DI MAURO GARGAGLIONE
Esiste uno Stato in cui un figlio di buona donna violento e prepotente va al potere e tu sei fottuto.
Poi esiste uno Stato in cui nasce un partito che ha un programma violento e prepotente (imporre il velo alle donne o condannarle per adulterio), prende abbastanza voti da andare al governo (o influenzarne le leggi) e tu sei fottuto. Cambia il regime ma una cosa resta sempre invariata, lo Stato. E il cittadino fottuto.
C’è un modo per lenire la violenza subita dallo Stato, essere violento col tuo prossimo nel suo nome. Mettersi dalla parte del più forte. Vale a dire fare politica o fare il dipendente pubblico che risponde a leggi diverse dal privato e che beneficia di trattamenti di favore.
Dicono: i Libertari parlano sempre di politica ma non la fanno. Perchè chi fa politica fa violenza. Si sciacquano la coscienza dando a intendere che vogliono una politica al servizio del cittadino, stronzate.
La politica è il sistema di gestire il potere, chi può usare e come deve essere usata la forza per costringere gli altri a piegarsi.
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Rothbard ha fatto altissima politica, ma credo che sarebbe meglio abbinarla al “contenitore politico” invocato da Hoppe. Diversamente c’è solo da sperare nel tanto peggio tanto meglio. Ma anche in questo caso si sa come va finire: c’è sempre l’uomo forte di turno che parla alla pancia della gente. Poi accade il disastro e si ritorna alla “democrazia”, e il ciclo si ripete. Con i libertari sempre in panchina.
Il democratico fa politica DALL’INTERNO, cercando di farsi eleggere in qualche organismo elettivo o facendo pressione affinché le Istituzioni adottino determinate decisioni: nella migliore delle ipotesi in funzione di quello che lui pensa essere “il bene comune”; nella peggiore per un proprio interesse corporativo. E comunque con i soldi degli altri.
Anche il libertario fa politica, ma DALL’ESTERNO: opponendosi a qualsiasi istituzione che “altruisticamente” si occupi del preteso “bene comune”.
In questo senso, ad esempio, Rothbard ha fatto altissima politica
Nulla vieta di adottare la stessa strategia hoppiana a livelli nazionali e continentali. L’essenziale non è il metodo in sé ma il risultato che da un metodo può scaturire. Scuola di delinquemza non è la politica come scienza perché l’organizzazione della polis, come anche lo studio delle dinamiche economiche, è una branca della filosofia e quest’ultima non è una scienza delinquenziale. Tale è diventata la politica praticata a causa della volontà di non rispettare l’organizzazione della polis e del villaggio sul piano spontaneo ma di pretendere di imporre ila proprio volere organizzativa senza consenso. O mascherando il consenso attraverso un’istituto astratto come quello della democrazia. Per questo i politici, invece di essere scienziati, studiosi e scopritori degli effetti della cooperazione umana si sono trasformati in criminali, irresponsabili, deresponsabilizzatori, ricattatori, corrotti, corruttori, mentitori spudorati, illecitamente privilegiati, dediti a ogni forma di abuso. In una parola tiranni. Oggi la politica teorica esista solo nelle nicchie, il resto è controllato da organizzazioni che possono permettersi di non invidiare niente a cosa nostra. Per tornare alla politica autentica va benissimo il metodo di Hoppe ma c’è un problema: lui stesso afferma che occorrerebbe procedere “IN PRIMO LUOGO” a una battaglia culturale divulgativa. I contenuti ce li abbiamo, il megafono no. Hoppe è ancora vivo e relativamente giovane. Ce lo fornisce lui il megafono? Io ho provato a cercarne uno in un negozio di Arcore ma era finto. Per finanziare la divulgazione rimane comunque aperta la mia base d’asta. Chi vuole cenare con me deve partire da una quota di 61.225 euro, sempre perché io valgo il doppio del proprietario del finto megafono. E poi, perché almeno non do fregature; se riesco a costruire un megafono non sarà un pacco dei quartier spagnoli appartenenti a quella città di cui non ricordo il nome, dove Salvini crede di diventare il prossimo sindaco.
Eppure proprio nel libro, la cui copertina è rappresentata in questo post, Hoppe considera la discesa i campo dei libertari in politica (partecipazione alle sole elezioni amministrative nei Comuni, beninteso) un uso della democrazia “a scopo difensivo”, complementare alla divulgazione del pensiero libertario.
«La strategia è per una rivoluzione dal basso verso l’alto avendo il pregio di intaccare il monopolio territoriale dello Stato, consentendo una riappropriazione sulla e della res publica da parte delle comunità residenti. Al fine di operare la privatizzazione della proprietà pubblica locale è necessario procedere, in primo luogo, a una battaglia culturale divulgativa, al fine di creare una sensibilità e un consenso locale generalizzato attorno all’importanza dei diritti naturali e ai temi dell’autogoverno e dell’autodeterminazione in opposizione alla visione centralista, democratica e statalista. In secondo luogo è necessario un contenitore politico in grado di incarnare e soddisfare tale domanda in ambito elettorale partecipando alle elezioni amministrative (come uso del mezzo democratico a scopo difensivo e la conquista del consenso territoriale) con un programma politico antidemocratico, anti-egualitario, e a favore dei ceti produttivi di libero mercato, dunque nettamente in antitesi con lo statalismo, espressione della liberal-social-democrazia. L’obiettivo primario, in caso di vittoria alle urne, è quello di poter operare una privatizzazione (de-socializzazione) dei beni pubblici nelle piccole realtà comunali, restituendo i titoli di proprietà (in quote azionarie) su tali beni e servizi ai loro legittimi proprietari: i contribuenti, che con le precedenti imposte versate li hanno finanziati»
La politica è scuola di delinquenza, deresponsabilizzazione, privilegio, abuso, menzogna, ricatto, corruzione.
Io penso il peggio possibile di politici e politica.
Infatti non è vero che i libertari parlino di politica senza “farla”, orrendo verbo. A parte che già il parlarne (o scriverne è un’azione). Il problema, che poi non è un problema autentico, è che esercitano il loro agire senza coercizione alcuna. Forse i “dicono” si riferiscono alla mancanza di esponenti libertari nelle assemblee nazionali e locali. A parte la comprensibile ritrosia di utilizzare il facilmente corruttibile sistema elettorale, con rischio di dittature della maggioranza quando non della minoranza, i fini dicitori schivano sempre il problema del come ottenere consenso. La libertà è un problema culturale ma nelle cattedre ufficiali ci sono gli analfabeti. Arrivare al consenso con queste premesse siginifica dover avere un capitale finanziario tale da potersi permettere un sistema di informazione cartaceo e radiotelevisivo ad alta diffusione. Ma non preoccupiamoci: ora mi vesto da cinese e invece di una squadra sportiva mi compro… Come? Quelle “tre reti”, più le altre acquisite con iniziative solo apparentemente “gasparriane”, non sono in vendita? E va bene, vorrà dire che il pensiero libertario verrà diffuso dalla vecchia proprietà. Non ci ricordiamo più che aveva promesso la rivoluzione liberale? Aspettiamo fiduciosi!
Caro Mauro, sai bene che le parole si prestano purtroppo ad interpretazioni a volta anche contraddittorie. In questo caso mi riferisco alla parola “politica”. Per sgombrare il campo, tuttavia ha valore pari a zero il mettersi d’accordo sul dizionario. Efficace è riferirsi piuttosto ai principi cui chiunque, compresa la politica si ispira. La politica a cui ci riferimano tutti comunemente, è quella che ha come principio la democrazia, il suo strumento deputato alla coercizione cioè lo stato, il governo delle maggioranze peraltro ormai farlocche, la spesa pubblica e la predazione fiscale, la supremazione del popolo e di altre luride credenze. Se la politica si ispira invece a principi che quali il primato della persona umana, il rispetto assoluto e la difesa degli inidividui, della loro proprietà privata sia materiale che spirituale, la negazione di qualsiasi struttura o sovrastruttura che non sia a carattere volontario, la politica diventa come d’incanto l’esatto opposto di quello che dichiari che sia. Meglio quindi ricordarlo, altrimenti ci siamo e ci saremo sempre noi libertari che parliamo, studiamo, analizziamo, additiamo, svergognamo, smascheriamo, e i politici classici che esercitando la coercizione coerente coi loro prinicipi, la mettono nel culo a tutti. Noi compresi.