DI REDAZIONE
L’Europa ha imposto regole assurde che hanno depresso gli stati membri.
Era ora che i burocrati che stazionano a Bruxelles subissero questa sonora lezione.
Ascolta l’intervista a Leonardo Facco, fondatore del Movimento Libertario, vice direttore del MiglioVerde.
QUI LA REGISTRAZIONE DELL’INTERVISTA:
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Non è esatto affermare che “ogni” situazione possa essere considerata come un ordine spontaneo. “Vista”, forse. Ma con problemi oftalmici. Io non posso essere chiamato “diversamente alto”. E soprattutto non posso essere definito alto. Se qualcuno mi vede alto ha quei problemi oftalmici già detti. Oppure parla una lingua dove alto significa basso. La verità è ciò che corrisponde ai fatti e il concetto non è opinabile. Opinabili e diversi sono i modi con i quali ci si confronta con la realtà. Se una dimostrazione è tale non ha bisogno di ulteriori aggettivazioni e non possono essercene altre contrapposte “indiscutibilmente vere”. Il contrario del vero è il falso, non un “altro vero”. Se chiamo diamante il vetro, affermo il falso e non l’opinabile. Inoltre non esistono situazioni in cui non convenga amare la libertà. A meno che la libertà non piaccia e allora non la si ama perché non piace, non perché non conviene. Sull’identificazione del “sé stesso come un sé distinto dal non sé”, non sono in grado di intervenire. Ritengo sia materia metafisica che esula dalle mie peraltro già scarse competenze.
Non riesco a trovare il riferimento di quel “è ovvio che è un dogma” di cui parla Edwin. Ritengo però che ci siano differenze tra gusti e sbagli. Perché Keynes sostiene che intervenendo si crei maggiore ricchezza e visto che i fatti lo smentiscono (in realtà lo smentiva anche la teoria) vuol dire che ha torto. Perché verità è ciò che corrisponde ai fatti. Poi Keynes può “preferire” la povertà alla ricchezza e questa è un’opinione. In cucina si può preferire il cibo bruciato ma non si può definirlo crudo. E questo perché le cose vanno chiamate con il loro nome. Non c’è bisogno di sperimentare per capire che un aereo senza le ali non può volare. Uno può “preferire” di non decollare ma se mi dice che quella macchina volerà, ha oggettivamente torto. Rothbard non spiega perché il relativismo morale vada considerato assurdo? Cercherò di rileggerlo e vedrò meglio. Ma se anche non l’avesse fatto, evidentemente riteneva implicito il motivo che risiede nella sopravvivenza della specie umana o dell’intero pianeta. i suoi obiettivi erano comunque altri e le ragioni etiche in merito al relativismo le avevano già affrontate abbastanza efficacemente i pensatori antichi. Se Epicuro, a differenza di Platone, condanna la schiavitù ci sarà un motivo. Non doveva essere solo un questione di “gusti”. Ecco che il giusnaturalismo torna in forma preponderante alla nostra attenzione. Alcuni problemi possono rimanere filosoficamente aperti ma non vedo perché dovesse risolverli definitivamente Rothbard. Alla domanda sul “che fare” dal momento che il libertarismo non è maggioranza, sia è già risposto in altri interventi: si cerca di diventare maggioranza. Sul come, un’idea ce l’avrei; ma non sono ricco abbastanza per poterla mettere in pratica. In assenza di ricchezza si fa quello che si può e che si sta facendo. Si interviene, si scrive, si contraddicono i beghni dello statalismo e si tenta di convincere quante più persone possibile. Inutile e sterile accademia? Forse. Ma chi ha idee migliori si faccia avanti.
“È ben possibile invece che gli elettori di Scozia, Galles e Irlanda del Nord abbiano sostenuto il Remain più che altro per motivi economici”
Oppure semplicemente perche’ gli odiati inglesi hanno sostenuto l’Exit. La maggior parte delle scelte umane funziona cosi’: fare lo stesso di chi ci e’ simpatico, e il contrario di chi ci e’ antipatico, che di solito e’ il vicino di casa, il “confinante”.
Che le scelte siano (e debbano essere) razionali e utilitaristiche e’ un mito dell’era illuministica prima, e della macchina poi. Un mito molto comodo agli autopromossi custodi della razionalita’.
Ma l’esito del voto inglese non si poteva sapere prima della chiusura della votazione.
Mah, in teoria anche le nostre parti del paese che sono in guerra con la Roma centralistica dovrebbero tifare per un’europa confederale delle regioni dove l’unica cosa condivisa fosse la moneta e una liberta’ maggiore possibile, invece ci ritroviamo un Salvini che rincorre le istanze economico monetarie della sinistra e della destra piu’ estreme, la prima in quanto sostenitrice di una moneta nazionale inflazionabile a volonta’, la seconda in quanto vetero-nazionalista.
D’altra parte tutto si puo’ dire dell’europa, tranne che essa difenda strenuamente la liberta’ dei suoi cittadini contro l’ingerenza dei singoli Stati, l’unica cosa che sanno fare e’ regolamentare anche i cessi e costringere le autorita’ locali, con mille nuove imposizioni normative, a regolamentare e spendere sempre di piu’ e di conseguenza inventare sempre nuove tasse, cercate questo, salvatevelo, e fatevi due amare risate:
Technical_report_Ecolabel_May_2013a_revised_final.pdf
“Work in Progress” ah ah!
Bella intervista, grazie. Punti condisibili, eccezion fatta in parte per la riflessione sul divario tra il voto giovanile e quello degli anziani. Non sottovaluterei l’elemento identitario del voto.
https://www.youtube.com/watch?v=lF6zBJjvyOQ
“Well, where are all the English people?”
È ben possibile invece che gli elettori di Scozia, Galles e Irlanda del Nord abbiano sostenuto il Remain più che altro per motivi economici (la “diversità” essendo meno accentuata in quelle zone).
“Tutto sta a come utilizziamo le cose e a come evitiamo di esserne utilizzati”
E’ questo il problema.
E’ impossibile vivere in un mondo riduzionisticamente meccanico-tecnologico come il nostro, circondati da meccanismi, in cui alla causa A segue inesorabilmente l’effetto B, senza che ne resti influenzata l’intera nostra percezione del reale, compreso il tipo di organizzazione sociale agognato dall’inconscio collettivo delle masse, che si comportano e chiedono a gran voce politiche conseguenti.
L’ingegneria sociale e l’economia pavloviana dell’incentivo/disincentivo sono agognate, prima che inevitabili.
Non occorre guardare lontano, cosa chiede la gente, avete mai ascoltato “l’uomo della strada”, quello dei blog, quello delle telefonate radiofoniche? Chiede che la macchina sociale sia piu’ efficiente, che sia piu’ produttiva, e che chi sgarra dall’ordine sociale immanente vada in galera prima e piu’ a lungo.
Poi lo stesso uomo e’ il primo a non produrre, anche se con grande efficienza, nulla di utile a nessuno, e a fregarsene di tutte le leggi che non gli fanno comodo e di cui non teme abbastanza la sanzione, ma che importa?
A che fine? A che scopo? Nessuno, e’ la macchina che deve funzionare cosi’ e basta.
Sulla tecnologia. A me quest’ultima non ha provocato problemi, me ne ha anzi risolti alcuni. Tutto sta a come utilizziamo le cose e a come evitiamo di esserne utilizzati. A lavorare ci vado con i mezzi pubblici, in gita uso l’autovettura personale. Chi non riesce a non utilizzarla è schiavo dell’automobile, chi si rifiuta di utilizzarla è schiavo della rinuncia e di tutto il resto. Se risolvendo un problema creo i presupposti per nuovi problemi, vuol dire che il progresso va avanti. Perché i problemi in sè non sono una cosa negativa e forse non creo solo nuovi problemi ma anche nuove opportunità e nuove risoluzioni dei problemi stessi. Non stavo meglio quando al posto della stampante avevo il ciclostile, quindi il bilancio non è negativo. Se poi confondiamo l’utilizzo della tecnica con il meccanicismo ideologico, il problema è di altra natura. La negazione della libertà non l’hanno causata gli scienziati ma i loro oppositori luddisti. Se utilizzo un mezzo meccanico non sono parte di un ingranaggio. Il pretendere di marciare all’unisono è appunto prerogativa dei totalitari, non certo di chi mi fa faticare di meno o scopre una terapia efficace per guarirmi.
Solipsismo collettivo rischia di essere un ossimoro. Non so quali nazioni lo predichino ma la frammentazione, tralasciamo l’aggettivo “estrema”, non mette a rischio l’individuo. I casi della Svizzera, del Lichtenstein, del Principato di Monaco, di Andorra, del Maryland, del Vaticano, del Lussemburgo, del Sovrano Militare Ordine di Malta e perfino della troppo italicheggiante Repubblica di San Marino ne sono testimonianza. Sta meglio la popolazione di quelle realtà rispetto alla popolazione dei colossi ultrastatalisti. Se pensiamo che dovendoci confrontare con i ladri dobbiamo rubare anche noi, finisce tutto in una sorta di guerra civile permanente. Da chi è gestito è gestito, un superstato non è mai meglio di qualsiasi cosa. Perché non ci si mette niente a passare dalla gestione di un tedesco a quella di un sovietico. A meno che non si pensi che i lituani, i lettoni e gli estoni stessero meglio prima di adesso. Poi, confederarsi spontaneamente può anche risultare utile. Ma devo avere il diritto di ritirarmi quando vedo che la convenienza non c’è più. E soprattutto non devo avere l’obbligo di federarmi per scelta altrui. Beccarsi sui livelli teorici non è fuori dal mondo. Fuori dal mondo e dalla logica sono i keynesiani e i marxisti che non offrono modelli teorici ma superstizioni e pratiche di stregoneria spacciate per scienza. Ecco perché il programma di Fare non poteva andare più che bene. Poteva soilo andare meno male dei modelli iperpubblici. Solo che dopo un po’ ci sarebbero state delle criticità, causate dall’incoerenza programmatica, che avrebbero dato fiato alle trombe di coloro che danno la colpa della crisi alle cosiddette politiche neoliberiste. Che tali non sono se non si privatizza tutto e se una banca centrale continua ad avere il monopolio dell’emissione monetaria e quello della fissazione dei tassi. Malgrado ciò, se non si fossero alzate le barriere di cui si parlava negli altri interventi, ero personalmente disposto al sacrificio di andare a votare la lista. In fondo, mi ero detto, meglio uno stato minimo che uno stato massimo. Così come meglio una tassazione al dieci per cento che al settanta. Ma viste le levate di scudi contro l’economia autentica mi è venuto da pensare che la lista stessa non fosse altro che una sorta di montiana Scelta Civica mascherata, un dirigismo spacciato per altro. Mi piacerebbe poter domandare ai “faristi” se si sentono liberisti. Immagino una risposta contorta in stile postandreottiano – doroteo, che dice tutto e nulla al tempo stesso. Sul piano filosofico occorre stabilire dei parametri sul nominalismo. Affermare che la violenza sia ingiusta è dogmatico? Avere il diritto di utilizzarla in caso di legittima difesa è dogmatico? Ripudiare la guerra è dogmatico? Se è così, tutto è dogma e di questo passo praticare l’onestà diventerà comportamento dogmatico. In realtà il rifiuto della violenza nasce proprio dall’antidogmatismo. E l’analisi filosofica ci insegna ciò che è dogma e ciò che non lo è. Il primo nasce da un’affermazione che non ammette confronto e che si propone fideisticamente senza dimostrazioni reali. Il secondo si basa sulla ricerca, sulla sperimentazione, sulla prassi. Affermare che non esista la magia non è un dogma ma una dimostrazione scientifica. Chiedersi perché l’individuo debba avere il diritto ad agire è come chiedersi perché abbia diritto a non essere ucciso. Il fondamento della validità di questa proposizione è dato dalla spontanea tendenza alla cooperazione della specie umana. Se Hobbes non se ne è accorto, il problema era suo e del suo psichiatra. Si può essere accusati di dogmatismo quando si afferma che sia giusto non tollerare gli intolleranti. Ma l’accusa cade nel vuoto e nel ridicolo perché gli intolleranti sarebbero i soli a non essere tollerati dai tolleranti. Gli oppositori degli approcci deontologici sono gli oppositori della cooperazione e della pacificazione. Chi vuole pace non tollera la guerra ma non per questo è un intollerante. La frase “la pura forza giustifica qualunque azione” non può essere accettata da chi crede nel diritto. Che non è una teoria basata su astrusità tematiche ma il fondamento della convivenza civile e della sopravvivenza della specie. E’ la salvaguardia di questa sopravvivenza che dà giustificazione alla negazione della libertà. E’ infatti errato semanticamente associare aggettivi riferibili a certe entità religiose il termine diritto, perché queste entità non riconoscono alcun diritto. E lo affermano pubblicamente, non è un’interpretazione critica. Rothbard non parte da alcun dogma. Non ho mai nemmeno trovato nei suoi scritti una frase del tipo “il giusnaturalismo è vero”. Ma anche se l’avesse pronunciata non sarebbe stata dogmatica in quanto scaturita dall’osservazione dei fatti. E Popper ci ricarda che la verità è ciò che ai fatti corrisponde. Principio che Keynesiani e marxisti, pur non affermandolo pubblicamente, rifiutano nella prassi. Come storia insegna. La giustificazione del giusnaturalismo è conseguenziale all’osservazione e alla coerenza prasseologica. In fondo l’etimologia di giustificazione e di giusnaturalismo è la stessa. Quest’ultimo non avrebbe neanche bisogno di “essere giustificato” perché la giustizia se è ingiusta non è giustizia. L’approccio originale di Rothbard è costituito dalla teorizzazione di una società basata su elementi che possano sostituire completamente lo stato senza cadere nel disordine. Il problema di base lo avevano già risolto Socrate Gorgia, Zenone, Democrito, Epicuro, Antistene, Seneca, Lucrezio… Tra i platonici schiavisti di stampo prodian – bersanian – vendolian – renziano e gli aristotelici gianninian – martinian – verdinian – fittiani che non propugnano la schiavitù ma la tollerano, posso anche preferire questi ultimi. Ma solo come male minore. Il bene è la libertà, non “la libertà, però…”.
“questa affermazione non ha giustificazione: é una sorta di dogma”
E’ ovvio che e’ un dogma. Ma mica tutto deve (o puo’) essere dimostrato scientificamente, c’e’ un campo in cui semplicemente si esprimono delle (libere) preferenze. Se non erro Rothbard era perfettamente consapevole di cio’, tanto che lui stesso poneva il desiderio della liberta’ come postulato non dimostrabile (cosa del resto che vale per tutti i liberali, la liberta’ va perseguita anche quando non conviene).
Sono i comunisti, i fascisti, i nazisti, i razzisti, i complottisti, gli economisti, che pretendono di conoscere le leggi biologiche e matematiche che determinano lo svolgersi ineluttabile della storia.
“Se con un sistema ipercomplesso riesco a inventare una batteria telefonica che sia carica quarantotto ore, ho risolto tanti problemi a tanta gente.”
Ne hai risolti 100, e creato i presupposti per 1000 nuovi problemi, piu’ complicati da risolvere, nel futuro. Tutta la tecnologia e’ cosi’. Come diceva Popper, la vita e’ risolvere problemi. Ha dimenticato di aggiungere che in tal modo di problemi non saremmo mai stati senza, dato che quel risolvere problemi ne crea ancora di piu’, di ordine superiore, e sempre piu’ difficili da risolvere, fino ad esserne travolti.
Bilancio negativo.
Il punto focale forse e’ proprio questo: la nostra abitudine a pensare in termini tecnicistici, meccanicistici, e quindi a guardare anche il mondo sociale nello stesso modo, e’ la negazione della liberta’, e’ trasformare il nostro spazio esistenziale in macchina di cui siamo solo piccoli ingranaggi che devono marciare all’unisono, e’ la maledizione del nostro tempo e di quello prossimo venturo (vedi la mania illuministica, da Compte in poi, di voler organizzare la societa’ e programmare gli uomini tramite incentivi/disincentivi, metodo Pavloviano che l’attuale governo pratico dell’economia, e l’economia teorica, ha completamente fatto proprio – vedi la tecnocrazia europea formalmente liberale e il suo modo in cui interpreta il liberismo, ma lo stesso vale per tutte le ideologie totalitarie che hanno impestato il XX secolo).
Una discussione sull’IVA e l’IRPEF (che alla fine c’e’, e porta ad altre mille tasse, sempre nel tentativo di raggiungere la perfezione tecnica, moltiplicando la complessita’ e i problemi) in realta’ sarebbe un ottimo motivo per drogarsi, o suicidarsi: gesti pero’ inutili, adesso e’ gia’ come se fossimo drogati, o morti.
Il mondo della tecnica complessa porta alla “liberta’” di Hegel, o anche di Weber: la liberta’ di essere dei felici ingranaggi roteanti in perfetta sincronia nel meccanismo dell’assoluto inteso come Tutto. Dove il primo motore immobile e’ lo Stato Prussiano…
“E’ ovvio che e’ un dogma. Ma mica tutto deve (o puo’) essere dimostrato scientificamente, c’e’ un campo in cui semplicemente si esprimono delle (libere) preferenze. ”
Se é cosí allora é semplicemente finita. Nel senso che se il libertarismo é una delle tante opinioni che uno puó avere in filosofia politica non ha realmente senso difenderlo… anche perché i marxisti e i keynesiani di cui si parla qui sotto, ad esempio, non é che sbagliano: hanno solo un´opinione diversa. Le opinioni sono come i gusti in cucina, ognuno ha le sue. Stando cosí le cose, non si puó realmente difendere il libertarismo criticando il resto… anche perché epistemologicamente nessuno ti dice che la tua tesi é meglio di quella altrui. Forse é meglio l´altra, solo che tu non te ne rendi conto.
Ecco, su questo aveva pienamente ragione Rothbard. Il relativismo morale é una assurditá cui bisogna opporsi con tutte le forze. L´unico problema é che Rothbard non ci spiega il perché di questo. Il programma filosofico libertario ha l´obiettivo di combattere questa forma di relativismo. Tutt´altra cosa é il programma politico libertario. Posto che la maggioranza degli individui che ci circondano sostengono tesi non libertarie ed é molto difficile cambiare questi valori, che cosa si fa?
“Il relativismo morale é una assurditá cui bisogna opporsi con tutte le forze. L´unico problema é che Rothbard non ci spiega il perché di questo.”
Non lo spiega perche’ e’ un postulato che, in quanto tale, si puo’ solo porre, e senza il quale si finisce in un circolo vizioso, nel circolo vizioso di Hayek e della sua catallassi dell’ordine spontaneo (qualsiasi situazione puo’ essere vista come un “ordine spontaneo”, se si esamina la catena causale nella sua interezza).
Il problema e’ che nell’imporre tale postulato il lbertarismo, nell’assurdo del circolo vizioso, ci finisce comunque, proprio perche’ si autodefinisce libertario.
Risultato complessivo di tanto elucubrare, zero, con ritorno al punto di partenza.
Per cui se si e’ onesti bisogna accettare la circolarita’ delle definizioni ricorsive, e tagliare il nodo dicendo “vorrei cosi’ perche’ mi piace cosi'”, senza arrampicarsi sugli specchi dell’utilita’ terrena e della volonta’ metafisica (il giusnaturalismo e’ quello dei postulati (=dogmi) della chiesa, che non sono gli stessi del libertarismo, ma cercano di risolvere lo stesso problema di fondo, la circolarita’).
In sostanza si deve amare la liberta’ “cosi'”, e amarla anche quando non conviene, altrimenti per ogni dimostrazione “indiscutibilmente vera” si dovra’ accettare l’inevitabile conseguenza di altre dimostrazioni “indiscutibilmente vere” che ne inficieranno la verita’.
Cosi’ come per altri bisogna sottomettersi allo Stato “cosi'”, per definizione, anche quando non conviene ;)
Altro grosso problema e’ che l’uomo aborre l’indifferenziato, l’uomo ama categorizzare, nominare, distinguere, identificare, inquadrare: le cose del mondo e percio’, per contrasto, identificare se stesso come un se’ distinto dal non se’, dall’altro. Non puo’ farne a meno se non vuole finire nel vortice dell’indifferenziato, dell’annullamento del se’, della morte.
“Il dato oggettivo del giusnaturalismo si risolve nel riconoscimento del diritto dell’individuo a non essere limitato da altri salvo sua condotta aggressiva. ”
Il problema é che qualunque oppositore degli approcci deontologici potrebbe dirti che questa affermazione non ha giustificazione: é una sorta di dogma. Il punto é affinché questa proposizione sia valida occorre darle un fondamento. Cioé, perché mai un individuo dovrebbe avere questo diritto? Perché, al contrario, la affermazione “la pura forza giustifica qualunque azione” non dovrebbe essere accettata? Secondo me Rothbard non fa altro che partire dal dogma che il giusnaturalismo é vero, senza giustificarlo, per poi estremizzarne le conseguenze, ed eliminare lo stato. É un approccio originale, che peró non risolve il problema di base.
Sul resto, ti dó ragione su molte cose, il direttivo di Fare post-Giannino era davvero un campione della divisione, proprio perché appunto andava a sfottere le credenze altrui, invece di provare ad unire, a trovare il terreno comune. Questo é ció che bisogna evitare: una sorta di opposizione ideologica che divide. Non credo che di fronte ad un Paese in crisi come l´Italia possiamo permetterci di dividerci su Huerta de Soto o sulla scuola austriaca. Con il livello di tassazione che abbiamo, ad esempio, pensare di beccarsi a vicenda su modelli teorici é fuori dal mondo. Ecco perché secondo me il programma di Fare andava piú che bene. E sull´Europa, di fronte alla situazione italiana, forse é comunque meglio avere un super-stato gestito da un tedesco che uno piccolo gestito da un italiano. L´idea della micro-frammentazione e del potere all´invidivuo non fa una piega nel mondo dei sogni, ma nella realtá, quando ti devi confrontare con colossi ultra-statilisti, con nazioni che predicano il solipsismo collettivo, la politica della frammentazione estrema sembra mettere a rischio l´individuo stesso.
” il programma di Fare andava piú che bene”
“Fare” aveva l’enorme difetto di ridurre tutto ad economia, acquisendo cosi’ il difetto ancora piu’ grosso che ha tutta l’economia positivistico-pavloviana moderna, che si rifa’ nella sua essenza, senza neppure averne sospetto, al comportamentismo skinneriano del secolo scorso: suo unico fine e’ l’ampliamento della sfera dell’economia, cioe’, per definizione, della scarsita’. Quindi avrebbe mancato qualsiasi obiettivo condivisibile da un libertario credo per definizione, “intrinsecamente”.
A mio modesto avviso, Rothbard non si è limitato ad estremizzare ciò che già esisteva. Ha gettato le basi per l’organizzazione di una società libertaria. Altrimenti tutta la filosofia, dopo i greci in occidente e Lao Tze in oriente, risulta tutta rielaborativa e non originale. Su cosa sia il diritto naturale possiamo lasciare aperta la questione quanto vogliamo ma è una scelta nostra. Il dato oggettivo del giusnaturalismo si risolve nel riconoscimento del diritto dell’individuo a non essere limitato da altri salvo sua condotta aggressiva. Su cosa sia la natura umana e su cosa sia la vita, certo che la questione rimarrà aperta fino alla fine dei tempi. E certo che queste cose un libertario autentico le capisce e le ha capite. Quali sarebbero i gruppi di persone che sostengono di aver capito tutto? Chi ha mai affermato che il libertarismo sia la verità assoluta? Il libertario è tale proprio perché convinto che nella verità ci siano elementi relativi e quindi non assoluti. E’ convinto, coerentemente, che non sia la verità a renderci liberi come sostiene qualche signore vestito di bianco che dall’Argentina è venuto ad abitare a Roma; ma che piuttosto sia la libertà ad avvicinarci al vero. Mette la libertà al primo posto, è una sua scelta, anche rispetto alla ricchezza materiale. Perché questa sua scelta lo dovrebbe rendere agli occhi altrui come una persona che crede di sapere o capire tutto? E’ libertario proprio perché non sostiene che il libertarismo sia “la verità” in senso universale ma che sia un metodo per ricercare ed avvicinarsi alla verità. Se si giudica tutto con il metodo libertario si è coerenti e il vero non senso risiede nell’incoerenza. Ma nessuno ha mai ritenuto di essere “un perfetto” libertario. Posso nella prassi quotidiana manifestare delle contraddizioni. Me le si indichino e affronterò il problema proprio perché consapevole dell’imperfezione umana. Sulla questione delle barriere bisognerebbe evitare il buonismo dialettico. Davanti al tiranno non mi limito ad alzare barriere, ritengo perfino eticamente giusto il tirannicidio. Anche perché la prima barriera non la alzo io ma chi mi aggredisce o ha evidente intenzione di aggredirmi. Non riesco a tradurre quell’ “e. g.” tra parentesi, ma anche lì l’esperienza di “Fare per Fermare il Declino” non è stata rifiutata a priori ma a posteriori. Quando cioè il programma della lista si è rivelato privo di quegli elementi sufficienti a essere sostenuta. Nessuno ha detto di non votare Giannino perché se si va a votare ci si contraddice con il pensiero libertario. O meglio, qualcuno lo ha detto ma non tutti sono d’accordo con il rifiutare un mezzo a prescindere dal risultato. Salvo, poi, essere accusati di utilitarismo da chi vorrebbe che si dicesse “sì” a tutto. Si rimane senza scelta quando qualcuno si professa liberista a parole ma poi cede su troppe cose nei fatti. Anche culturalmente. Uno di loro in un’intervista telefonica con Leonardo Facco ha sostenuto che la scuola austriaca non esiste, che Huerta de Soto non capisce niente e che il libertarismo provoca solo anarchia nel senso caotico del termine. Su questo sito, quel colloquio dovrebbe esserci ancora. Chi alza le barriere, allora? Se una lista mi proponesse lo stato minimo, strapperei la mia regola astensionista perché potrebbe essere un punto di partenza. Anche cosciente dei rischi che uno stato minimo si possa progressivamente trasformare in massimo. Ma attualmente quello italiano è già un Circo Massimo, per cui potrebbe essere preferibile una situazione meno pesante. In una prima fase sarei perfino disposto ad accettare un ruolo per la banca centrale se i promotori della lista fossero tutti della scuola di Chicago. Ma l’obiettivo finale deve essere l’abolizione del monopolio forzato della creazione di moneta. Altrimenti tanto vale tenersi i socialisti ufficiali. Almeno i babbei catto – fascio – rosso – verdi non potrebbero continuare a recitare il mantra che vuole la causa dei mali economici in presunte politiche neoliberiste. Con i radicali il discorso lo considero personalmente sempre aperto. Se però continuano a candidarsi dappertutto per semplice visibilità e se questo dappertutto deve essere Prodi o Monti o Fitto o Fini, allora mi resta difficile dover andare a votare solo perché ci sono loro. A criticare Fidenato perché si è rivolto a una corte europea non sono stati i libertari “duri e puri” ma coloro che vorrebbero che i libertari rinunciassero a un po’ del loro libertarismo. Non si capisce bene a quale scopo.
L’organizzazione può anche essere ipercomplessa ma se è un’organizzazione liberamente costruita non provoca malesseri o istinti suicidi, tanto meno motivi per scioperare una settimana nel settore alimentare. Se più clienti ci sono più guadagno, anche se la mia mansione è di commesso, cassiere o magazziniere, che motivo avrei di scioperare? Sopravvivere autonomamente è cosa diversa dall’autarchia. E anche autonomia e autosufficienza non comportano obbligatoriamente l’abbraccio con un sistema autarchico. Se il sistema ipercomplesso è gestito dalla burocrazia, l’istinto è la fuga. Se con un sistema ipercomplesso riesco a inventare una batteria telefonica che sia carica quarantotto ore, ho risolto tanti problemi a tanta gente. Perché produttore e consumatore dovrebbero drogarsi se su quella batteria non c’è l’IRPEF per il primo e l’IVA per il secondo?
Ma voi credete ancora veramente che in una societa’ complessa come la nostra, dove la maggior parte dei cittadini vive nelle citta’ e deve per forza industriarsi ad inventare “servizi” obbligatori attraverso cui esigere un corrispettivo in beni materiali con cui alimentare la propria esistenza e dove nessuno e’ in grado di sopravvivere autonomamente nemmeno ad una settimana di sciopero dei supermercati, si possa essere liberi?
Senza autonomia, o perlomeno possibilita’ di “opt-out” verso l’autonomia, non puo’ esistere liberta’, e la nostra societa’ ipercomplessa e iperconnessa rende irreversibilmente dipendenti: dalla culla alla tomba.
In prospettiva, inoltre, e in ogni ambito, ogni problema viene affrontato e risolto con ulteriore aumento di complessita’, e con fagocitazione nel pre-esistente sistema complesso di tutto quanto osi esistere al di fuori di esso, o sua eliminazione.
E’ impossibile fuggire anche solo rilocandosi, essendo ogni posto in cui sia possibile sopravvivere senza organizzazione iper-complessa, ormai completamente occupato, anzi iperpopolato.
L’unica possibilita’ di fuga e’ nel virtuale, nella droga, nel suicidio, nella morte.
A proposito di Fidenato, ricordo a tutti la fine che fecero i contadini ucraini quando rifiutarono di consegnare il grano alla burocrazia moscovita, il cui raccolto peraltro ando’ male proprio per colpa delle imposizioni della stessa burocrazia. Quel fatto estremo e’ una efficace dimostrazione, anzi il prototipo, della nostra societa’, del modo in cui funziona: se non ti uniformi fin da piccolissimo, sei comunque morto, anche quando saresti in grado (cosa ormai rarissima) di sopravvivere da solo.
https://it.wikipedia.org/wiki/Holodomor
La caratteristica peculiare dell’uomo, la sua estrema capacita’ di collaborazione sociale per ottenere risultati che da solo non raggiungerebbe, si e’ trasformata in una trappola da cui non si esce.
Per evitare di perdere tempo inutilmente, e porsi obiettivi ragionevolmente raggiungibili, sarebbe bene prenderne atto.
La”filosofia” che toglie a chi ha diritto per creare una quantità maggiore (ammesso che poi si verifichi l’aumento della quantità, visto che a chi ho sottratto mancheranno gli incentivi a produrre) non è giusta neanche apparentemente. E non è nemmeno una filosofia perché mancando di presupposti scientifici non è “amica della scienza”. E’ soltanto uno sterile esercizio del pensiero, un’alternativa alle parole crociate. Ci sono persone che come Mises hanno sostenuto che se il collettivismo fosse efficiente, lo avrebbero abbracciato. Personalmente non lo abbraccerei mai, indipendentemente dall’eventuale efficienza. Fingiamo che la tirannia mi procuri più beni materiali: non sarei comunque soddisfatto. Questa, a mio modesto avviso, la differenza tra un approccio utilitaristico al mercato e uno di stampo umanistico. Se un giorno la contrapposizione tra utilità e umanesimo potrà essere superata (mi sembra stia tentando l’operazione David Friedman) non sono in grado di dire. Ma rimango convinto che cercare l’utile, così come l’imprenditore cerca il profitto, non sia operazione antiumanistica e che quindi non possa essere confusa la legittima ricerca dell’utile con l’utilitarismo. Quanto a Rothbard, non mi sembra che l’idea di inizio vita possa essere considerata microposizione di una sottobranca o di un sottoaspetto. Così come quella di fine vita. Ci si scontra apertamente e quotidianamente per molto meno, la vita è un aspetto importantissimo all’interno delle scuole di pensiero. Sul resto, cosa dovremmo fare? Contestarlo solo per far vedere che siamo originali? Se condividiamo il suo pensiero dovremmo evitare di manifestarlo pubblicamente perché altrimenti veniamo scambiati per fideisti? “Sommi” ci si diventa per merito, non per acclamazione. Ha creato un sistema teorico che prima mancava. Contestarlo significa che in fondo non si è d’accordo con la sostanza del pensiero libertario. Sul metodo le posizioni possono essere differenti (io, ad esempio, ho qualche perplessità su politica estera e isolazionismo) ma non posso mettermi a condividere la sostanza di un contenuto contestandolo al tempo stesso. Farei bella figura, apparentemente anticonformistica, con chi chiede posizioni autonome a tutti i costi ma mi contraddirei. A meno che non ci siano degli elementi apertamente contestabili e forse in contraddizione con l’idea libertaria. Chi li trova li sottoponga all’attenzione pubblica e vedremo di essere critici, eventualmente, nei confronti di queste contraddizioni. Lo abbiamo già fatto con l’ultimo Popper quando pretendeva la patente per essere editori radiotelevisivi. Se ci fossero le condizioni per vincere attraverso lo strumento elettorale e un redivivo Rothbard dicesse “no” per ragioni di astratta purezza, avremmo una posizione differenziata e un’azione operativa diversa. I miei personali inviti all’astensione sono causati dalla mancanza di condizioni favorevoli. Ci si può “prendere” il Partito Radicale ma devono essere d’accordo i radicali a lasciarsi prendere. Il riferimento agli zecchini d’oro di marca non collodiana, non volevano essere un pistolotto puristico: non me ne importa nulla dei falsi curricula se poi si ottiene qualcosa. Il problema è che le liste sono truffaldine quando sostengono di voler perseguire il liberismo e poi nel programma c’è tutta una serie di inutili annacquamenti. E’ facile dire “prendiamoci” i radicali, quelli del Fare, i secessionisti puri o altro. Per creare una struttura aggregante, è inutile fingere che così non sia, occorrono soldi. Tanti soldi. Chi ce li ha, li dia. Chi non ce li ha si accontenti, come me, di un’aggregazione solo teorica che sfoga il proprio malcontento su siti come questo che hanno ben pochi esempi similari. Tra questi merita di essere segnalato libertino.is. Se il sultano di Arcore avesse sfruttato il momento favorevole nel 1994, oggi la struttura organizzativa esisterebbe anche sul piano logistico. Ha preferito gingillarsi con l’idiozia del “moderatismo” e con l’incontinenza sessuale che gli ha provocato pericolose cardiopatie. Il sito che ho segnalato poc’anzi scriverebbe: “Lo ha voluto? Suo danno.” Il danno, purtroppo, è anche nostro. Conseguenza inintenzionale di azioni “moderatamente”, corporativisticamente e confessionalmente inutili. Alla lunga, anche sul piano del consenso.
Ciao, non posso rispondere a tutto, anche se ho letto… vado solo su Rothbard.
“Contestarlo significa che in fondo non si è d’accordo con la sostanza del pensiero libertario”.
Rothbard non ha introdotto un qualcosa di mancante. Secondo me ha solo portato all´estremo ció che giá esisteva. Tutto il problema che riguarda il fondamento dell´etica della libertá, e cioé come possano essere fondati dei “diritti naturali” e che cosa sia la “natura umana”, resta completamente aperto. Se non si capiscono queste cose non é nemmeno chiaro quale sia il “pensiero libertario”. Quindi, sorprende che allo stesso tempo si creino gruppi di persone che sostengono di aver capito tutto e che il libertarismo sia la veritá assoluta. Per me il vero spirito libertario sta proprio nel capire che nessuna filosofia politica é “la veritá”, libertarismo incluso. Quindi giudicare tutto sempre e comunque con il metro del perfetto libertario, alzando barriere quando (e.g., l´esperienza di fare) forse non ha molto senso. Tra le altre cose non ci si riesce nemmeno quando lo si vuole, come il caso della critica vs. appello all´Europa mostra.
Vado un po’ per la tangente, ma colgo lo spunto sullutilitarismo di Alessandro Colla…
L’utilitarismo è una filosofia morale prima e politica poi, che si basa sulla massimizzazione dell’utilità o benessere. Il benessere viene dunque considerato misurabile. E i benesseri di diverse persone vengono considerati confrontabili.
Politicamente si tratta di sommare le utilità individuali e cercare la massimizzazione di questa somma.
Se con un provvedimento politico per esempio posso aumentare il benessere di X persone diminuendo quello di X-1 persone e se le due quantità sono tali per cui il benessere che otterrò sarà maggiore di quello che avevo precedentemente tale provvedimento è utilitaristicamente giusto.
Questa filosofia è apparentemente giusta, ma in realtà assurda. Ed è opposta a una filosofia basata sui principi e i diritti individuali. basta pensare ad esempio a quali argomenti fornisce evidentemente alla redistribuzione..
Non é cosí semplice, nel senso che l´utilitarismo é una famiglia di filosofie che hanno implicazioni diverse, non un blocco monolitico. Tutto il discorso sul “bene comune” giá implica che esista una appropriazione politica di questa filosofia, dove un monopolista della forza legifera ed esegue sulla base di una serie di regole. Non so se l´utilitarismo fornisca realmente un argomento alla redistribuzione, anche perché secondo me il tuo esempio implica che esista un principio deontologico secondo cui l´utilitá marginale di tre persone vale di piú rispetto a quella di una singola persona. Cioé che la quantitá dell´utile valga maggiormente rispetto alla qualitá dell´utile. Non so come uno riesca a sostenere questa teoria senza ricorrere ad argomenti deontologici. Una teoria libertaria utilitaristica dice che non esiste nulla altro che la massimizzazione della utilitá personale e che dal conflitto di tutte le prospettive si raggiunge un equilibrio. Questo non ha nulla a che vedere con questioni come i diritti naturali.
Sí, ma infatti il discorso é quello… io vorrei vedere un movimento libertario che ad esempio si “prende” il partito radicale, aggrega tutti coloro che hanno una sensibilitá liberista creando una cosa tipo Fare, senza troppi pistolotti puristi. Invece continuo a leggere post su un blog dove si spiega perché il libertarismo non é socially liberal and fiscally conservative, dove si spacca il capello sul perché Rand Paul non é autenticamente libertario come il padre. Nonostante condivido i contenuti del tuo intervento precedente, la tua stessa maniera di presentare il caso Lottieri-Rothbard dá l´idea del fatto che sí, si puó contestare il sommo, ma solo su micro-posizioni che riguardano sotto-aspetti di una sotto-branca del suo pensiero filosofico.
Gli approcci pragmatici non sono in contraddizione con i principi libertari. Sono anzi una loro possibilità di applicazione. Il risultato, se raggiunto, non è utilitaristico ma di principio. Non bisogna confondere l’utilitarismo con l’utile, altrimenti si corre il rischio di cadere nell’errore dei marxisti che condannano il profitto e quindi l’utile d’impresa. L’eventuale scelta del male minore è dovuta alla necessità di non soccombere definitivamente. Che futuro libertario preparo ai figli se potendo scegliere rinuncio a un male limitato rispetto a uno più duro e magari perenne? Perché dovrei essere indifferente alla scelta tra il tiranno illuminato e quello oscurantista? Il primo potrei avere maggiori opportunità di convincerlo a rinunciare al trono. Tra due oscurantisti potrei preferire quello politicamente o fisicamente più debole per riuscire ad abbatterlo. Perché il metodo dovrebbe essere disgiunto dall’obiettivo? Se il metodo mi allontana dall’obiettivo posso e forse devo differenziare quest’ultimo. Se, ad esempio, andare a votare non cambia nulla perché non ci sono liste che promettono la sostituzione della democrazia con la libertà autentica, allora rinuncio al voto evitando di legittimare un’istituzione. Ma non c’è differenza tra consultazione elettorale, partecipazione referendaria, lotta armata, resistenza passiva, digiuno, martirio, immolazione o rinuncia a ogni azione. Non è obbligatorio utilizzare un’istituzione ma neanche obbligatorio rinunciarvi. Personalmente sono per mia natura contrario ad assumere farmaci, visti i loro effetti collaterali. Ma se l’alternativa è la perdita della vita o di una parte del corpo, mi tengo gli effetti collaterali. E’utilitarismo curare la propria salute? E’ preferibile morire per non dover rinunciare ai miei principi antifarmacologici? Non c’è contraddizione tra prassi e obiettivo se quest’obiettivo è autenticamente perseguito. Se una società libertaria si riuscisse a crearla, sarebbe un risultato. Se ci si trova bene anche come stato d’animo, dovremmo definirla “psicologicamente utilitaristica”? Quasi tutti i suoi componenti avrebbero un maggior benessere materiale, più beni a disposizione, più possibilità di guadagno. E’ un obiettivo centrato, un principio raggiunto o solo un approccio utitlitaristico? E’ solo se fallisco l’obiettivo che devo cambiare metodo. I libertari autentici non sono puristi, non santificano nessuno. Un rothbardiano convinto, Carlo Lottieri, ha preso una posizione differente da Rothbard sul nascituro che potrebbe essere abbandonato. Stessa posizione del recentemente scomparso professor Sergio Ricossa. Ci si può presentare alle elezioni come Ron Paul, Forza Evasori, i Liberi Comuni d’Italia con l’obiettivo dichiarato di sbarazzarsi del sistema. Può essere inutile e allora si rinuncia a presentare le liste. Ci possono essere liste che promettono lo stato minimo. Non è solo un meglio che niente, ma una possibilità di rinunciare completamente allo stato in un momento immediatamente successivo. Queste liste possono non esistere o essere truffaldine come chi diceva di voler fermare il declino partecipando allo zecchino d’oro. In questo caso non si va a votare. Specialmente, poi, se la scelta è tra la sinistra tradizionale e i Cinque Scemi.
Peccato che nel panorama politico e giornalistico italiano non ci sia alcuno che dice le cose che Leo ha illustrato con sintesi e chiarezza in questa intervista.
Mi piace pensare che gli eventuali contraddittori di Leo lo temano.
Come ha scritto Bernardini , “nella storia del pensiero sociale non esiste una sola persona che, mantenendo la coerenza logica del suo pensiero, abbia retto il confronto con un libertario”.
I libertari sono pochi, soli, denigrati solo perché sono temuti e invidiati.
Ho confuso Birindelli con Bernardini.
Come dice Birindelli, “…….”.
Il principio è la legittima difesa, non la pistola. La pistola è un metodo come possono essercene altri. Io sconfesso la violenza ma se aggredito uso la pistola, quanto meno se non ho altre possibilità. Se la possibilità di coltivare me la fornisce la pistola europea, contro l’aggressione della pistola italiana, scelgo l’arma da fuoco meno pericolosa. O che in quelle determinate circostanze risulta il male minore. Posso sconfessare il comunismo ma se mi trovo a Milano nel 1945, in quel momento posso ragionevolmente indossare la divisa partigiana insieme ai marxisti convinti. In quel momento devo distruggere l’arma tedesca, è una priorità. Se gli affiliati corleonesi vogliono eliminarmi e durante l’attentato i membri della cosca rivale mi forniscono un’arma, non mi metto certo a moralizzare su quell’arma. Non ne ho tempo, nemmeno quello di chiedermi cosa (nostra) mi chiederanno in cambio successivamente gli improvvisati e magari involontari salvatori. Se la polizia mi restituisce quanto mi hanno rubato, che faccio? Rinuncio e non denuncio perché da anarchico sconfesso lo stato? Rifiuto un eventuale sconto fiscale solo perché sono contro il fisco? E’ vero, c’è il pericolo che l’altro tiranno sia peggiore. Ma non sempre è così. Per quanto gli Sati Uniti non siano più quelli del diciannovesimo secolo, non posso pensare che non fossero da preferire alla Germania del 1945 (e neanche a quella di adesso). L’Unione Sovietica era un tiranno peggiore. Potevamo finire sotto la loro orbita, non ci siamo finiti. Mentre mi difendo dall’aggressore non ho tempo per riflettere perché è certo che né coltivo né vivo. Cerco di non legittimare nessuno, magari non andando a votare. Ma aspettare la manna dal cielo o agire in modo velleitario non risolve alcun problema.
Sí certo, tutto questo ha perfettamente senso. Ma il tuo secondo me é un approccio pragmatico che non difende “principi” libertari, ma solo risultati utilitaristici. Per me ci puó anche stare come ragionamento (non sempre), ma la mia tattica argomentativa consisteva appunto nel far esplodere questa contraddizione: i libertari tendono spesso a fare i puristi, appellandosi a Rothbard come una sorta di santone la cui parola é “la veritá”. Dicono che non ci si puó sporcare le mani, non ci si impegna politicamente con i partiti, not in my name, ecc… poi peró a volte tutto questo sparisce e si sceglie il male minore, pragmatismo, i due tiranni… Personalmente non ci sto capendo nulla.
Però non Italeave. Italuscita, in italiano. O in latino Italexit. In fondo per le altre nazioni sono state rispettate le loro proprietà linguistiche. L’Europa, comunque, non garantisce né maggiore né minore libertà. Utilizzare un’istituzione per contestare una sentenza è un metodo, non un principio. Il fatto che la repubblica itaiana sia peggiore dell’unione europea dipende dal fatto che in quest’ultima non ci siano solo i Monti e i Prodi ma anche qualcuno non italiano che in fondo ha letto Locke e Adam Smith.
Non mi torna molto l’idea che esistano metodi che non siano già carichi di principi. Il tabaccaio che si difende dal rapinatore sparandogli utilizza un metodo (pistola) sulla base di un principio (e cioè che l’offesa alla proprietà equivalga all’offesa alla persona, e che questa possa essere respinta con la violenza, ad esempio). Secondo me nel momento in cui uno sconfessa l’unione europea sta assumendo un principio e quindi non può poi utilizzare l’unione come metodo.
Io però non ho ben capito una cosa. L’Europa illiberale è la stessa a cui ci si appella per salvarsi dalle decisioni illiberali della classe politica italiota, come ad esempio nel caso Fidenato-OGM. In quella situazione, le sentenze dei giudici italici, se non erro, sono state “contestate” sulla base della legislazione europea. Quindi dobbiamo deciderci: posto che parliamo dell’Italia, l’Europa garantisce piú libertà o meno?
Obiezione corretta la sua, la questione è semplice ed è meramente tattica, ovvero mettere le follie leguleiste di uno Stato contro quelle dell’altro super-stato. L’incoerenza statalista genera mostri di illiberalità. La battaglia di Fidenato e del Movimento Libertario (che è e rimane una battaglia genuinamente liberale) serve per affermare dei principi usando gli strumenti che abbiamo a disposizione.
Grazie per la risposta. Il rischio è che la sua posizione, nel momento in cui lei parla di “principi”, potrebbe risultare incoerente. Se io affermo il principio “i ladri sono da condannare” non posso poi trattare o allearmi con dei ladri, nemmeno quando essi agiscono a mio favore, o per una causa che io ritengo giusta. Alla stessa maniera, se io ritengo l’Europa un super-stato illiberale, non posso poi servirmi dell’Europa per difendere la mia causa, proprio perchè, per principio, io non riconosco la legittimità del super-stato europeo.
Il suo approccio pragmatico funzionerebbe solo se io rinunciassi a difendere principi e semplicemente cercassi di usare ogni mezzo per raggiungere il risultato di massimizzare la mia utilità, cioè, in questo caso, poter coltivare OGM. Se le cose stanno così, e cioè parliamo di mero raggiungimento di un fine, si torna alla mia domanda iniziale: è realmente utile cercare di distruggere un tiranno, sapendo che l’altro tiranno che ti opprime avrebbe a quel punto il monopolio della forza? Mmmmmmhhhhhh….
PROSSIMAMENTE:
Grexit, Departugal, Fruckoff, Czechout, Oustria, Finish, Slovakout, Latervia, Byegium e infine…ITALEAVE!!!