“Mentre l’obiettivo di aumentare l’inflazione è in larga misura di consolidare i conti pubblici, la prima parte della strategia deve comportare un’espansione fiscale… Ciò di cui il Giappone necessita è una politica veramente aggressiva, che usi la politica fiscale e monetaria per spingere l’inflazione, fissando un target alto e sostenibile”. (P. Krugman)
Da anni Paul Krugman va ripetendo che il Giappone dovrebbe usare l’inflazione per abbassare il peso reale del proprio enorme debito pubblico. Va detto che non è l’unico a pensarla in quel modo, e in effetti con un debito che supera il 240 per cento del Pil non esistono soluzioni indolori.
Il Giappone potrebbe tagliare la spesa pubblica, aumentare le tasse, vendere pezzi di patrimonio pubblico, ristrutturare il debito decurtando il valore nominale e allungando (ulteriormente) le scadenze, oppure usare l’inflazione. Cosa che, tra l’altro, l’attuale governo sta cercando di fare da ormai tre anni.
A differenza di altri Stati, il Giappone ha un debito estero irrisorio, per cui gli effetti redistributivi di qualsivoglia strumento scelto per abbassare il debito pubblico si dispiegherebbero per lo più internamente. A maggior ragione, ciò dovrebbe far propendere per l’utilizzo di strumenti che non freghino la gente surrettiziamente.
Un default con annessa ristrutturazione, per esempio, sarebbe certamente una soluzione più “onesta” rispetto a un aumento della tassazione o, peggio ancora, all’uso della tassa inflattiva. Eppure i tanti (troppi) Krugman di questo mondo, proprio per evitare il panico o, comunque, un peggioramento delle aspettative dei cittadini, suggeriscono al governo giapponese di agire mediante l’inflazione.
Il fatto è che, come è noto, si possono fregare tutti quanti per un breve periodo, oppure si possono fregare alcuni per un lungo periodo, ma non si possono fregare tutti per un lungo periodo. Nel caso del Giappone, il governo potrebbe al più tentate di fregare tutti per un breve periodo, rischiando però che la cosa sfugga di mano. Per evitare i successivi aumenti dei rendimenti richiesti da chi deve sottoscrivere i nuovi titoli di Stato, diventerebbe quindi necessario utilizzare strumenti della cosiddetta “repressione finanziaria”, ossia imporre vincoli a determinate categorie di investitori, costringendoli a comprare titoli del Tesoro, o vietando loro di esportare capitali.
Come sosteneva Mises, ogni intervento crea effetti indesiderati per porre rimedio ai quali si ritiene necessario un ulteriore intervento. Il tutto fino al socialismo completo. Prospettiva che probabilmente non preoccupa Krugman, ma che dovrebbe preoccupare i giapponesi. I quali, per inciso, si trovano nella situazione attuale dopo due decenni abbondanti di espansioni fiscali e monetarie che non hanno rivitalizzato l’economia, in compenso gonfiando il debito pubblico fino al livello attuale. Di questo possono ringraziare gli eredi di Keynes.
I tiranni sono tutti svitati. E i loro cortigiani anche.
Krugman è proprio uno svitato.
Concordo sul default come soluzione utile per il Giappone.
Ma anche per il resto del mondo.