DI MATTEO CORSINI
Donato Masciandaro è uno dei maggiori fans di Mario Draghi, del quale tesse un elogio ogni volta che scrive di politica monetaria. In merito alla “normalizzazione” della stessa, scrive Masciandaro:
“Quando inizierà la normalizzazione della politica monetaria da parte della Bce? Ci sono dei costi nel continuare ad attendere? C’è da scommettere che chi è impaziente, e non ama la strategia decisa da Mario Draghi e dal suo consiglio, utilizzerà presto un nuovo argomento per criticarlo. Cioè: gli effetti negativi sulla produttività di una politica monetaria troppo espansiva per troppo tempo.”
Masciandaro giunge subito alla conclusione: “sarebbe una accusa temeraria ed acerba.”
“La tesi è che una politica monetaria troppo espansiva ha un effetto diretto e negativo sulle variabili reali, inclusa la produttività. Per almeno due diverse ragioni. Da un lato, la catena che parte dal presunto eccesso di politica monetaria alla anemia della produttività ha il suo anello cruciale nel meccanismo delle aspettative. Finché una banca centrale – è questo il ragionamento – continua ad accompagnare, invece che anticipare ed annunziare, il ritorno ad un profilo normale delle variabili reali e nominali, la scintilla che si accende nelle famiglie e nelle imprese che spinge a spendere e/o ad investire continua ad essere flebile. In altri termini, la politica monetaria troppo espansiva intacca direttamente la capacità di crescita dell’economia.”
Masciandaro non pare essersi accorto che la politica monetaria espansiva ha gonfiato per lo più i prezzi degli asset finanziari, ma non ha promosso un aggiustamento dell’economia reale. Al contrario, l’ha ostacolato.
“Da un altro punto di vista – ed in parallelo – l’eccesso di politica monetaria produce ed accentua distorsioni nella parte finanziaria dell’economia. In particolare, avendo fiducia nelle capacità del mercato, finché la struttura dei tassi non viene riportata alla normalità, i comportamenti inefficienti di imprese, banche e governi trovano acque facili in cui navigare, rendendo più resilienti le sacche di inefficienza, e quindi contribuendo ai deficit di produttività.”
Che la compressione artificiale dei tassi di interesse e dei premi per il rischio ostacoli la riallocazione di risorse necessaria per superare una crisi dovrebbe essere evidente usando il semplice buon senso, dato che consente anche a imprese inefficienti di sopravvivere più a lungo.
Ma Masciandaro sostiene di no.
“Alla luce dei dati esistenti, la tesi dei falchi è temeraria, o quantomeno acerba. In ogni caso, al di là della sua robustezza, accoglierla significherebbe comunque una assunzione di rischio. Una accelerazione della normalizzazione – se basata su tali presupposti – sarebbe un atto rischioso. I banchieri centrali, anche per la natura del loro compito, tendono ad essere avversi al rischio. Quelli di Francoforte non faranno eccezione.”
C’è chi, come Claudio Borio della Banca dei Regolamenti Internazionali, sta studiando da anni gli effetti delle politiche monetarie espansive. Non credo ci si debba stupire nell’apprendere che i dati dimostrano che dove c’è stata una crisi di debito più intensa le banche tendono a fare “evergreening”, ossia continuano a fare credito a imprese in decozione, e a smaltire più lentamente i crediti deteriorati.
Ciò riduce le risorse a disposizione di nuove imprese e ostacola la riqualificazione delle persone, che restano impiegate per più anni in imprese senza futuro. Tutto questo abbatte la produttività, inevitabilmente.
Per inciso, Borio aveva tenuto un discorso sul tema a una conferenza un paio di giorni prima che comparisse l’articolo di Masciandaro, che non può far altro che sostenere, senza alcuna argomentazione, che “la tesi dei falchi è temeraria, o quantomeno acerba.”
Così facendo la politica monetaria sarà sempre relativamente espansiva: prima per non tarpare le ali alla crescita; dopo per tamponare gli effetti dello scoppio di una bolla.
Attualmente il cambio euro dollaro sembra essere guidato da un differenziale sui tassi forward a 2 anni tra le due valute che sconta un definitivo abbandono del qe da parte della bce e un ritorno a una politica monetaria “convenzionale” concentrata sul rialzo dei tassi.
Sinceramente questa visione del mercato mi sembra molto ottimistica dato lo stato attuale dei conti pubblici e dei bilanci bancari italiani (e non solo). Sono curioso.
I governi sono inflazionisti.
Le banche centrali ne sono complici, ed in più vogliono evitare ad ogni costo un calo di fiducia della gente nel sistema bancario commerciale, anch’esso inflazionista.
Non sarà facile per Draghi ridurre incisivamente il QE.
Lascerà la patata bollente al successore tedesco.
“La catena che PARTE (!) dal presunto (ari!) eccesso di politica monetaria all’anemia…” Partire all’anemia! Ecco perché quelli come Ciarlandaro non capiscono nulla di economia: non sanno nulla di grammatica e sintassi. E di senso compiuto oltre che di buon senso.