DI LUIGI VALENTE
Una delle cose più difficili della divulgazione di idee liberali sta nel spiegare alle persone “perché la libertà è importante”.
Quando l’elettore medio invoca l’utopia di una dittatura capace di riportare ordine e sicurezza, lo fa senza considerare “ciò che non si vede”, cioè senza rendersi conto di ciò che gli verrebbe precluso con un regime totalitario: considera soltanto “ciò che si vede”, cioè una sicurezza maggiore e la rassicurante presenza di uno Stato/Padrone capace di prelevare ricchezza da chi la produce e deviarla verso le fasce più deboli e siccome tutti si considerano deboli, tutti ritengono di essere potenziali destinatari della ricchezza altrui.
La difficoltà del divulgatore liberale sta nel costruire un quadro pragmatico di “ciò che non si vede”.
L’elettore medio non si interessa della libertà di parola, perché non concepisce l’idea di scrivere la sua opinione su un giornale o diffonderla pubblicamente: la sua unica idea di espressione sono i commenti fatti con gli amici al bar, nei quali difficilmente lo Stato può interferire.
La libertà economica è altrettanto un’idea da mondo delle fate: l’elettore medio non vede se stesso come imprenditore capace di ingrandire la propria azienda né come self-made man capace di arricchirsi facendo investimenti diversificati: si limita a un’idea di lavoro essenzialmente medievale, di sussistenza; un lavoro visto come espiazione e croce inevitabile di ogni uomo, non come strumento per “comprare il tempo libero”. Probabilmente la maggior parte degli italiani non sa neanche cosa significhi tempo libero e ritiene che si riferisca soltanto a delle ore in cui ci si butta sul divano e ci si annoia in attesa del lavoro del giorno dopo.
Il progresso che potrebbe scaturire dalla libertà economica, poi, è qualcosa che va persino oltre l’interesse dell’elettore medio, convinto che il progresso sia qualcosa di attinente a un mondo parallelo dove “gli scienziati” lavorano e inventano cose a prescindere da ciò che accade nel resto del Paese.
L’elettore medio è incapace di concepire i vantaggi di una libertà diffusa e soprattutto ha paura di confrontarsi con un mondo in continuo divenire: ha bisogno di uno Stato forte che gli dica esattamente quali valori sono quelli giusti e che gli garantisca che tutti continueranno a lavorare molto e guadagnare poco, perché questa è uguaglianza e virtù.
“Que es la vida de los electores sino vida de gallinas?” (semicit.)
https://www.youtube.com/watch?v=MF5wY6Jg6Ko
Per gente che non ha mai sperimentato la libertà è difficile apprezzarla o agognarla.
L’italiano medio, la stragrande maggioranza della gente che vota, subisce mugugnando e senza reagire.
Con la speranza che l’opportunismo politico e privato possa bastare a trarlo d’impaccio tramite la benevolenza statale.
In sostanza , ” o franza o spagna, purché se magna”.
Concordo con Facco quando afferma che l’italia e gli italiani siano senza futuro, irriformabili.
E penso, di conseguenza, che solo eventi repentini e proditori di bancarotta o crisi possano avere una qualche chance di condurre a qualche modifica dello status quo.
Nel mio piccolo, io tento di diffondere come posso il punto di vista alternativo e minuscolo del libertarismo.
Ma mi accorgo che l’inerzia popolare è massiva.
Analisi davvero interessante e condivisibile oltre che sconsolante.
Aggiungo solo che in Italia, caso unico e perverso, siamo riusciti a sintetizzare il peggio dei due sistemi.
Abbiamo un stato pervasivo e autoritario senza avere almeno in cambio l’ordine e la sicurezza. Insomma il peggio del peggio!
Mi piacerebbe intervistare l’autore per una puntata del mio podcast il truffone.