“Il lavoro non è un dono gentilmente concesso a pochi raccomandati: è un diritto per tutti”. (J. M. Bergoglio)
Di dichiarazioni come quella che ho riportato, Papa Francesco ne fa abbastanza spesso. In Italia rischia di trovarsi in “competizione”, se così si vuol dire, con sindacalisti e comunisti assortiti.
Il problema è che un “diritto al lavoro” non esiste, quanto meno non nel senso comunemente inteso (suppongo anche da parte del Papa). Esiste il diritto di ognuno di offrire il proprio lavoro in cambio di altri beni o servizi (tipicamente denaro) nell’ambito di scambi volontari. Impedire a una persona di offrire il proprio lavoro laddove questo non costituisca violazione del principio di non aggressione sarebbe una violazione dello stesso principio di non aggressione.
Viceversa, il “diritto al lavoro” comunemente (ed erroneamente) inteso comporterebbe l’obbligo da parte di qualcuno a scambiare beni o servizi (tipicamente denaro) con attività lavorative che non richiederebbe volontariamente. Questa sarebbe senza dubbio una violazione del principio di non aggressione nei confronti di chi fosse costretto a pagare la prestazione lavorativa altrui.
In altri termini, l’esercizio del diritto da parte di Tizio comporterebbe la (parziale) riduzione in schiavitù di Caio e di chiunque altro paghi il conto. Definire “diritto” una cosa del genere a me pare assurdo, oltre a essere la negazione stessa del concetto autentico di solidarietà, che pure tanto spesso viene invocata dal Papa.
Quanto alla realizzabilità, la storia degli esprimenti socialisti dovrebbe aver fornito già prove sufficienti per non volerne fare di nuovi.
Rerum Novarum, Populorum Progressio, Centesimus Annus, Dossetti, Lazzati, Fanfani, Mattei, La Pira… Spesso, all’interno del mondo cattolico e della Chiesa di Roma, si trovano posizioni aspiranti a socialisteggiare. Dimenticano la scuola di Salamanca, Suarez, Molina, Manzoni e soprattutto Gioberti, Rosmini e Sturzo. Gli ultimi due, pur essendo ministri del culto, sono stati i politici più laici della storia italiana. E la Chiesa come li ha trattati? Il primo sospeso a divinis, il secondo esiliato. Il guaio è che la Chiesa si è fatta stato e conseguenzialmente finisce per creare ragionatori di impronta statalistica. Giusto scrivere “competizione” tra virgolette. E’ la stessa “competizione” che può esserci tra Bertinotti e Landini. Chi è più hegeliano, Feurbach o Schmitt? Non so quanta importanza abbia, filosoficamente parlando. Se lo statalismo sia compatibile con la dottrina cristiana, quanto meno nella sua interpretazione cattolica, lo stabiliscano i vescovi: l’esegesi è di loro competenza. Ma che ci debba essere obbligo di aderire al labourismo sotto tutte le sue forme mi pare azzardato. Non solo nessuno deve essere costretto a fornire guadagno ma deve anche sussistere il diritto a non voler guadagnare e a non voler lavorare. Problemi del singolo se ha o non ha una rendita, se ama vivere da mantenuto o se vuole morire di fame. Per quanto paradossale è giusto rispettare anche quest’ultima scelta.
Esiste la tragedia dei beni comuni.
Ma esiste anche la farsa dei diritti acquisiti.
Il lavoro è tante cose..
è ciò che spesso permette a una persona di fare il suo pieno ingresso nella società, di rendersi autonoma dai genitori, di pensare a costruirsi la propria casa e la propria famiglia, e così via. Sulla possibilità di lavorare riposa la possibilità di conquistare quella indipendenza economica che permette autonomia nelle scelte di vita. Chi lavora, guadagna, si mantiene, e può permettersi anche di fare scelte contro corrente, o che la sua famiglia non approva, mentre chi dipende economicamente da altri non può gestirsi altrettanto liberamente. Vale per una impresa rispetto ai suoi debitori, ma anche per una persona, nella vita quotidiana.
è ciò che insegna a una persona a programmare, a prevedere, a risparmiare, ad affrontare imprevisti, a gestire i soldi, ad assumersi responsabilità, a valutare la reputazione, a sopportare la pressione, a gestire l’incertezza..
è ciò che permette di essere un membro attivo e rispettato della comunità, di collaborare per il reciproco benessere con le persone intorno, di ripagare tutte le persone che ci hanno dato qualcosa dando a nostra volta qualcosa indietro a loro e ad altri.
è ciò che permette di avere la disponibilità economica per finanziare le proprie idee, progetti e interessi e per supportare ciò a cui va il nostro consenso, sul piano culturale, religioso, artistico, etc..
ed è tante altre cose.. ma non è un diritto nel senso inteso dal Papa. Diritto è tenersi i frutti del proprio lavoro e poterli spendere secondo le proprie preferenze e non come dicono Salvini-Berlusconi-Monti-Renzi-Vendola. Diritto è poter lavorare liberamente senza tutte le regole idiote messe dallo Stato. Diritto è quello di non doversi confrontare con concorrenti sussidiati o favoriti con leggi ad hoc dallo Stato. Diritto è quello di potere lavorare in un mercato che non sia falsato dalle manovre politiche sulla moneta e il credito. Diritto è poter produrre/vendere/comprare alla luce del sole e con piena possibilità di fare valere i contratti, qualsiasi prodotto o servizio finchè non vi sono violazioni del principio di non aggressione, anche tutto ciò che oggi lo stato proibisce o semi-proibisce (dalle armi, al sesso, alla droga, agli ogm, agli organi, ai diritti di adozione, etc..). Diritto è poter scegliere con chi lavorare e anche con chi non lavorare a tutti i livelli (clienti, fornitori, soci, etc..), sulla base di qualsiasi criterio (sarà poi il mercato a premiare o punire). Diritto è quello ad un sistema scolastico interamente privato, acquistato e finanziato in un contesto di libero mercato, che potrebbe preparare molto meglio chi lo frequenta al lavoro e dargli delle possibilità in più, anzichè in meno come fa il sistema statale odierno.
…….ma che lavoro fa il papa?
Quello di demolitore delle tradizioni e di co-costruttore della nuova torre di Babele.