“Inoltre, una volta iniziata la correzione del mercato, le autorità dovrebbero lasciarle fare il suo corso anziché pompare i prezzi con altre leve, una strategia che non è altro che un prolungamento della correzione. Se i regolatori cinesi permettono una correzione del mercato, finiranno per arrivare anche gli investitori istituzionali più esperti con un orientamento a lungo termine, promuovendo la stabilità finanziaria del mercato”. (M. Spence)
Oltre a trovare terribilmente noioso ciò che scrive Micheal Spence, non è inusuale che l’autore finisca per contraddirsi nello stesso articolo.
Nessun dubbio che le autorità cinesi dovrebbero lasciare il mercato libero da interferenze, contrariamente a quanto hanno fatto finora. Ma ecco cosa aggiunge subito dopo Spence:
“Nel frattempo, può essere legittimo ricorrere al saldo di bilancio pubblico per acquistare un numero di azioni sufficiente a impedire un’ipercorrezione del mercato.”
Legittimo in base a cosa, Spence non tenta neppure di spiegarlo. Evidentemente si tratta di un suo punto di vista, tutt’altro che oggettivo. Resta il fatto che prima sostiene che il mercato debba essere lasciato libero di fare il suo corso, salvo poi giustificare interventi volti a impedire un’ipercorrezione.
Il punto è: chi stabilisce quando una correzione è iper? Evidentemente si tratta di una decisione arbitraria, a maggior ragione se lasciata a soggetti che non intervengono utilizzando fondi propri o ricevuti in gestione volontariamente.
Ed ecco una nuova giravolta di Spence:
“Con l’espansione dei mercati cinesi – la capitalizzazione dei mercati di Shanghai e Shenzhen è dell’ordine di 11 trilioni di dollari – è sempre più difficile per i decisori gestire prezzi e fare valutazioni. L’unica soluzione possibile è che le autorità cinesi si concentrino sullo sviluppo di istituzioni e regolamentazioni, proseguendo nel loro impegno di lasciare ai mercati un ruolo decisivo nella ripartizione delle risorse.”
Ricapitolando: 1) le autorità cinesi dovrebbero lasciare libero il mercato di operare, salvo 2) intervenire per impedire le ipercorrezioni, tenendo però presente che 3) è sempre più difficile per i burocrati gestire prezzi e fare valutazioni.
A prescindere dal fatto che il punto 1) dovrebbe essere non solo la logica conseguenza del punto 3) (Spence avrebbe potuto leggere Mises, che queste cose le aveva capite e scritte quasi un secolo fa), bensì l’opzione da seguire se si intende rispettare in senso lato il diritto di proprietà, a me pare evidente che sostenendo i punti 1) e 3) non si dovrebbe, per coerenza, sostenere anche il punto 2).
Roba che solo un premio Nobel per l’economia può fare.
Ma se tutti sono padroni, ognuno fa ciò che vuole. Il mercato, se è autentico, è necessariamente libero. Se è costretto alla volontà di un padrone, quest’unico padrone è lo stato. E allora è la fine del mercato, non ha più senso chiamarlo così. Se si riserva a qualcuno la possibilità di commerciare e si vieta a un altro, quest’atto lo può commettere solo un’entità che si arroga illegittimamente il diritto di decidere chi può essere libero e chi no. Quest’entità si chiama stato, è inutile girarci intorno.
Il mercato è come lo schiavo, libero di fare ciò che vuole, purchè non sia in contrasto con la volontà del padrone.
Spence non è certo Spencer. Il suo problema è il non voler ammettere che il mercato, in assenza di interferenze pubbliche, è in grado di correggere da sé le proprie eventuali imperfezioni.