Quando gli Stati, intesi come organizzazioni burocratiche e amministrative, erano piccoli e poco invasivi della vita degli individui, potè nascere ed affermarsi quella concezione economica basata sullo scambio volontario che poi venne studiata e sistematizzata nell’800 da filosofi ed economisti classici e prese il nome di liberalismo. Questo spiega secondo me perchè il liberalismo, ma lo stesso si può dire della rivoluzione industriale, non nacque in Cina e in estremo oriente e neanche nel Medio Oriente Mussulmano.
In quel pezzo di mondo imperiale e totalizzante infatti, il metodo burocratico/amministrativo/militaresco era molto più progredito di quanto lo fosse in Occidente. La “macchina statale” era perciò assai più asfissiante nei confronti dei contadini, degli artigiani, dei piccoli produttori, dei mercanti, di coloro, cioè, che definiamo creatori di ricchezza netta. L’organizzazione fiscale militarizzata era molto più efficiente ed efficace di quanto lo fosse nell’ Europa medievale dei comuni, delle leghe fra città e del sistema di potere policentrico rappresentato da Chiesa, Monarchia, Aristocrazia a cui si aggiunse più tardi anche la borghesia.
All’Est, secoli di sottomissione al satrapo e all’imperatore, hanno favorito una cultura di massa che non concepisce altro che quello che il potere centrale rende “legale”. Un positivismo che in Europa nacque anch’esso nell’800 ma che in Cina, in Giappone, India era già attivo da secoli, col rinforzo di considerare il sovrano la reincarnazione della divinità in Terra.
Tuttora in Cina, dove assistiamo ai vagiti di un capitalismo seppur rozzo e primitivo, non si sta diffondendo irresistibile la cultura del libero mercato, si fa business nella modalità e nella misura che il Partito Comunista ha deciso di concedere. Si fa business e guai a parlare di politica. La massa non è liberale, così come la massa non è affamata di libertà politica (che non può esistere senza libertà economica) tanto che il coraggioso ragazzo di Tien An Men scaldò i nostri cuori ma lasciò freddi quelli del popolo cinese.
Il liberalismo, quello vero (oggi pure il PD si definisce liberale), non è una scelta politica che si prende a tavolino, è una condizione dell’individuo che può sorgere e diffondersi solo quando gli Stati, non sono invasivi e le persone non anelano a un regime che ti segua dalla culla alla tomba.
Perciò alle rivolte degli imprenditori, dei negozianti, delle partite IVA contro il fisco predatorio e asfissiante non ci credo affatto. In uno Stato che, secondo la quasi totalità delle persone, deve occuparsi persino di regolare le relazioni tra lesbiche e omosessuali, che liberalismo (vero) volete che si diffonda?
Eppure i veri rivoluzionari francesi, i borghesi anti – gabella, non avevano tutte queste paure. Purtroppo i rivoluzionari finti, molti dei quali portavano cognomi aristocratici, crearono il terrore controrivoluzionario. E’ di questo che hanno ancora paura gli imprenditori dell’epoca di internet? E nel 1776, se avesse prevalso questo tipo di paura nei coloni americani, Giorgio Washington sarebbe un’oscura e sconosciuta lapide.
A me basterebbe che arrivasse alla casalinga di Voghera.
Non avrà la partita iva, ma per me è vera imprenditrice nel ramo quantomeno domestico, ma non solo.
Un imprenditore (vero) espone il proprio capitale alle dinamiche della produzione consentendo la creazione della ricchezza propria e di coloro che scambiano al contempo energie produttive o prodotti.
Quando un (vero) imprenditore ha messo sul piatto la parte rilevante della propria sostanza non può fare altro che raccoglierne i frutti o pagare gli errori con la perdita del capitale. Per essere in grado di ottenere i risultati della visione che fornito l’iniziale impulso, l’imprenditore continuamente deve coordinare le proprie azioni cercando di scoprire nuove esigenze o coprire disallineamenti di risorse, deve continuare a farsi preferire dal cliente e domandarsi come attrarre l’interesse di altri.
Per operare produttivamente deve avere condizioni idonee. L’attenzione non è mai su chi comanda o come comanda. Un’impresa vive di continuità dinamica di azione. Non è prospettando il sole dell’avvenire che si conquista un imprenditore alla propria causa. Un imprenditore vive immerso nei flussi che ne consentono la sopravvivenza. Se la molteplicità dei flussi si coordina in una dinamica anche sinuosa, ma lineare e continua tutto funziona. Ma quel che non potete chiedere ad un imprenditore è che accetti soluzioni o solo le prenda in considerazione salti, interruzioni, imponderatezza, fede in una teoria che non ha in proprio studiato, fatta sua e compresa in nuce.
La totale incertezza nel domani è condizione naturale per l’imprenditore.
L’incertezza però non va aggravata o manipolata o frullata in maniera da interrompere lo sforzo di mantenere attivo ed operativo il calcolo economico sul quale si basa la coordinazione tra il presente e il futuro di un processo che coinvolge tutti.
Un imprenditore ha obiettivi per i quali ritiene che sia giusto investire una vita di lavoro, cinquant’anni.
Ha obiettivi che se è bravo arrivano dopo venti.
Ciò è vero se ha fatto bene quelle cose che cambiano spesso in un decennio. Ad un decennio non arrivi se hai calcolato bene i passi ed i tempi di lustro in lustro.
Cinque esercizi sono poco o tanto se non tieni conto…. delle stagioni, ….dei mesi, ….della prossima settimana come butta.
Sempre se domani vengono tutti a lavorare o se tra un’ ora mi confermano quel contratto.
Va bene quel che s’ha da fare a 50 anni, 20, 10, 5, 1 anno, stagione, mese, settimana, giorno, ora.
Non arriviamo a comprenderne la complessità se non pensiamo che tutte queste tappe possono convivere come problematica ed essere processate dinamicamente nella stessa testa tutti i santi giorni per verifica di continuità e coerenza.
Ad un certo punto poi ci sono anche i passaggi generazionali programmabili per tempo od improvvisi da attacco di cuore.
Ma che cavolo deve fare un (Vero) imprenditore, il rivoluzionario? Magari fossero tutti come Fidenato!! Ma un Fidenato non fa primavera. Non mi stupirei se anche lui ad un certo punto la smettesse di fare come Don Chisciotte. (la mia stima comunque non cambierebbe)
Coinvolgere gli imprenditori o per lo meno non spaventarli è la chiave per un cambio di passo nella cooperazione sociale. La avventura indipendentista catalana frana ahimè proprio su questo punto. Manca la divulgazione del contenuto che serve a dare continuità dinamica alle condizioni ambientali durante il processo di passaggio verso la repubblica. Sti poveri imprenditori dovrebbero fare una salto nel buio per la bella faccia di A.Mas o dei barbudos di E.R.?
In fondo I politici son tutti statalisti o microstatalisti dalle belle speranze e quindi è normale che non sappiano spiegare al motore imprenditoriale la loro Catalunya. Fuori hanno gioco fin troppo facile nello spaventare l’imprenditore. Tipo: Non compreremo più i tuoi prodotti! Tu vivi del nostro mercato! Fallirai miseramente e tutti i tuoi sacrifici andranno in fumo! Sarai per noi extracomunitario! Pensaci, buuuuh! E tu che pensavi di lasciare l’impresa ai tuoi figli… che peccato!
Quindi gli imprenditori non capiscono mediamente perché sono immersi in condizioni già pessime e prossime al limite. Prossime fino al punto di percepire pienamente la precarietà della loro sostenibilità in presenza di moti di natura non conosciuta o stimabile a priori. Una incertezza aggiunta che potrebbe esser loro fatale viene percepita distintamente e chiaramente. Non potrebbero far conto sui benefici della terra promessa se ci arrivassero morti. Un imprenditore vive di sacrifici e se è bravo dei propri successi. Non sono i sacrifici che fanno paura. Una impresa morta non serve a nessuno. Ognuno è più realista del Re con la propria impresa, anche se non ha capito chi lo sta realmente rovinando.
Nessuno va messo in croce. Chi più e chi meno di croci ne abbiamo tutti addosso.
Come far passare le cose sostanziali? Con tanto amore. Poi come viene viene.
L’importante è non spezzare mai (casalinga o industriale che sia) il loro calcolo economico, ma casomai sostenerli nell’autonomia d’algoritmo perché da soli rendano migliore la loro vita.
Fortunatamente o meno, tra non molto, l’implosione del sistema ci toglierà dal quotidiano alcune ambiguità anche involontarie.
Sono poche le persone che non sopportano il giogo e queste lottano tutti i giorni per conquistare la libertà.
E’ un’indole che non tutti hanno.
Indole di una piccola minoranza anche nei paesi occidentali. Figuriamoci altrove.
https://it.wikipedia.org/wiki/Esperimento_di_Asch
Credo nell’unicità dell’Occidente. L’individualismo è il carattere più notevole dell’Occidente in un mondo che tende al collettivismo. I popoli dell’Asia settentrionale pur intelligenti sono più conformisti rispetto ai popoli occidentali (in modo particolare quelli dell’Europa nord-orientale).
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2842692/
Con i cambiamenti demografici in corso è prevedibile che l’Occidente somigli sempre di più al resto del mondo, collettivista e autoritario.