ATENE – I numeri migliorano, anche se in maniera fragile, ma la vita quotidiana no: dopo quattro anni di sacrifici durissimi, con la disperazione e lo sconforto che hanno travolto molti greci un tempo appartenenti alla classe media, la crisi economica – che è diventata sociale, psicologica, ed anche culturale secondo lo scrittore Petros Markaris – il Paese torna al voto. Sperando in maniera sempre meno convinta in un cambiamento.
La ripresa, almeno nei numeri dell’economia, sembrava iniziata, ma il 26 novembre i tesi colloqui tra governo di Atene e i creditori internazionali rappresentati nella troika (Ue, Fmi e Bce) si sono interrotti, di fronte alla richiesta, da parte della troika, di ulteriori tagli e sacrifici nel 2015 per concludere il ciclo del cosiddetto memorandum, che ha fornito alla Grecia 240 miliardi di euro in prestiti, ma a un prezzo devastante.
Il governo conservatore di Antonis Samaras non ce la faceva a dire di sì e ricevere gli ultimi 7 miliardi del pacchetto: già autore di licenziamenti, congelamento e taglio di salari e pensioni e tasse odiatissime, preferiva non suicidarsi politicamente. Con la mancata elezione del Presidente della Repubblica a dicembre, lo scioglimento del Parlamento, non c’è stato neanche più bisogno di rispondere: il 25 gennaio si vota, e tutti i sondaggi dicono che vincerà Syriza, che della fine del memorandum e del taglio al debito greco ha fatto la sua bandiera.
Secondo fonti vicine al negoziato, la troika si è irrigidita proprio perché non pensava che Samaras sarebbe sopravvissuto al voto presidenziale. Lui, il premier, non avendo portato a casa un accordo per abbreviare – come promesso – di un anno i termini del memorandum, si è infatti trovato senza possibilità di convincere abbastanza deputati a votare il suo candidato, l’economista Stavros Dimas.
Eppure nel 2014 la Grecia era tornata alla luce, dopo anni di buio pesto. Era uscita dalla recessione nel secondo trimestre, dopo sei anni. I suoi titoli erano tornati sui mercati; dopo decenni aveva registrato un surplus nel bilancio primario, e il turismo segnava cifre da record. Ma non per l’uomo della strada, ancora schiacciato da una disoccupazione oltre il 25%, con i salari minimi ormai da anni fissati a 450 euro lordi al mese.
Samaras, con un occhio ai sondaggi che dalle Europee in poi vedevano Syriza volare alto, aveva annunciato a settembre la fine anticipata del Memorandum. Ma le cose non sono andate come aveva sperato. E a novembre, il deficit dello Stato è tornato a salire.
Tutto ciò, con il carico rinnovato di incertezza e pessimismo, pesa sulle urne. In molti, dicono le indagini demoscopiche, votano per le speranze offerte da Syriza ed Alexis Tsipras anche se non credono del tutto alle sue ricette. Ma il senso di stanchezza e frustrazione verso la classe politica che ha governato durante la crisi – e per molti ne è anche tra le cause principali – prevale su tutto. Per molti, qualsiasi strada, per quanto accidentata, è meglio della palude immobile in cui la Grecia si trova da troppo tempo. (di Patrizio Nissirio) (ANSAmed)