DI MASSIMO TESTA
La prima volta che andai a Barcellona fu negli anni 70. Giocavo a pallamano in serie B, e con la squadra per cui ero tesserato partecipammo ad un torneo internazionale per preparare il campionato. Era ancora al potere Franco…
Già allora, se si andava in un bar o in un negozio, ti spiegavano che la tal parola in spagnolo si diceva in tal modo, MA in catalano in un altro.
In quei giorni il Barcellona sconfisse il Real Madrid, a Madrid, e questo diede il via ad una imponente manifestazione lungo le ramblas.
Io e alcuni compagni di squadra stavamo passeggiando da quelle parti, e ci trovammo in mezzo senza ben capire che stesse succedendo.
In breve, arrivò la Guardia Civil, fuggi fuggi generale, e noi a spiegare a quattro energumeni in divisa che eravamo lì per caso.
Questo per dire che:
A) in Catalogna, da sempre, una bella fetta della popolazione della Spagna non ne vuole sapere
B) che un referendum, oltretutto dall’esito non per forza scontato, sarebbe un metodo civile per applicare il principio di autodeterminazione (come si è visto in Scozia)
C) che fra la Spagna franchista e quella democratica le differenze sono risibili
D) che le costituzioni servono agli stati, e quindi alla classe politica che ne è alla guida, per imporre la propria sovranità sulle persone, e non viceversa.
Su un noto quotidiano romano, un meno noto politico e sedicente imprenditore (sedicente perché non basta essere titolari d’impresa per essere imprenditori così come non basta essere rimatori per considerarsi poeti) che adesso bazzica nella corte di Futuro e Libertà (ma si è accorto che il giornale che lo ospita, spara sempre a raffica su alcune proprietà edilizie di Montecarlo?), sostiene che il referendum catalano sia solo servito a dividere la Spagna e sia illegittimo perché i catalani sono solo il quaranta per cento mentre gli altri sarebbero immigrati. E allora? Quella dei “referendum che spaccano il paese” era un ritornello che i suoi “avversari” intonavano nel 1974, quando il Fronte della Gioventù al quale l’articolista probabilmente all’epoca apparteneva, voleva abolire per scelta popolare la legge Baslini – Fortuna sullo scioglimento del matrimonio. Se su una questione si raccolgono firme, vuol dire che “il paese” è già spaccato. Come nella dialettica e nella logica della libera espressione del pensiero è giusto che sia. Quanto alla percentuale di catalani puri, non si vede quale sia il problema: se gli immigrati non sono d’accordo vince il NO. Se vince il SI’ è evidente che anche gli immigrati vogliono separarsi. Un’eventuale massiccia astensione degl immigrati provocherebbe la volontà di una minoranza? E’ quello che avviene in ogni democrazia che evidentemente non rispetta fedelmente le volontà maggioritarie. In questo caso, se non si vuole soccombere, si è in un certo senso “costretti” a partecipare alla consultazione. Non so se sia vera questa questioni dei catalani in minoranza ma se anche fosse, non vedo perché chi è venuto dopo non possa considerarsi catalano. Se ha il diritto di voto vuol dire che in qualche modo lo è. Se mi trasferisco a Milano non divento milanese. Ma se vado a votare, il mio pronunciamento personale è annoverato tra quello dei milanesi. Mettersi a difendere il nazionalismo dei Borbone non è proprio da imprenditore, figura professionale auspicabilmente preoccupata dal nazionalismo e da tutto ciò che per sua natura tende a limitare il libero scambio. E’ più da fanatico sostenitore di centralismi tardosabaudi e da rivendicazioni dell’impero. L’esatto contrario della libera impresa.
Se Il Regno di Spagna si oppone ad un referendum che, (visto da parte loro) con molta indulgenza e per diritto proprio non potrebbe che essere considerato (al limite) solo come consultivo e quindi una semplice espressione d’opinione, significa che il Regno manifesta “de facto”, con il comportamento tenuto, e legittima “de facto” la prossima, che si tenga o meno, come una consultazione di importanza costituzionale o costituente.
Quindi starebbero reagendo fermamente contro ciò che sarebbero tenuti a considerare il nulla e pertanto starebbero reagendo contro qualcosa che le corti del Regno stesse hanno deciso di elevare ad atto anticostituzionale.
Me Cojoni….che strategia.
Questo è il miglior spot pro referendum che esista con il corollario del canino insanguinato brandito ai propri sudditi a scopo intimidatorio.
Se i Catalani arriveranno all’indipendenza non è certo per sola determinazione.
Certe botte di culo non capitano tutti i giorni e le botte di culo non si confondono con i meriti.
vedremo di che si tratta.
Altrettanto idiota e autolesionista e’ l’atteggiamento delle autorita’ di bruxelles, che stanno regolarmente dalla parte del piu’ forte e di chi oggettivamente si mette per traverso ad una qualsiasi europa possibile, la quale non puo’ non entrare in conflitto con gli stati fascist-nazional-risorgimental-ottocenteschi.
In proposito c’e’ un interessante articolo di cacciari sul dubbio, quotidiano anti-giustizialista, condivisibile anche nel giudizio sulla lega degli anni ’90 e dell’enorme opportunita’ politica che avrebbe avuto in mano, se avesse saputo anche solo accorgersene, nonostante considerevole parte della sua base fosse nazionalista, razzista, buzzurra e clerico-fascista (cioe’, a scanso di equivoci, quanto di piu’ avverso ad ogni forma possibile e pensabile di liberalismo-libertarismo).
http://ildubbio.news/ildubbio/2017/09/21/cacciari-la-reazione/
Leggevo ierisera un passo da un libro di Rothbard.
Egli spiega come il parlamentarismo e le costituzioni fossero inizialmente a tutela dei cittadini nei confronti di re e sistema stato.
E di come, nel tempo, il sistema parlamentare sia approdato alla democrazia totalitaria, e ugualmente il sistema statale abbia modificato e poi usato le costituzioni per la propria pervasività e sopravvivenza.
Alla faccia dei cittadini.
Ogni istituzione e burocrazia, per quanto venga creata, anche secondo i dettami austriaci e spontaneistici di Hayek e per i piu’ nobili scopi, dopo un po’ non solo ha come primo ufficio perpetuare se stessa, ma anche se fondata da un santo viene occupata e diventa strumento di delinquenti opportunisti sgomitatori di professione. dai quali dubito che possa in alcun modo risultarne il paradiso di bilanciamento degli egoismi nella societa’ ideale di Smith.
E infatti a scadenze piu’ o meno regolari parte una guerra-potlatch nel tentativo di distruggere le sbarre della prigione istituzionale autocostruita nel frattempo, per ripratire da zero, guerra destinata comunque ad avere un effetto positivo limitato nel tempo. Vedere per conferma il felice ma per poco primo ventennio del dopoguerra che e’ seguito al regime fascista in italia. D’altra parte dopo tutte quelle bombe erano anche felici con poco.
Concordo con Alessadro. Uno stato indipendente creato con le bombe e l’assassinio di persone innocenti non sarà mai uno stato libero o comunque più libero del precedente.
Se si è fortunati rimarrà tutto sostanzialmente uguale (tranne le persone che mangiano alle spalle degli altri) altrimenti si finisce con gli esempi sopra citati.
Poi ho trovato sempre strano che, senza voler giustificare alcun atto violento, i separatisti/terroristi non vadano mai a colpire chirurgicamente i capi dei governi che non vogliono riconoscere l’indipendenza (anche se forse in quel caso, pensandoci, è più probabile che si finisca in una dittatura militare). Solo i parassiti si possono preoccupare che un determinato territorio acquisti maggiore libertà.
Il caso dell’E.T.A. è proprio quello da non prendere ad esempio. Non tanto per la scelta della lotta armata, che pure in questo caso ha prodotto vittime innocenti, ma per la finalità. Affrancarsi, sì, dalla corona spagnola ma solo per creare sudditi di una situazione peggiore: uno stato marxista. Come l’indipendentismo ceceno. Affrancarsi dall’impero ortodosso per creare uno stato islamico. Sono i classici esempi che possono creare dubbi nei libertari e che portano, giustamente, a preferire il male minore di un’unitarismo autoritario a un separatismo totalitario. Meglio le esperienze della Slovacchia, della Croazia o delle Far Oer. Magari, in futuro, della Lapponia
Ho sempre apprezzato il modo di fare dei catalani: tu domandi qualcosa in castigliano e loro senza scomporsi ti rispondono nella loro lingua (peraltro facile da comprendere per un italiano).
Ultimamente ho visto uno spezzone di non so quale film o sceneggiato: una straniera, universitaria a Barcellona, chiedeva durante la lezione al docente la cortesia di parlare castigliano, che per lui era poca cosa, ma per lei che non conosceva il catalano era tutto. Ebbene con fermezza il docente respingeva la richiesta: il catalano è lingua ufficiale, l’istituto lo adotta, doveva saperlo lei quando si è iscritta. Curioso se pensiamo che qui da noi ci sono università che non prevedono più corsi in italiano, ma solo in inglese.
Comunque credo che se la Catalonia avesse una autonomia tipo Euskadi ci sarebbero molto meno malcontento: sono solo stufi di essere munti da Madrid, ma non hanno mai bombaroleggiato (e poi dicono che il crimine non paga: sarà, ma Herri Batasuna + Eta come braccio armato qualcosa a casa l’hanno portato…)
Proprio risibili, le differenze del punto “C”, non direi. Questo scritto, oggi, in Spagna non verrebbe censurato. All’epoca di Franco, sì. Comunque differenze insufficienti per un libertario, come insufficiente è l’istituzione democratica in sé. Il dio che ha fallito, un titolo azzeccatissimo per il celebre libro di Hoppe. Speriamo che un giorno si possa leggere di una “caduta degli idoli, parte seconda”. A sentire i discorsi comuni, questo giorno è di là da venire. Tra meno di un anno sarò sessantenne, difficilmente vedrò la terra promessa. Mosè e Aronne faranno senza di me. Io mi accontenterò di un piatto di lenticchie in cambio di non so quale progenitura.