“Un haircut non è legale, se parliamo di rinunciare a parte del debito. Se invece usiamo il termine ristrutturazione, con il quale si può intendere un’estensione delle scadenze, un periodo di sospensione dei pagamenti per interessi o del rimborso delle quote di capitale, allora se ne può parlare”. (J. Spahn)
Jens Spahn, viceministro delle Finanze, ha ribadito per l’ennesima volta la posizione della Germania (e di diversi altri Paesi creditori) in merito al debito della Grecia. Un debito evidentemente insostenibile da almeno 5 anni, che, nonostante concessioni per oltre 300 miliardi di euro complessivi (tra crediti da parte dei Paesi Ue, Bce e FMI, oltre a decurtazioni “volontarie” da parte dei privati), rimane tale.
L’idea di fornire altri finanziamenti per 86 miliardi nei prossimi tre anni è ovviamente allucinante se si ragiona usando il buon senso prima ancora di tirare in ballo i rudimenti di base della matematica finanziaria. Ma tant’è: dal punto di vista della forma legale la posizione tedesca è probabilmente ineccepibile, e in politica la forma prevale inevitabilmente sulla sostanza. Peccato che la sostanza sia poi quella che prevale quando c’è da pagare il conto. Un conto che, guarda caso, è e sarà pagato da persone ben diverse da quelle che stanno trattando la faccenda a livello politico.
Allungare le scadenze e sospendere per 10 o 20 anni il pagamento degli interessi equivale a tagliare quel debito, perché anche ipotizzando che arrivati a quell’epoca il debitore sia in grado di pagare, il valore reale del denaro ricevuto sarà inevitabilmente eroso, probabilmente in misura significativa.
Resta il fatto, tra l’altro, che un allungamento delle scadenze e una riduzione degli interessi, oltre a una sospensione del pagamento degli stessi, sono già stati concessi alla Grecia negli anni scorsi. Eppure oggi il governo greco continua a pagare stipendi e pensioni (a un numero di persone in proporzioni ben superiori rispetto alla media europea) solo grazie ai finanziamenti esterni e ai mancati pagamenti ai fornitori, uno sport ben noto anche alle aziende che forniscono beni e servizi alla Repubblica italiana.
Allora si usi pure il termine che si preferisce, ma in sostanza la Grecia è insolvente, e dare altri soldi (senza rischiare di tasca propria) a un debitore insolvente perché non si vuole riconoscere che quelli già dati in passato (sempre non di tasca propria) non verranno mai rimborsati (se non in minima parte) a me pare pura e semplice ipocrisia (per usare un eufemismo). Ma c’è chi la chiama arte della politica.
Esiste solo una via d’uscita, ma quale? La lotta armata?. Ma le armi ce le hanno loro.
Volevo costruire un teatro. Nessuna banca mi finanzia perché non possiedo garanzie. Secondo loro per avere il finanziamento dovrei possedere un teatro da ipotecare in caso di mancata restituzione del prestito. Non sono un cattivo pagatore, non mi finanziano e basta. I governi greci vogliono costruire la fortuna personale dei governanti. L’unica garanzia che forniscono è quella di non pagare mai i debiti dal tempo in cui Roma invase l’Ellade. Per loro i soldi si trovano. C’è qualcosa che non torna. Forse, dal momento che la Grecia è la madre del teatro d’occidente, le banche non mi finanziano su pressione dei colonn… pardon, dei governanti greci che temono la mia pericolosa concorrenza drammatica?
Davvero amarissime considerazioni. Siamo al cospetto di un’organizzazione criminale prima al mondo per dimensioni, grado di violenza, livello di impunita’. Esiste solo una via d’uscita
Infatti le parole stanno a zero.
Tutti sanno che la grecia è fallita, senza possibilità di recupero.
Tutti se ne rimpallano il debito.
In grecia sono alla deriva.