DI GIOVANNI BIRINDELLI
Leggo di gente che denuncia/querela altri per diffamazione.
Sul piano astratto, la possibilità stessa di farlo a mio parere è incompatibile con la libertà di espressione.
Libertà di espressione vuol dire libertà di espressione, così come proprietà vuol dire proprietà. Il principio di non aggressione richiede che entrambe siano rispettate in modo assoluto.
La libertà di espressione deve essere rispettata anche quando ciò che si afferma è ‘oggettivamente falso’ (le virgolette stanno a significare che spesso anche nell’affermazione più falsa possono esserci tracce di verità e viceversa): ci penserà il libero mercato delle idee a stabilire qual è la ‘verità’.
Premesso questo, quando vedo qualcuno che denuncia/querela qualcun altro per diffamazione, ho subito il sospetto che quanto affermato abbia forti elementi di verità. In altri termini, se qualcuno ha bisogno di ricorrere alla forza dello stato per convincere altri che una cosa negativa detta su di lui è falsa, allora vuol dire che lui stesso non è così sicuro che sia falsa.
Se un’affermazione che ti riguarda è falsa, la tua consapevolezza del fatto che lo sia è l’unica cosa di cui hai bisogno. Se hai bisogno anche di altro, allora dal mio punto di vista c’è qualcosa di te che non mi convince.
L’aggressività è innata (non solo nell’uomo) ma la violenza è una scelta condizionata da molteplici fattori sia interni (tipo patologie psichiatriche) che esterni (tipo subire violenza o crescere in un ambiente violento). L’aggressività può essere sfogata in altre vie che siano l’uso delle violenza ma se la società approva esplicitamente o tacitamente od anche solo tollera l’uso della violenza è abbastanza logico pensare all’innescarsi di un circolo vizioso (o forse meglio spirale che si avvita su se stessa sino alla distruzione) della stessa società in cui si ritroveranno solo due categorie: chi usa violenza e chi subisce violenza (e non è detto che una stessa persona non possa ritrovarsi in entrambe le categorie in momenti diversi, anzi è molto probabile).
E c’è anche la terza categoria, quella dei violenti contro se stessi (suicidi).
Chissà che un certo insano mentale multinick, noto per la lamentatio da femminuccia se solo ti permetti di sfiorare lui e/o i suoi cloni, non si iscriva prima o poi all’albo.
“L’aggressività è innata (non solo nell’uomo)”
Condivido, vedi “l’aggressivita’ – il cosiddetto male” di konrad lorenz.
Diciamo che l’aggressivita’ e’ inseparabile dallo spirito vitale, dalla volonta’ di sopravvivere del soggetto dell’intenzionalita’ (e dalla volonta’ di avere ragione, in campo memetico, presente in modo eclatante nel mondo internettiano dei blog).
Anche un’astratta burocrazia, o un principio costituzionale, rientra nella categoria.
Tutto sta ad incanalarla in modo che “suoni bene” per lo spirito del tempo: allora non e’ piu’ violenza, bensi’ azione benefica, ma qui non ci sono regole prefissate, il modo che “sta bene” dipende dal modo di vedere il mondo nel momento.
La violenza condivisa dallo spirito del tempo e’ considerata azione benedetta contro il male, e volta al bene.
Il problema degli uomini e’ che vivono in un mondo ricorsivo dove la complessita’ sfuggente domina, e proprio in quanto ci vivono, gli sfugge. Inutile ogni tentativo di porre sbarramenti: incanalare la vita in un sogno di perfezione non serve a preservarla, equivale a distruggerla. Ma anche questo fa parte del gioco.
Commento del menga, + da eridanio più che da diaz.
Ciccio, tra un lingua in bocca con te stesso e l’altro, trova il tempo di farti vedere da uno bravo.
@Pedante. Non so se la violenza sia peculiare alla specie umana. Forse sì, ma è altrettanto peculiare l’istinto alla rinuncia dell’esercizio della violenza sia per ragioni etiche che pratiche. Altrimenti la specie non esisterebbe più. C’è però una minoranza, trascurabile solo sul piano numerico, che non vi rinuncia e riesce a condizionare la vita degli altri. E anche la propria ma non lo capisce perché i tiranni, anche quelli solo potenziali, sono tutti deficienti. Purtroppo credo sia peculiare alla specie anche la debolezza, l’incapacità di reagire adeguatamente. Quando parlo di cause esterne mi riferisco a coloro che reagiscono in modo sbagliato per colpa di chi li ha maltrattati. E chi li ha maltrattati è il potenziale tiranno, colui che non sa trenere a freno i propri istinti quando ciò è necessario. Tutti i “no” dei libertari sono finalizzati ad alleggerire i compiti della gente. Quindi non siamo, come afferma Spago, troppo faticosi nei fini. Lo siamo sul piano culturale solamente perché il tiranno di cui sopra, ha vietato le palestre e di conseguenza il fisico si è indebolito per carenza di esercizio. Torniamo in palestra e il tiranno sarà abbattuto. Cercasi sempre Mecenate disponibile al finanziamento per la costruzione di palestre. Non quelle dei palestrati, però.
La maggior parte delle persone non da alcuna importanza alla libertà e all’indipendenza. Ciò che vuole sono la sicurezza e il benessere. Il rapporto tra libertà e benessere è complesso. La maggior parte delle persone è limitata intellettualmente, non ha spirito critico e inoltre ha semplicemente altro da fare e non vuole essere disturbata, da scocciatori venuti a dire che deve ripensare tutta la sua visione del mondo. Noi veniamo a dire no allo stato no alle tasse no alla costituzione no alla democrazia no alla banche centrali no al corso forzoso della moneta no all’interventismo in polituca estera no alla scuola pubblica no alla sanità pubblica no alla pensioni pubbliche no alle case popolari no alle leggi sul lavoro… siamo troppo faticosi. La gente ci manderà sempre a fanculo. Se abbiamo ragione o torto è accidentale, senza importanza.
Scherzo evidente. Anche Marx notava che il capitalismo e la borghesia avevano contribuito all’aumento del benessere. non per questo siamo marxisti, perché le conclusioni del trevireo (inteso come reo di essere nato a Treviri) sono opposte a quelle dei libertari. Idem per Rousseau. Ha ragione a dire che non nasciamo violenti ma ci diventiamo per cause esterne. Solo che le sue proposte ottengono proprio l’effetto contrario ai suoi non so quanto sinceri auspici. Vale anche per i rousseauiani dichiarati, quelli del Movimento Cinque Sporchi. Denunciano la corruzione e quella in effetti c’è. Ma le loro “soluzioni” servono solo ad aumentare la corruzione stessa.
“Vale anche per i rousseauiani dichiarati, quelli del Movimento Cinque ecc”
Pero’ anche loro, come lo stato ultraburocratico-vessatorio, ci sono, e dovremmo cercare di capire perche’. Senza eliminare le cause, ammesso che sia possibile in un modo che non sia solo apparente cambiando magari le denominazioni, o rimedio peggiore del male, e’ difficile che sparisca l’effetto.
“Cause esterne”? La violenza non è peculiare alla specie umana?
No. L’essere umano non è fatto così. Lo diventa perché è tendenzialmente debole e quelli “fatti così” sono più forti, spesso anche fisicamente. Qualora, comunque, fossimo tutti così, ci sarebbero gli anticorpi in una società senza stato. Prendiamola un po’ alla larga. Quando critico la scuola pubblica mi riferisco anche a quegli istituti privati, clericali e non, che seguono pedissequamente i programmi ministeriali. Non c’entrano nulla, questi ultimi, con l’istruzione autentica. La scuola dello stato pontificio era pubblica de facto, quella dello stato unitario seguiva le orme dei vari progetti Casati in cambio della legge delle guarentigie, quella dello stato corporativo era concordataria de iure, quella dello stato repubblicano era ed è buroconcordataria per dettato costituzionale con un articolo sette voluto da Togliatti e osteggiato dal più autenticamente laico Nenni. La scuola così come la conosciamo non si è adattata, è stata creata appositamente per creare il soldato obbediente pronto a immolarsi dannunzianamente per conquistare territori abitati da popolazione di lingua non italiana. Le cronache del dopo Nagasaki hanno consigliato un approccio diverso e la scuola è diventata un soggetto al servizio del mercantilismo. L’obiettivo non è l’efficienza. Caporetto sarebbe efficienza? La nostra campagna in Russia, anche? El Alamein? Marsala? I nostri paracadustisti in Congo? La morte di Filippo Montesi in Libano nel 1983 può essere considerata simbolo di efficienza delle nostre forze armate? Nassirya? Quanto alle fabbriche, l’efficienza reale la vede solo Gentiloni in una sua presunta ripresa delle esportazioni. L’obiettivo dell’apparente efficienza in fabbrica è finalizzato solo alle imprese di stato o partecipate. La scuola detesta l’impresa e non lo nasconde. Il sistema degli stimoli e delle ricompense (come delle sanzioni) non è solo ventennale o trentennale, non è colpa della riforma Berlinguer che pure ha diverse parti che non vanno. E’ da prima dello stato unitario che il sistema funziona così, col tempo si è solo “perfezionato”. A volte automaticamente, altre per intervento legislativo. I sessantottini non volevano abolire questa situazione, volevamno solo “promuovere tutti” per poter occupare meglio il potere e gestire quelle modifiche a loro vantaggio che sono state giustamente rilevate. Non volevano togliere alla scuola potere condizionante, volevano solo gestirlo in prima persona: in parole pratiche, sostituire i docenti legati alla Democrazia Cristiana con quelli legati al Partito Comunista o alle formazioni marxistoidi in genere. In un’unica parola, c’era il “no” alla repressione tranne che per i “nemici del proletariato” e “uccidere un fascista non sia mai reato”. I sessantottini del Fronte della Gioventù dicevano le stesse cose verso i “nemici della patria” (io la scrivo con la minuscola, come per lo stato). Gli insegnanti non vogliono creare consumatori per le fabbriche perché odiano la fabbrica, sparano sempre addosso al consumismo e ai consumi in genere. Tranne i consumi legati a certa editoria schierata, a certe agenzie di viaggio per visite di istruzione che di istruzione hanno solo il nome, a certe organizzazioni “solidali” che vendono maglie con l’effigie del fallito medico argentino – cubano; ossia il detestatore profondo della società dei consumi. E poi, anche questa è un’osservazione più che corretta, il mercantilismo serve anche a dar soldi ai gestori dei corsi per il “consumo consapevole”. Senza lo stato non si vivrebbe “comunque” in un campo di concentramento, non necessariamente. Se oggi si vive così anche nei luoghi di lavoro privati è proprio perché esiste lo stato, con la sua legislazione, con i suoi vincolismi esasperati ed esaperanti. Se i contratti di lavoro fossero liberi e non collettivi, il lavoratore avrebbe maggiore potere personale nel decidere di non lasciarsi trattare militarmente. La presenza dello stato non è a prescindere. Come nelle libere associazioni, quando qualcuno se ne va perché si sente emarginato, l’associazione si accorge spesso della perdita. E si accorge spesso anche che l’ex socio ha trovato dove associarsi in un’altra organizzazione. Lo stato, creando la disoccopazione, determina l’impossibilità di cercarsi un impiego da un’altra parte. Senza lo stato ci sarebbero migliori condizioni per evitare fabbriche organizzate militarmente, altro che somma invariata. E’ la legislazione a produrre caserme, il lavoro in sé ad essere comunque un fastidio quando non è quello desiderato; e quasi tutti, proprietari e non, attendono la liberazione con la data del pensionamento. Nonnismo nelle scuole professionali? Esiste anche nei licei e nella secondaria di primo grado. Guarda caso, le scuole sono quasi tutte pubbliche o parapubbliche (i burocrati le chiamano paritarie). E comunque è anche questione di educazione. Il nonnismo c’è anche nelle famiglie, forse non basterà abolire lo stato per eliminare questo fenomeno ma sarà sicuramente un passo avanti. Non si nasce vessatori ma se si viene rinchiusi in un gulag è facile che ci si incattivisca. Lysander Spooner aveva affrontato con decisione questo problema. Ripartiamo da lui, non da GIovanni Gentile. Perché fondamentalmente non siamo “fatti così”, non in natura. Se siamo deboli nei confronti di chi è “fatto così”, e i “fatti così” vogliono lo stato perché è l’unico strumento che gli garantisca l’esercizio della prepotenza, lo dobbiamo a qualche difetto della natura stessa. Se me la prendo con chi ci ha creati impotenti, divento blasfemo. Voglio tentare di evitarlo.
“non siamo “fatti così”, non in natura”
Insomma sei Rousseauiano.
Scherzo non prendertela, dammi il tempo di leggere bene e meditare attentamente il tuo piu’ che giustificato sfogo. :)
Io, al contrario, la vedo più come la vede Vetrioloblog. Persone convinte che senza stato si viva meglio ce ne sono, anche tra i giovani. Non fanno notizia, molti non si espongono perché il timore psicologico in questo momento è vincente. Ma esistono e questo rimane un punto importante. Se il numero di queste persone è ancora insufficiente, ciò è dovuto alla presenza del peggiore dei mortali nemici, del più infame dei virus: la scuola pubblica. Ideata per evitare che la gente pensi, riesce a svolgere brillantemente il suo ruolo. Il docente conformista sguazza, quello critico è emarginato. Nelle accademie può trovare spazio, a volte, anche il secondo ma ormai il danno è stato compiuto nei tredici anni precedenti. E’ questa la principale causa, non darei colpa alle macchine. A me piace girare i paesi medioevali e per questo uso l’automobile. Altri la usano per andare in discoteca, sempre lo stesso percorso e sempre per lo stesso obiettivo. Non è colpa dell’automobile ma dell’autista. Nessuno chiede di non discutere le macchine, si discutano pure ma razionalmente. Anche il telescopio è un macchinario. Se gli stessi che si rifiutavano di usarlo perché altrimenti dovevano dare ragione a Galileo lo hanno poi utilizzato per propositi bellici d’aggressione (da lontano si vede meglio il nemico), la colpa non è dello strumento né di Galileo. Prima delle macchine c’era chi si lasciava possedere dai guaritori, dai prosseneti, dagli indovini, dai Dulcamara e dalle sibille. Il meccanicismo è sempre esistito ed è comunque antecedente alla rivoluzione industriale. Anche prima delle macchine, molti avevano un unico schema di pensiero. Non si viveva meglio e i tiranni esistevano comunque. Anzi, la teorizzazione prasseologica dell’assolutismo risale al 1648. Il mezzo di comunicazione che stiamo usando per parlare tra noi è anch’esso un mezzo tecnologico. Può essere usato per creare false notizie, per sostenere che la libertà non sia possibile, per esaltare il despota di turmo o l’aspirante tale. Ma può essere un mezzo per risvegliare le coscienze intorpidite, per ricordare che Galileo aveva visto bene, per dimostrare che il libertarismo poggia su basi storico – filosofiche reali e soprattutto serie. Il vero guaio è che il cambiamento epocale non ha aumentato il potere della specie. Il potere è rimasto nelle mani di pochi sul resto della specie. Questo non a causa, bensì malgrado il progresso scientifico. Perché ad esso non si è accompagnato un autentico progresso politico, visto e considerato che la democrazia si è rivelata una farsa. Non ci sono stati effetti collaterali, c’è solo stata una continuità gestionale del potere con altri mezzi. Prima c’era il re per volontà divina, poi c’è stata la retorica dannunziana, oggi c’è l’uso della tecnologia ma riservato ai pochi “eletti” che dopo averla temuta se ne sono indebitamente appropriati. Sembra che tutti si possa agire tecnologicamente per ottenere qualsiasi cosa. In realtà proviamo a creare l’istituzione di un’assemblea costituente con la tecnologia, vediamo quanto consenso otteniamo. E se anche lo otteniamo, vediamo quanto questo consenso andrà ad incidere sulle decisioni che il potere reale comunque prenderà. Referendum con il novanta per cento di favorevoli all’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti? Si sostituisce il finanziamento pubblico con i rimborsi elettorali. Vincono i favorevoli all’abolizione del ministero dell’agricoltura? Gli si cambia nome chiamandolo delle risorse agricole e il gioco è fatto. Che c’entra in questo la macchina? Il meccanicismo mentale lo ha inventato e imposto il potere autocostituito. Non Galileo ma i suoi avversari avevano un unico schema mentale di riferimento. L’avversario meccanicista va affrontato con le armi giuste e soprattutto, cartesianamente, con metodo. L’avverbio “cartesianamente” si riferisce ovviamente solo alla strategia d’azione, non necessariamente a tutte le finalità. La grande causa della confusione è il voler continuare a contrapporre il pensiero umanistico a quello scientifico. Il contributo a questa insulsa e anticulturale contrapposizione lo ha dato in gran parte la riforma Gentile. Dovremmo smetterla di continuare a considerarla come la più efficace riforma del sistema scolastico perché è una gran bufala al pari della legge Casati. Ritengo si dovrebbe ripartire da qui. Forse, in questo, sto… pontificando. Vorrà dire che “se mi sbaglio mi corrigerete.”
Quello che dici sulla scuola, su cui ti do’ pienamente ragione (ma non vedo perche’ solo in quella pubblica, quando era appannaggio della chiesa non credo le cose andassero molto meglio), si puo’ criticare in simile modo nel meccanicismo (cio’ che la scuola da’ da un lato, prende dall’altro).
Ma la scuola si e’ adattata apposta per creare il cittadino adatto alla vita sociale altamente organizzata degli stati moderni, in modo che ne siano primariamente efficienti l’esercito e la fabbrica, che sono delle grandi macchine in cui il singolo uomo e’ solo un piccolo ingranaggio che se sgarra inceppa tutto il meccanismo, per cui viene severamente punito.
La scuola, non solo quella pubblica, col suo ormai almeno ventennale meccanismo pavloviano di stimoli e ricompense, ha un potere condizionante fortissimo (en passant quello che i vituperatissimi 68ttini volevano abolire, e poi i “comunisti inquadrati” che li hanno avvicendati modificare a loro vantaggio).
Oggi la scuola serve anche a preparare i consumatori alle valanghe di prodotti sfornati dalle fabbriche, e ad educarli fin dalla prima infanzia a non poterne fare piu’ a meno (anche questa e’ perdita di liberta’): sempre piu’ spesso servono corsi, certificazioni e attestati non solo per vivere, ma anche per consumare. Intendiamoci, non che gliene freghi niente della consapevolezza del consumatore: interessa dare soldi e potere gerarchico a chi guida quei corsi, anch’essi parte del meccanismo di trasmissione del potere, con i suoi ufficiali e sottufficiali.
Oltretutto, ripeto quanto detto sopra, man mano che le fabbriche diventano piu’ efficienti c’e’ sempre piu’ gente, ormai maggioranza, che non produce nulla (la cosiddetta “classe inutile”) e fa parte delle legioni di ufficiali e sottufficiali il cui unico compito e’ mantenere ordinato il meccanismo, sfornando sempre nuove regole, premi e punizioni da cui guadagnare un aggio e una ragione di esistere.
Comunque, trovo bizzarro che ce l’abbiate tanto con lo stato senza avvedervi di vivere comunque in una specie di campo di concentramento permanente che e’ immanente alla organizzazione economica moderna, a prescindere dalla forma e dalla presenza dello stato. Se ci fosse meno stato probabilmente ci sarebbe piu’ fabbrica organizzata militarmente, si’ che la somma dei due resterebbe invariata :)
Ma siete mai entrati in una fabbrica, anche piccola, anche artigianale? Credete che funzioni per qualche miracolo? Funziona perche’ vi vige una disciplina strettissima, e perche’ se qualcuno sgarra dall’inquadramento, il lavoro degli altri va a farsi benedire, per cui sono quegli altri stessi a punire e sorvegliare il reietto, senza neppure bisogno di essere comandati. Chi vi lavora non da proprietario agogna di solito ad una sola cosa, la fine della tortura con il pensionamento. Nelle scuole professionali di arti e mestieri vigeva un nonnismo e una vessazione da parte dei “vecchi” molto peggio che nelle caserme. E’ l’uomo che e fatto cosi’.
Io a dire, il vero, l’apostrofo dopo “qual” non lo vedo. Calo della vista verso i sessanta? O forse è stato corretto successivamente, non so. Accusare Birindelli di non conoscere la grammatica, significa averlo letto in quest’occasione per la prima volta. Accusarlo di non avere le basi giuridiche minime è semplicemente ridicolo. Per quale motivo, poi? Non lo si spiega ed è un peccato non portare prove quando ci si firma con lo stesso nome del teologo di Roccasecca. Forse perché ci sono le prove contrarie, applicabili anche sotto il profilo del diritto, nei testi di Tocqueville e perfino di John Stuart Mill. Tanto per citarne solo due; evidentemente a qualcuno mancano le basi filosofiche minime. Se tutti hanno la possibilità di esprimersi, la verità viene fuori. Che non tutti la sappiano riconoscere è un altro discorso. Così come il fatto che i “non tutti” potrebbero anche essere la maggioranza. Che lo stato sia inutile è una verità ma essa non pare avere consenso maggioritario. Perché un conto è il consenso e un altro è la verità. Per tanto tempo Galileo è stato in minoranza ma non per questo lo si può considerare al di fuori della verità. Che i libertari teorizzino e non agiscano non è esatto. Facco e Fidenato agiscono e permanentemente. Che non si riesca a realizzare ciò che si vorrebbe, è un altro paio di maniche: Maniche indipendenti dalla volontà dei libertari. A uno col mio fisico non si può chiedere di partecipare ad una corsa, ancor meno di vincerla.
” Facco e Fidenato agiscono e permanentemente. Che non si riesca a realizzare ciò che si vorrebbe, è un altro paio di maniche: Maniche indipendenti dalla volontà dei libertari”
Infatti apprezzo molto l’azione di F & F , il paio di maniche è dato dall’età media elevata, i cinquantenni (come me, fra l’altro) fanno molta fatica a “precludere l’ingresso alla polizia”, punto di partenza minimo per impostare anche la secessione di un piccolo quartiere.
A questo però bisognerebbe però chiedersi come mai i meravigliosi ideali libertari non abbiano quasi nessuna presa sui giovani.
“come mai gli ideali libertari non abbiano quasi nessuna presa sui giovani”
Anzi il contrario, il partito dei giovani, il partito del futuro, quello di grillo, e’ il piu’ giustizialista e normatore, il piu’ antiliberale, e batte di gran lunga persino i vecchi comunisti.
Effettivamente la stagione della “rivoluzione liberale” sembra proprio essere finita senza peraltro aver partorito nulla se non tante chiacchere e vaghe promesse, ma solo per vincere le elezioni e andare al potere.
Ma anche qui una spiegazione possibile c’e’: ai tempi della prima lega, quella in cui si poteva magari ingenuamente intravedere qualche sfumatura liberale e in cui militava Facco (se non sbaglio, oggi sembra impossibile, ma aveva addirittura una posizione importante, forse alla cultura, nella Padania, il giornale della lega), in quel periodo dicevo, era di attualita’ la questione dei “produttori”.
Oggi i “produttori”, ormai in tutto l’occidente, sono una infima minoranza della popolazione, non hanno piu’ alcun peso ne’ elettorale ne’ culturale, la maggior parte della gente appartiene alla cosiddetta “classe inutile” (si’ gli e’ stato pure dato un nome, vedi harari), gente la cui posizione economica nella societa’ e’ di essere soli consumatori, in cambio della quale posizione “regalano” alla societa’ montagne di fuffa, leggi, burocrazia, tasse e regolamenti, di cui campano.
Dalle nostre scuole e universita’ ormai esce solo gente cosi’, gente preparata a questo, a spaccare il capello in 4 ma solo per confermare e rinforzare sempre di piu’ i propri pregiudizi culturali.
Una societa’ di quasi soli consumatori IMPLICA una colossale redistribuzione dei redditi, ma e’ possibile non dico il libertarismo, o anche solo il liberalismo in una societa’ cosi’? Secondo me assolutamente no, anche perche’ una societa’ cosi’, necessariamente altamente burocratizzata, per funzionare deve avere per forza a modello la macchina in cui ogni singolo ingranaggio puo’ svolgere un solo compito e dipendere in tutto e per tutto dagli altri ingranaggi. La burocrazia e’ una macchina, funziona come una macchina – non per niente potrebbe essere completamente sostituita da un computer.
Se osserviamo spassionatamente come siamo organizzati di fatto oggi, e’ cosi’. Nel giro di pochi secoli, gli ultimi 2 o 3, c’e’ stato un cambiamento epocale che ha enormemente aumentato l’organizzazione e con essa la forza, il potere della specie umana in quanto specie, ma a un prezzo, che stiamo pagando e pagheremo sempre di piu’.
Purtroppo, gli effetti collaterali e indesiderati delle nostre azioni e intenzioni, in tutto il loro dispiegarsi, si vedono solo dopo, e sono talmente lontani dalle loro cause perse nella nebbia (che il meccanicismo ottuso e puntuto fra l’altro impedisce di riconoscere come tali), che diventa impossibile non tanto correggere, quanto riconoscere i propri errori.
Che ne dite?
“ci penserà il libero mercato delle idee a stabilire qual’è la ‘verità’”.
Questa è un’idiozia e chi l’ha scritta denota la mancanza di quelle basi giuridiche minime che qualsiasi cittadino con diritto di voto dovrebbe possedere. Per decenza non commento “qual’è” scritto con l’apostrofo…
Qualche altro articolo mi era parso interessante. Peccato
L’apostrofo è stato un errore di impaginazione della redazione, sul resto, continui a pensarla come meglio crede, peccato che dell libertà abbia una cognizione stalinista, insomma la sua idiozia è elevata alla n potenza rispetto ad un refuso.
Il solito mentecatto scrive pure in una notte di luna piena e manco la sfrutta, andando sul morbido come una signorina anemica e i suoi consueti due minuti di odio che potevano acquisire inimmaginabili potenzialità negative vanno sprecati. Luna calante, coglione crescente.
Bisogna prestare attenzione a non confondere la diffamazione con la calunnia. Se mi danno del marxista mi diffamano ma non mi aggrediscono. Affermano solo qualcosa di profondamente errato. Se mi danno del doppiogiochista, idem. Se dicono che apro le borse degli anziani e mi porto via quel che c’è dentro, mi calunniano. Chi per un tozzo di pane supporta colui che mi definisce marxista è un complice della falsificazione cronistica (o storiografica se fossi una persona famosa). Chi supporta colui che mi accusa di furto, commette il reato di falsa testimonianza. In un contesto di libero mercato sarebbe facile arginare le diffamazioni. Oggi può essere comprensibile che qualcuno si preoccupi di essere diffamato, non perché sia insicuro della falsità delle accuse ma perché ritiene che esse possano danneggiarlo professionalmente. Sarebbe opportuno che si valutasse l’effettivo presunto danneggiamento. Nella maggior parte dei casi sarebbe meglio rispondere giolittianamente che essere considerato ministro della malavita sia solo una rispettabile opinione dell’onorevole Salvemini. Certo, va riconosciuto che per chi ricopre posizioni analoghe a quella di Giolitti, la cosa è più facile. Se Ezio Mauro dice che non capisco nulla, ho pochi mezzi per rispondere adeguatamente. Se sono io a dirlo di lui, ecco che è proprio lui ad avere pagine su pagine per poter rispondere.
La diffamazione non è una diversa opinione è un atto di danneggiamento intenzionale.
Chi diffama non argomenta e non mette in discussione la motivazione di quell’azione.
La diffamazione, come atto di aggressione o mezzo per raggiungere fini concreti, anche solo nelle intenzioni, è cosa diversa dalla libera espressione del pensiero.
L’aggressione della sfera di relazione personale o mercantile per fini di circonvenzione, inganno o per indurre una desistenza da pensieri o atti altre persone a danno del diffamato costituisce l’essenza stessa della romanica definizione di dolo. (Dolum malum esse omnem callidit………)
Tenere un profilo di vita neutro, schivo, riservato, per evitare autentiche palate di merda che invece ci si scambia sull’ odierno mercato è un consiglio opportuno ma deprimente perché quel che viene oppressa è l’espressione della creatività individuale che rende emergenti ed invidiabili.
(Esiste anche un’invidia che ci spinge ad emulare il migliore senza volerne il male).
Se l’invidia fa giocar di sponda i concorrenti nella tenzone tanto mercatistica quanto morale, urge una difesa che sia una efficace dissuasione e tempestiva riparazione. Il danno emergente, il lucro cessante come la prostrazione derivante da un gratuito ma interessato atto diffamatorio sono già il prodotto di una asimmetria morale che è difficile qualificare come componente del gioco. È da questo stato che chi ritiene di essere stato diffamato parte a difendere la propria onorabilità sia personale che mercantile.
Pretendere giustizia da uno stato è un supplizio, una addizionale prova di resistenza che nella migliore delle ipotesi rende inerte, forse troppo tardivamente, il diffamante ed inutilmente risarcito il diffamato.
Troppi falsi testimoni son pronti a supportare il diffamante per un tozzo di pane o per invidia e un tozzo di pane.
I diffamatori sono ladri di tempo ed energia che danneggiano tutti per l’arrogante atto di deviare gli scambi altrui con menzogne.
Il diffamatore è l’angelo del male. Come ogni altro angelo esercita l’annuncio come missione. Egli però stimola la diffusione di alterata conoscenza per i più svariati fini compreso quelli meno sospettabili di malignità.
Il diffamatore riesce ad attivare, usare e convogliare contro qualcuno la debolezza di molti.
Nei “migliori” casi diffamatori in consorzio gettano nel caos molti contro molti. (Per il bene di tutti, naturalmente).
Per molte persone non è ovvio che sia sbagliato usare la forza contro certe forme di espressione. Molti sono convinti che la violenza verbale possa essere tanto pesante quanto quella fisica. Se ad esempio qualcuno sostenesse che gli africani sono una razza inferiore e andrebbero trattati non come umani, ma come scimmie o cani, pur non alzando direttamente le mani su di loro, molte persone riterrebbero che se qualcuno, compreso lo Stato, intervenisse per mettere al loro posto questi bulli, e proteggere le loro vittime, farebbe solo bene.
Ora noi possiamo dire che non si reagisce alle offese, venendo alle mani, ma è oggettivo che moltissime persone non la vedono così. Prefreriscono pensare che non esista il diritto di offendere e diffamare o di predicare odio e violenza. E credo che anche moltissimi libertari, o tendenti al libertarismo, abbiano idee o sentimenti confusi. Ricordo che quando ci fu l’episodio di Roberto Spada che tirò una testata a un giornalista, molti miei contatti libertari erano tutti gasati a sostenere che aveva fatto bene, perchè il giornalista di sinistra se l’era meritato, perchè aveva invaso lo spazio personale, era stato troppo insistente, etc.. personalmente credo vi fosse nel loro giudizio un elemento di pura soddisfazione perchè un giornalista di sinistra, di un programma di sinistra, era stato menato. Sono sicuro, che se un africano avesse tirato una testata in faccia a un giornalista o a un politico leghista, avrebbero avuto giudizi opposti.
Questo per dire che idealmente noi proponiamo un principio astratto, generale e universale, come il nap, e una legge che lo rispetti senza guardare al colore della pelle, al sesso, al censo, alla religione professata, etc.. ma concretamente, non guardiamo a ciò che ci accade intorno in modo altrettanto astratto, abbiamo delle preferenze, e trattiamo persone diverse in modo diverso, favorendo e sfavorendo, chi ci piace e chi non ci piace, chi sentiamo affine e chi disprezziamo. Ora se nella nostra vita ci comportiamo così, come possiamo improvvisamente comportarci diversamente quando si parla di legge e politica? Come possiamo se odiamo gli africani, o se odiamo i razzisti, poi riuscire a sostenere coerentemente che la legge deve trattare tutti allo stesso modo, indipendentemente dal colore della pelle, così come dalle particolari idee espresse, anche quando ad esempio queste sono razziste? Come possiamo sostenere e praticare questa separazione tra la sensibilità, le convinzioni, le preferenze, i timori individuali e la legge?
Questa è una cosa che il 99% delle persone non potrà mai capire e praticare. Fare una legge significa usare il potere politico per fare qualcosa, non ha nulla a che fare, qui ed oggi, nella nostra cultura e mentalità, con i principisi astratti, universali e generali, quelle sono cose che stanno nei libri di testo e solo lì. Il rispetto dei diritti di proprietà, concede una grande libertà all’interno della propria proprietà, ma allo stesso tempo confina questa libertà alla propria proprietà. Richiede il rispetto della libertà del vicino, ma il vicino è così vicino, che non siamo disposti a lasciargli fare cose che troviamo inaccettabili sotto il nostro naso.
Litigavo una volta con qualcuno che parlando di immigrazione diceva “dovremmo essere liberi di non accettare chi non vogliamo a casa nostra”, e alla mia risposta “assolutamente, tuttavia, dovremmo anche essere liberi di accettare chi vogliamo: sei disposto tu a riconoscere al tuo vicino il diritto di ospitare un africano, in cambio del tuo diritto di non ospitarlo?” La risposta era ovviamente “assolutamente no, dal momento che siamo vicini, se ospita un africano, essendo questi terroristi, stupratori, avanguardia dell’invasione islamica, etc.., mette in pericolo anche me: lo Stato deve garantire la sicurezza.”. Al che si capisce che il primo agomento era proposto in modo del tutto fasullo. A seguire gli chiesi: “E se qualcuno non li considera pericolosi come li consideri tu? se qualcuno ha un’altra visione della sicurezza e di come va garantita? se qualcuno non ne ha paura, ma vuole spendere del suo per aiutarli?”. Risposta (tralasciando le parolacce, che erano il 90% della risposta): “è un buonista di sinistra, un fiocco di neve che rifiuta di vedere la realtà, perchè la realtà è come la descrivo io. E siccome quello che fa ricade anche su di me, ho diritto di imporgli quello che voglio”.
In parole povere, nessuno qui è disposto a lasciare agli altri la libertà. Non è nella nostra cultura o mentalità. Per questo, pur condividendo questo articolo e ogni altro articolo simile, trovo che manchi un aggancio con il presente e con la realtà: a parte esprimere un desiderio, e sperare che si realizzi, come si fa ad arrivare a uno Stato e a una legge che rispettino la libertà e la proprietà? Convincere i nostri concittadini è impossibile. Non riescono neanche a concepire intellettualmente il discorso che qui si fa. Mi è capitato più volte di trovarmi di fronte persone che sembravano analfabeti funzionali, o incapaci dei ragionamenti logici più elementari, e mi sono convinto che esista un vero e proprio blocco psicologico e culturale, per cui un discorso libertario, basato sull’idea di autodeterminazione o di libertà negativa, o di non aggressione, non è che viene rifiutato, risulta proprio incomprensibile. Riceve risposte incoerenti, illogiche, sconnesse che non hanno veramente a che fare con gli argomenti che noi portiamo. In queste condizioni l’idea di convincere è assurda. L’idea di secedere è già migliore, perchè riduce la quantità di deficenti da convincere. L’idea di fare una secessione libertaria, riunendoci attorno al NAP e al libertarismo, come cerca di fare Liberland è ancora meglio. Tuttavia anche questo porterebbe semplicemente a un francobollo libertario circondato da un oceano di statalismo: somiglia più a un naufragio che a una grande vittoria.
Stiamo mettendo grandi speranze nel bitcoin, ma anche qui vale la stessa osservazione: il 99% non capisce una cippa di bitcoin, compreso chi lo usa vedendoci solo uno strumento finanziario e non cogliendo nulla del discorso: corso forzoso, banche centrali, inflazione, etc.. saranno tutti favorevoli quando verrà “legalizzato”, a suon di tasse e regolamenti. Anche se potenzialmente il bitcoin può essere usato in senso “agorista”, fuori dal controllo degli Stati, questo richiede una serie di pratiche che non saranno mai adottate dalle masse e soprattutto richiede la volontà di fare una cosa del genere, volontà che mancherà sempre essendo le masse stataliste. Se fossero antistataliste avrebbero già gli strumenti per lottare e vincere: la ribellione fiscale in primis.. e chi l’ha mai vista?
La tecnologia da sola, il bitcoin, gli ogm, il nucleare, le energie alternative, la blockchain non basta a cambiare il mondo: non produrrà la morte dello Stato da sola. C’è bisogno di una rivoluzione culturale che, guardiamoci, in faccia non avverrà mai. Almeno non qui.
Concordo sul tuo pessimismo, quanto meno sul breve periodo. E tra l’altro aveva ragione Keines a dire che “nel lungo periodo saremo tutti morti”; e magari non si era preoccupato minimamente degli sciagurati effetti, proprio nel lungo periodo, della sua teoria dell’intervento salvifico dello Stato a contrastare la fase recessiva del ciclo economico.
E allora, che fare? Mi ostino con Rothbard a credere che se i socialisti sono riusciti ad imbonire le masse con la bufala che nella società perfetta il barbiere non potesse essere proprietario nemmeno delle forbici, non sarà impossibile convincere le stesse della verità che in una società perfetta lo Stato non esiste.
Personalmente non ho mai incontrato difficoltà a verificare che la gente è convinta che con meno Stato si viva meglio (tranne che con fighetti e vecchie cariatidi incallite).
Per quel che mi riguarda, faccio quel che posso: sfotto l’avversario col mio blog
L’ospite non può essere confinato a casa. Gli spazi pubblici sono sempre esistiti ed esistono tuttora. “La società non esiste” eppure…
https://associazioneeuropalibera.wordpress.com/2017/02/09/951-andiamo-in-svezia-nelle-no-go-zone-sono-zone-di-malmo-precluse-alla-polizia/
Una enclave dove si vive secondo le loro leggi , diverse da quelle dello stato e secondo le loro consuetudini, quello che i libertari teorizzano ma non fanno.
D’accordo che non sia un bel modo di vivere e io non ci andrei mai ad abitare, ma sul piano dell’azione sono qualche passo più avanti, pur non avendo mai letto Rothbard, Mises, Browne o Bastiat ………..
Poi l’ultima parte dell’articolo (la citazione scritta in inglese) non è altro che putrido razzismo, con tanto di riferimenti pseudo-genetici, espresso in una direzione opposta a quella del 20o secolo.
Lo Stato chiude un occhio politically correct su quel tipo di separatismo. Rigoroso invece quando si tratta di affibbiare multe ai cittadini comuni.
http://www.friatider.se/sites/default/files/bb86474a-1528-413e-b940-f16c83d1bdaa.jpg
Si, peccato si tratti di un’enclave nata sull’esproprio “de facto” di precedenti proprietari autoctoni. Non confondiamo le situazioni, in quanto frutto di flussi migratori niente affatto spontanei, ma pianificati per motivi prettamente fiscali e non solo, quindi al di fuori di ogni logica basata sull’ umana e volontaria solidarietà.
@spago
Interessante intervento amaro ma realistico, che condivido: non capiscono se non il loro immediato e presunto vantaggio, valutazione dettata peraltro quasi completamente da istinti e pregiudizi tribali.
C’e’ da aggiungere che purtroppo a essere quasi perfettamente descritti da spago sono oggi di piu’ gli elettori dei partiti che a parole si definiscono “della liberta’ ” (vedi austria, dove pare che addirittura siano dei nostalgici del nazismo a definirsi “della liberta’”: la liberta’ di poter essere nazisti, un bel paradosso, ma lo stesso paradosso descritto cosi’ bene da spago a proposito dei suoi interlocutori).
Da tutto cio’ si puo’ evincere che fra cio’ che le persone fanno (o farebbero se potessero) e cio’ che dicono di essere non c’e’ nessun collegamento, e il dire serve solo ad ingannare: se stessi e gli altri.
Le leggi contro la diffamazione tutelano l’onore dei singoli. La legge Mancino tutela quello delle minoranze.
Per un privato cittadino senza notorietà e senza incarichi pubblici mi pare giusto che ci sia questo reato; tra l’altro è buona norma astenersi dal parlar male degli assenti, quindi il fatto cozza prima di tutto contro la comune educazione.
Per personaggi politici che sono sulla bocca di tutti è impossibile pretendere il silenzio senza la presenza dello stesso in ogni occasione, per cui le maglie dovrebbero essere un po’ più larghe, garantendo il normale diritto di critica e di satira, che controbilancino il privilegio dell’immunità parlamentare. In ogni caso le vere offese e le vere calunnie devono comunque anche in questo caso essere punite.
Qui si pone invece il problema della “querela temeraria”.
I parassiti politici senza problemi economici possono permettersi di schiacciare giudizialmente (anche avendo torto e perdendo) il proprio accusatore grazie agli enormi esborsi di denaro a cui lo costringono ad affrontare in sede penale (in molti paesi a tal proposito è previsto il versamento di una cauzione da parte di chi deposita una querela, per risarcire il querelato in caso di sua assoluzione).
Mi piacerebbe sapere come e quando origina il reato di diffamazione.
Esisteva già nel diritto romano?
Leggevo qualche giorno fa che ai tempi dei romani (antichi) chi si occupava di legge come giudice, difensore o accusatore, doveva farlo gratis, perche’ altrimenti il suo giudizio avrebbe potuto essere influenzato dall’interesse.
Ne e’ passata di acqua sotto ai ponti… oggi tutto deve avere un prezzo, e per legge (en passant entra in vigore oggi la legge sul divieto di regalare i sacchettini di plastica al supermercato per auto-confezionarsi la frutta, mentre resta l’obbligo di legge di confezionarla senza riciclare contenitori usati per motivi igienici: tali sacchetti devono avere un prezzo ed essere messi nello scontrino, senno’ multa! da 100.000 euro).
Altro che liberal-ertarismo, proprio in questi giorni, con la finanziaria approvata di corsa e infarcita di mille leggi e leggine clientelari senza nemmeno alcuna discussione in parlamento, stiamo assistendo ad un ritorno dei minimi obbligatori per legge nelle tariffe professionali delle professioni piu’ parassitarie e inutili (le altre professioni, quelle utili, non hanno bisogno di alcun minimo, anzi forse e’ il modo in cui si possono distinguere le une dalle altre). Cancellata percio’ una delle poche cose che avevano fatto di buono monti e bersani, mentre tutte le loro tasse e le altre vessazioni restano.
Non c’e’ niente da fare, e’ da anni che mi arrovello sul perche’ sia immodificabile questo strano e inquietante andazzo apparentemente senza ritorno, ma non trovo risposte che non siano superficiali e “ad hoc”.
In realta’, come vi avevo gia’ detto anni fa, una spiegazione possibile potrebbe essere nel fatto che, vivendo nella societa’ delle macchine e della tecnica, dove tutto sembra dovuto ad una serie di cause meccaniche ben precise, la gente stessa ha interiorizzato nel suo modo di pensare questo meccanicismo superficiale e ottuso, e essendo l’unico schema di pensiero che possiede, lo universalizza applicandolo a tutto, compresi i rapporti sociali e la legislazione: tutto deve essere regolato da una legge quanto piu’ possibile precisa e meccanica, perche’ altrimenti non puo’ “funzionare”.
La ggente ormai non puo’ pensare altrimenti, anzi questo pensiero e’ la gente stessa nella societa’ di massa e tecnologica di oggi.
Alternative non so se ce ne siano, ma un primo passo, euristico, potrebbe essere nel prendere coscienza di questa “possessione”.
E adesso scatenatevi pure dandomi, come di prammatica, dello stupido luddista… ;) Le macchine non si discutono! Invece si devono discutere sia le macchine che i loro effetti sugli uomini, e pensare.