Se vogliamo essere sinceri, dobbiamo ammettere che l’animo di molti fra noi è conteso dal desiderio di andare alle urne per le elezioni politiche il più presto possibile e dalla paura che il desiderio si avveri. L’interrogativo inquietante è il solito: per chi votare? Dico subito che non risponderò nel corso dell’articolo, poiché non so cosa rispondere. Noto, per ora, una quasi assoluta mancanza di programmi espliciti, da parte dei politici, e intuisco che la confusione nelle loro teste è forse addirittura maggiore che nella mia.
Vorrei che i politici uscissero allo scoperto, cioè si pronunciassero senza riserve: o per il liberismo o per il socialismo. Sarebbe questo il bipartitismo “perfetto”. Ma qui sorge un ulteriore duplice ostacolo. Gli amici del socialismo non sanno chiarirci che cosa sia il socialismo: si limitano a garantirci che è differente da tutto quanto in passato … è passato per socialismo ed è fallito. Per gli amici del socialismo il socialismo non è stato, non è, ma sarà. Cosa sarà, non ce lo dicono, a parte i soliti riferimenti di maniera alla solidarietà e a quel mistero che è il “bene comune”.
Se conoscessimo il bene comune, la politica e la democrazia non sarebbero necessarie. Saremmo unanimi, senza eccezioni, per il bene comune. Ma chi parla di bene comune non sa di che parla, e questo vale per i cristiani, per i socialisti laici in senso stretto e per i comunisti di tutte le razze superstiti. Perciò i liberisti evitano di proporre il bene comune, con la conseguenza che essi sono immediatamente accusati di malvagità, di egoismo, di mancanza di coscienza sociale.
Chi, come me, si confessa liberista è additato al pubblico ludibrio, è senza cuore, nemico dei disoccupati e reggicoda dei ricchi. Ci si aspetta, da noi liberisti, che godiamo se un senza lavoro si suicida, come raccontano le cronache di qualche giorno fa: “Bene, se tutti i senza lavoro si suicidassero, sparirebbe la disoccupazione”. Con simili falsità in circolazione, è duro intendersi. Perdiamo la speranza di capirci.
Un liberista italiano, oggi, in concreto, non è diverso da chicchessia: sente dolore per il disoccupato suicida. Ma si distingue perché imputa allo spirito del socialismo la responsabilità politica primaria della nostra disoccupazione, se non altro a causa della assoluta mancanza di governi liberisti nella nostra storia recente (non fu liberista nemmeno il Pli). Un liberista, oggi, in concreto, propone un programma che premi non i ricchi, ma i produttivi ed i creatori di posti di lavoro produttivi, utili alle famiglie dei consumatori (e consumatori siamo tutti: l’interesse dei consumatori è quanto più si avvicina al mitico interesse generale).
Dunque, aiutiamo i produttivi, lavoratori e capitalisti, con aumenti di reddito disponibile e corrispondenti sgravi fiscali. Canalizziamo il risparmio verso gli investimenti produttivi e via dagli sprechi pubblici. Lasciamo lavorare chi ha voglia di lavorare, senza incatenarlo con catene sindacali, fiscali, burocratiche, corporative. Ricostituiamo una efficace gerarchia retributiva, e che la carriera avvenga non per anzianità o per titoli legali che sono meri pezzi di carta chiamati attestati, diplomi, lauree; bensì per dimostrata capacità professionale. Istruiamo i giovani all’operosità ed alla mobilità (che non vuol dire scorazzare in moto o in auto sportive).
Alcuni risultati ci saranno subito, altri tra dieci anni, altri tra cinquanta. L’importante è procedere nella direzione giusta, che è il contrario di quella sin qui seguita. Lasciamo la strada delle buone intenzioni sociali: perché difenderle se ci hanno portato allo sfacelo? Le buone intenzioni sociali sono alla portata di chicchessia, anche degli ingenui e dei farabutti. Sono troppo facili perché abbiano valore.
*Pubblicato su “Il Giornale” (quando era un quotidiano decente) dal professore. Correva l’anni 1991
Articolo meraviglioso.
In questo Paese del menga, questo era un articolo attuale nel 1991, è attuale oggi e attuale sarà tra cento anni.