A volte è necessario richiamarsi ai principi per orientare correttamente la discussione. Si sentono in giro, infatti, delle enormità, come quando qualcuno sollecita una legge che lo autorizzi a difendersi, senza rendersi conto di chiedere allo stato qualcosa che è già suo. Anche semplificando un po’, quindi, non si corre certo il rischio di impoverire la qualità del dibattito che, con grande profitto di alcuni partiti, marcia a vele spiegate verso direzioni che non hanno nulla a che fare con la questione. Il problema, infatti, non è approvare tra gli applausi l’abbattimento di un qualche clandestino, ma di inquadrare il comportamento individuale all’interno di uno schema di diritti e valutarne le conseguenze sociali. Sull’ultimo punto è difficile dire qualcosa di sensato, ma sul primo le idee sono chiare.
Per il contrattualismo, che è l’unica teoria dello stato a cui ci interessa richiamarci ora, l’individuo cede spontaneamente una parte della sua assoluta libertà per assicurarsi una maggiore sicurezza sociale e personale. Questo contratto tra governati e governanti implica obblighi precisi per ambedue le parti e, nel momento in cui il patto viene violato, il potere politico diventa illegittimo; di conseguenza il diritto di resistenza e ribellione viene legittimato. Fin qui ci siamo. Possiamo anche dire che questo patto, che idealmente sottoscriviamo, se non con la nostra nascita, almeno con l’ingresso nella società civile come individuo dotato di ragione, conserva una sua capacità coercitiva, non si può cambiare a piacimento ed in ogni occasione, non fosse altro che per motivi pratici. Non è che ci si possa svegliare la mattina, uscire per la strada e, homo hominis lupus, instaurare improvvisamente delle nuove regole, magari con un mitra in mano.
L’individuo, con questo patto, immaginario ma molto cogente, rinuncia a delle libertà e a dei diritti a favore di una maggiore sicurezza. Nella storia la qualità e la estensione di questi diritti si è costantemente modificata, fino a comprenderne col tempo di nuovi ed impensabili originariamente, come quelli che conosciamo come i diritti fondamentali dell’uomo, che oggi riteniamo inalienabili, incoercibili e indisponibili. Tra questi il diritto alla libertà individuale, alla vita, all’autodeterminazione, a un giusto processo, la libertà religiosa, quello di voto, quello alla riservatezza dei proprio dati personali. Inutile dire che la difesa della vita e la tutela della sicurezza personale e della salute fanno parte di quelle facoltà dell’individuo che più si avvicinano al diritto naturale, a quello che immaginiamo lo stato dell’uomo alle sue origini.
Sono attributi talmente connaturati all’individuo da essere ritenute non negoziabili. Nessuno si sognerebbe oggi, in occidente, di chiedere un’autorizzazione per farsi curare da una malattia, o pensa che un uomo possa essere ridotto in schiavitù o costretto ad abbracciare un determinato credo religioso. Ma non è sempre stato così e qualunque cambiamento dell’estensione delle libertà individuali è sempre avvenuto a seguito di grandi e sanguinosi conflitti, rivoluzioni e, non di rado, con rituali e definitive decapitazioni pubbliche di re e governanti.
Questo per dire che il contratto sociale, così consolidatosi nel sangue di innumerevoli generazioni, ha un valore che lo rende impegnativo per chiunque e non facilmente modificabile, come detto. Le deleghe, per così dire, date allo stato non si possono ritirare così facilmente e senza maggioranze qualificate e ben decise. Quando, nei tempi più antichi, si è affidato allo stato o alla comunità comunque intesa la difesa della vita e della proprietà dei singoli individui, accettando di rinunciare all’uso individuale della forza ed all’esercitare la giustizia da sé stessi, lo si è fatto nella convinzione e nella coscienza che in questo modo ci si sarebbe potuta assicurare una maggiore sicurezza. La pretesa di cambiare questa antica convenzione di punto in bianco è assurda e, nella pratica, foriera di guai seri; quindi, per quel che mi riguarda, fuori discussione. Questo però nn significa che i diritti dell’individuo, anche se alla loro tutela è stata data delega allo stato, siano venuti a cadere.
In altre parole, ben venga il fatto che sia lo stato a tutelare e difendere la mia vita. Sono una persona pacifica, amante della pace e non saprei come impugnare un’arma. Questo fatto però non annulla assolutamente il mio diritto alla vita ed alla sicurezza e la conseguente facoltà di difendermi con tutti i mezzi a disposizione, esattamente come il fatto, per esempio, che esista una sanità pubblica non mi impedisce di farmi curare dome e come mi pare e piace, e nessuno di sognerebbe mai di impedirmelo. Esistono dei diritti che riconosciamo talmente fondamentali che ci viene impedito perfino di rinunciare volontariamente ad essi: non possiamo vendere un rene, per esempio, così come non possiamo diventare schiavi d qualcun altro, anche volendo. ogni contratto in questo senso sarebbe nullo e la sua esecuzione illegale. Riconosciamo cioè che ci sono degli attributi della persona che non possono essere limitati in alcun modo perché costituiscono parti fondamentali della personalità. Non negoziabili, appunto.
Tutto questo per arrivare ai fatti di questi giorni. Non c’è dubbio che la personalità dell’individuo si estende fino ad abbracciare i suoi beni ed in particolare l’abitazione. Nessuno può violare il domicilio ad eccezione dello stato che, in virtù di quel contratto, un certi particolarissimi casi e solo nel rispetto di procedure molto precise, può penetrarvi senza consenso e se necessario usando la forza. Non stiamo a discutere se questo ia giusto o meno, se sia accettabile o no. Sta di fatto che, ad eccezione di questo caso specialissimo, chiunque entri nella mia abitazione, che sia per sottrarmi i beni o che sia per usare violenza a me o alle persone che sono con me, esercita un abuso che non può essere tollerato e che lede fino alla radice la mia personalità. In casi come questi io non devo pormi il problema di dover seguire delle regole d’ingaggio per difendermi o di essere autorizzato a farlo o meno. Non ha alcuna importanza che abbia il porto d’armi o che l’arma sia custodita nel comodino o in cassaforte. Io ho il pieno diritto di piantare una pallottola nella fronte di chi mi sorprende nottetempo nella mia abitazione dopo aver forzato la porta. Anche se è ancora nel giardino ed ho la ragionevole convinzione che stia per piombarmi in casa di nascosto. Esattamente come, per esempio, ho il diritto di curarmi dove e come mi pare, e le leggi dello stato che mi lo impediscano sarebbero illegittime; esattamente come, per esempio, ho il diritto di esprimere la mia opinione e professare la religione che mi pare, e le leggi che me lo limitino sarebbero illegittime e quindi inefficaci, allo stesso modo il diritto di difendermi nel modo che creda più opportuno dall’intrusione nella mia abitazione qualora abbia la ragionevole certezza che l’intruso minacci la mia persona.
Lo stato può regolare questo diritto. Può decidere che nei tribunali le armi non siano ammesse, così come sugli aerei: sono cose che hanno un senso e, finché sono rispettate da tutti, perfino ragionevoli ed opportune. Ma non può limitarlo. Solo finché lo stato è in grado di esercitare una tutela efficace della incolumità e di proteggere il domicilio può essere accettata una volontaria rinuncia all’esercizio della forza, perché questo è il senso del contratto implicitamente stipulato. Ma quando questo non funziona, nell’istante del bisogno l’individuo ritira per così dire la delega e si riappropria automaticamente della facoltà di agire in proprio senza intermediazioni.
Sia ben chiaro che tutto questo non è un incitazione al farsi giustizia da sé o, in nessun modo, un approvazione del comportamento di chi magari ha il grilletto facile. Si parla della vita delle persone che, fossero pure dei delinquenti, è sacra ed inviolabile. Ma inviolabile solo fino al momento in cui entra con violenza in conflitto con la mia persona. Le incitazioni di questi giorni e le marce di solidarietà nei confronti di chi si è trovato nella macabra e tremendo necessitò di difendersi in modo così estremo mi sembrano orribili conseguenze di un clima politico marcio e di partiti all’assalto delle spoglie di uno stato che non ha ormai più la credibilità necessaria per esistere dignitosamente. Però bisogna ancora dire alcune cose. Il diritto alla difesa personale, anche qualora fosse affermato (per esempio con l’istituto della legittima difesa), non deve e non può essere vanificato nei fatti con imposizione di procedimenti talmente onerosi e infamanti da minare l’esistenza della persona che, oltre ad essere stata aggredita, deve anche penare per giustificare l’esercizio di un suo diritto. Io dico: in questi casi l’onere della prova deve a maggior ragione ricadere sulle spalle della pubblica accusa. Se il fatto avviene alle 2 di notte, dopo aver forzato la porta di casa, la presunzione dev’essere in favore dell’aggredito e, una volta accertato che non ci siano fondati motivi di pensare il contrario, gli si devono rivolgere le scuse per non averlo saputo difendere e chiuso lì. La riflessione sul diritto all’autodifesa travalica l’episodio di cronaca e la incardina sul più generale tema dei diritti dell’individuo e sui limiti che la società può legittimamente imporgli.
di ROBERTO BOLZAN
Vuoi vendere il tuo rene se si arriva di nuovo a noi ora tramite questa email:? [email protected]
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/spara-aria-contro-i-ladri-indagato-esplosioni-pericolose-1188794.html
Ottimo articolo, bravo!
Aggiungerei che chi subisce un furto o tentato o una rapina è già di per se parte lesa; se poi succede che si trova nella condizione di sparare, immaginiamo quale trauma psichico si deve portare dietro? E tutto questo rimanendo a casa propria, senza cercarsi rogne. Chi entra nella proprietà altrui mette in conto di subire danni…
Ottimo articolo. Roberto, non sapevo della tua vena filosofico-giuridica. Bravo!!!!
Un tempo i cattolici esprimevano riserve sui trapianti indipendentemente da un eventuale commercio degli organi. Credo che oggi non abbiano più queste riserve.
Che c’entra con l’articolo? Nulla. Infatti era per una altro articolo. Chiedo scusa.
Errata Corrige: la celebre cantante si chiamava Rodrigues, con la “esse” e non Rodriguez, con la “zeta”.
Perchè dovrebbe essere giusto che un adulto libero e consenziente non si possa vendere un rene?
La schiavitù è illegittima solo in quanto istituto che coarta la libera volontà dell’individuo. Un adulto consenziente potrebbe sottoporsi a una vita durissima coltivando cotone e subendo pesantissime penitenze, digiuni o punizioni in una comunità in cui sia garantita la libertà di uscirne. Mi pare si chiamassero conventi di clausura.
Suggerisco di difendere l’indifendibile altrimenti rimarremo indifesi. Non di meno questo articolo è molto bello.
Ma infatti l’articolo non parla di contrastare i diritti individuali, sulla vendita degli organi, quelli sono casi limite, a parte nel terzo mondo non vedo così tanti offerenti di reni in giro :-), comunque mi piacerebbe sentire l’opinione degli amici cattolici nel merito.
Chi vuole vivere in clausura ovviamente ne ha diritto, ma la clausura non deve essere poi collettivizzata.
Ergo, difendere l’indifendibile sì, a patto che non diventi deus ex machina della massa.
In linea teorica è giusto. Ma non di sola teoria vive l’uomo e quindi ritengo sensato che ci siano dei limiti che rendano alcune cose (la libertà, l’integrità fisica) sottratti allo scambio mercantile.
Infatti un rene si può donare e non vendere, la vita si può donare e non vendere, la libertà si può sacrificare, ma non vendere.
Il divieto di vendita degli organi, della libertà e della vita serve a sottrarre questi indisponibili attributi dell’essere umano alla necessità, che potrebbe indurre qualcuno a vendere, appunto, preso dal bisogno. E, invece di andare a vedere il caso specifico, e valutare se fosse vera libertà o bisogno, la legge (e qui direi propriamente la Legge) lo vieta assolutamente.
Lo trovo sensato.