L’imprenditore che, accusato di omissione contributiva, non versa tutte le rate concordate nel piano di rientro con l’INPS è punibile con il carcere e la pena non può essere convertita in pecuniaria. A stabilirlo è stata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 24900/2015.
Il caso riguardava un imprenditore milanese condannato, in via definitiva, per aver mancato di versare regolarmente i contributi ai propri dipendenti, per un totale di 3 mila euro.
Tale debito era stato rateizzato, ma l’imprenditore aveva mancato di versare alcune rate. Condannato alla reclusione, l’imprenditore aveva chiesto che la pena venisse convertita in pecuniaria.
Richieste respinte dalla Corte di Cassazione, terza sezione penale, che non ha mancato di sottolineare la gravità già della mancanza iniziale dell’imprenditore: l’omissione contributiva dell’imputato. Ancora più grave la permanenza del debito e il mancato versamento delle rate all’INPS. A nulla è valsa la difesa dell’imprenditore che adduceva uno stato di crisi economico-finanziaria basata però solo sull’intervenuto fallimento dichiarato, tra l’altro, circa sei anni dopo la commissione del reato.
Forse trasuda masochismo, non sadismo. Resta da capire come possa pensare di essere credibile un’entità pubblica che preferisce un numero maggiore di disoccupati a una mancata entrata. Resta da capire come un disoccupato con un po’ di sale in zucca e un minimo di istruzione di base possa prendersela, per la sua condizione, con i “padroni”, con il sistema capitalistico e con l’economia libera.
Cosa aspettiamo allora ad arrestare tutti i ministri della Repubblica che per anni non hanno versato all’Inpdap i contributi pensionistici dei dipendenti pubblici?