente cooptate per il fine supremo. La resilienza dello stato moderno si fonda su centinaia di migliaia di vere posizioni di influenza dotate di potere frammentato ma puntuale che addomesticano con seducenti incentivi di irresponsabilità milioni di beneficiati secondari, non fossero altro che i parenti stretti.
La reazione bruta di liberazione porterebbe inevitabilmente ad un deprecabile genocidio o una pulizia ideologica che nulla ha a che vedere con l’ideale di liberazione originario. E’ dura ottenere un rilascio volontario dei lecca-lecca.
La violenza di bassa intensità ma ad alta pervasività, caratteristica dello stato moderno, e le tutele che lo stato moderno scrive, ma spesso non pratica con le sue sacre scritture legislative, non si possono rimuovere nemmeno con la forza bruta totale. Impossibile. La gente (fino al bambino che rimbrotta il genitore perché a scuola hanno spiegato che…) è stata anestetizzata con l’universale irresponsabilità in ogni ambito della vita.
Il lavoro, la salute, il cibo, l’educazione, i trasporti, la sicurezza personale e dei sacri confini, la moneta, la regolazione dei conflitti, gli scambi, la sepoltura, e sicuramente ne ho dimenticate altre, son competenze la cui responsabilità è passata innaturalmente dall’individuo allo stato. Secedere quindi diventa più una questione di testa che di frattaglie.
Ricostruire o riscoprire la volontaria convergenza su come riattivare un circuito interrotto di responsabilità, creatività, indagine e soluzione dei problemi senza ricorrere alla coercizione di nessuno si basa su un intuito informato. Non c’è bisogno di obbligare nessuno a fare alcunché, gli incentivi della divisione della conoscenza e della legge di associazione renderanno evidenti anche ad un cieco che le opzioni di libertà e cooperazione possono così moltiplicarsi in maniera esponenziale. L’intuito però ce la fa in molti casi spontaneamente, ma negli altri casi è necessario attendere il ritorno della comprensione che in ogni individuo si prende tutto il tempo che serve.
Quindi:
che le costituzioni risplendano di principi,
che le leggi li impongano, (?)
che i trattati internazionali li affermino,
che i cuori li anelino,
va bene ….ma piuttosto:
che le teste ragionino sulla complessità e l’articolazione della risposta concreta nel tempo e nel luogo, progressiva e volontaria.
Il libertarismo è una guida non esclusiva o indispensabile, ma le riflessioni libertarie si dovrebbero fondare sul disincantato studio del problema come è e non come vorremmo che fosse.
Niente scorciatoie! Niente – “Arriviamo fin li poi vediamo …intanto stiamo uniti!”
Anche un traguardo intermedio è sempre ben accetto solo se è chiaro il quadro generale.
Contare sulla desistenza il ravvedimento o la corale adesione a principi dello stato dal quale si vuole secedere e delle istituzioni internazionali mi sembra velleitario e soprattutto incauto e poco informato.
Che lo sforzo di scoprire e cambiare sia con voi.