AAMPS è la municipalizzata dei rifiuti dei Comune di Livorno. Soffre dei problemi della grandissima maggioranza di queste società pubbliche. E’ strutturata non per fare utili o svolgere un servizio, ma per portare voti ai padroni del vapore. Tanto per capirsi, tra i propri dipendenti ci sono più impiegati negli uffici che operai sulle strade.
Infatti buona parte dei servizi viene subappaltato a ditte esterne. In più, AAMPS è gravata da un grosso debito, neanche esattamente quantificabile. Dai 25 ai 40 milioni di euro. Di fronte a questo disastro, la nuova maggioranza che guida il comune di Livorno, targata M5S, dapprima cerca di risanare in qualche modo l’azienda, ma senza ottenere risultati di rilievo. Dopo 18 mesi purtroppo infruttuosi, viene presa la decisione di aprire una procedura di concordato preventivo, cioè di portare i libri contabili in tribunale. Non è decisione facile. Il primo, e per diverso tempo l’unico, a proporre una soluzione simile è l’assessore al bilancio Lemmetti, che riceve indietro, dai suoi, epiteti quali “fascista”, “reaganiano” o “thatcheriano”. Mano a meno però che la situazione va avanti, passa l’idea che il Comune non è in grado di gestire, e tantomeno risanare, un’azienda che è una vera e propria riserva di voti del PD.
Alla fine, la maggioranza che sostiene Nogarin si ritrova di fronte ad un bivio: o buttare in quest’azienda decine milioni di euro (26? 30? 40?) rimettendo il conto ai cittadini livornesi attraverso tasse e tagli ai servizi, oppure portare i libri in tribunale. Per quanto mi riguarda, Nogarin e i suoi hanno preso l’unica decisione sensata. Non è più possibile che per salvare certi paesi dei balocchi travestiti da aziende si massacrino di tasse i contribuenti e le aziende vere. Non è possibile che per pagare i debiti creati scientemente da partiti e sindacati (i secondi forse ancora peggio dei primi) a pagare siano tutti i cittadini, con la scusa della tutela dei posti di lavoro.
In Italia la decisione della maggioranza pentastellata di Livorno ha qualcosa di rivoluzionario. La prassi è salvare qualsiasi baraccone statale, con la scusa della tutela dei “livelli occupazionali” (non uso le parole “posti di lavoro” per pudore). A Livorno hanno fatto quello che avrebbe dovuto fare Renzi con le 4 banche salvate di recente (ma poi chi l’avrebbe spiegato alla Boschi?); come avrebbe dovuto fare Berlusconi con Alitalia; o come avrebbe dovuto cercare di fare Roberto Fico, da presidente della commissione di vigilanza Rai, con la stessa Rai, il quale però ha scelto il quieto vivere.
Di fronte a certe realtà “aziendali” che diventano solo pozzi senza fondo di soldi pubblici, sarebbe il tempo di suonare la sveglia e dire che la festa è finita. E spiegare che i soldi pubblici sottratti alle tasche dei cittadini sono soldi che se spesi dai legittimi proprietari potrebbero creare ricchezza e molti più posti di lavoro (lavoro vero) di quelli usati per salvare queste consorterie di vario genere. Ce la faranno a Livorno? Ci spero. So che quando intraprendi delle battaglie di questo tipo, il rischio più grosso è quello di essere pugnalati alle spalle proprio da quelli che avrebbero dovuto essere al tuo fianco. Soprattutto in Italia, dove in 2000 anni non si è mai vista una rivoluzione. E dove qualcuno pensa di poter fare una rivoluzione senza scontentare nessuno. In bocca al lupo ragazzi, per quello che può contare, sono al vostro fianco.
Per rimettere l’azienda a posto è necessario privatizzarla. Prima è impossibile. E non credo che la giunta livornese abbia intenzione di convertirsi al libero mercato. Il Movimento Cinque Sciocchi è l’unico caso al mondo di organizzazione con vertici di sinistra sostenuta da un elettorato in gran parte considerato di destra.
Devono sparire tutte le aziende municipalizzate.
Nogarin provi a rimettere l’azienda in bonis, ma poi la venda.
Allora avrà fatto bene.
Il termine “rivoluzione” può lasciare legittimamente perplessi, ma solo perché si sono spacciate per rivoluzioni quelle che in realtà erano il suo contrario. La “rivoluzione liberale” di gobettiana memoria, pur con alcune contraddizioni, non è assimiliabile agli pseudorivoluzionarismi robespierriani, leninisti, maoisti, mussoliniani o castristi. Così come non lo è, con tutti i suoi limiti, la rivoluzione americana. Difficile ipotizzare se sarà possibile sdoganare la parola. Ma un’eventuale liberazione dall’istituzione statale, con organizzazioni su base volontaria e con diritto di secessione, sarebbe senz’altro di portata rivoluzionaria. Ben diversa dall’utilizzare una struttura giudiziale incardinata nello stato obbligatorio per tutti. Il tribunale livornese, non dovendo preoccuparsi di situazioni concorrenziali, potrebbe anche dare ragione alla municipalizzata. E potrebbe essere incentivato a ciò proprio per affermare la supremazia del pubblico sul privato, condizione indispensabile per chi esercita il potere. Specialmente se è un potere non rappresentativo come quello giurisdizionale. Altro che rivoluzione: conservazione dello status quo, indipendentemente dall’esito della sentenza. Ammesso che a una sentenza si arrivi.
Comprendo l’entusiasmo di vedere un’amministrazione comunale portare i libri di una muncipalizzata fallita in tribunale, d’altro canto in un mondo in cui si considera Deng Xiao Ping un liberale perchè meno comunista del suo mentore è perfettamente comprensibile.
Però non capisco perchè voi parliate sempre di rivoluzione. Cioè per anni e anni sono stati prodotti libri contro corrente sulle rivoluzioni francesi e comuniste descrivendole sempre sotto gli stessi stantii effetti (i morti, i genocidi, le incarcerazioni, ecc…..) e poi invocare la rivoluzione stesa. Carissimi, il mentore del liberale cinese per antonomasia era uso dire “La Rivoluzione non è un pranzo di gala”, quindi chiedere la rivoluzione e poi criticare le conseguenze della rivoluzione mi sembra un tantinello incoerente.
Si dice che la rivoluzione non può accontentare tutti? Appunto. Infatti le ghigliottine e i gulag sono serviti proprio per questo.
Detto questo non conosco in merito il pensiero dell’autore. Forse lui per rivoluzione ha in mente quella americana, ma io non vedo novelli Washington in giro, e comunque anche dopo la rivoluzione americana ci furono i primi battiecchi, come la famosa proposta di incarcerare chiunque parlasse male del governo dal senatore al presidente (eccetto il vice-presidente che guardacaso fu uno dei più coerenti oppositori di quella legge).
A volte il rischio è quello di autopugnalarsi. La giusta domanda è: ce la vogliono fare davvero? Perché in questo caso non basta portare una scrittura contabile in tribunale, occorre anche dire con chiarezza (e agire di conseguenza) che tutte le società pubbliche sono per loro natura fallimentari e che occorre lasciarle gestire a soggetti privati in un’ottica concorrenziale. Ottica di libero mercato autentico, insomma, non soltanto nominale. Sono scettico sulla vocazione liberistica della formazione politica che amministra Livorno.