“Abbassando i rendimenti dei titoli di Stati, gli acquisti forniscono ai governi la possibilità di porre in essere stimoli fiscali. Ciò supporta i redditi del settore privato, che può ridurre i propri debiti e sistemare i bilanci. Il sostegno fiscale consente quindi di risanare i bilanci e di riprendere a indebitarsi. A quel punto sarà lo Stato a iniziare la riparazione del proprio bilancio mediante il consolidamento fiscale. Ho chiamato questo processo “meccanismo di auto-correzione” dei Paesi in recessione patrimoniale.” (R. Koo)
Traendo spunto (a modo suo) dall’esperienza del Giappone, Richard Koo sostiene che quando una recessione segue un periodo di forte crescita del debito, l’unico modo di uscirne evitando una spirale deflattiva consista nel fornire al sistema forti stimoli fiscali finanziati in deficit.
Koo pare non accorgersi del fatto che gran parte del denaro che ha sostenuto la crescita del debito (e degli investimenti errati) non consiste in risparmio reale, bensì in credito bancario creato mediante il sistema della riserva frazionaria.
La riduzione del debito e della massa monetaria è quindi necessaria se si vuole risanare il sistema economico, mentre se si cerca di tenere il tutto a galla in termini nominali non si fa che peggiorare le cose. Il debito privato si sgonfia (lentamente), mentre si gonfia quello pubblico, ma in tutto questo viene meno la creazione di ricchezza che solo un impiego produttivo del capitale può generare.
Koo crede evidentemente che lo Stato abbia capacità miracolose: in pratica dovrebbe sostenere (in deficit) i redditi del settore privato mentre questo risana i propri bilanci; una volta terminata questa fase di risanamento, dovrebbe a sua volta passare a una politica fiscale restrittiva, per ridurre il debito pubblico.
Considerando che vive in prima persona l’esperienza del Giappone, verrebbe da dire che ha sotto i propri occhi un esempio macroscopico del fatto che c’è qualcosa che non va nel suo “meccanismo di auto-correzione”. Lui ovviamente sostiene che le cose sono andate storte perché la politica fiscale non è stata sufficientemente espansiva e non è stata adeguatamente supportata dalla politica monetaria. Si tratta di un classico “tic” di tutti coloro che sostengono politiche economiche in qualche misura keynesiane: quando gli stimoli non danno i risultati previsti è sempre perché erano insufficienti.
Adesso il governo giapponese sta palesemente cercando di abbassare il peso del debito pubblico inflazionandolo, ma date le dimensioni dubito che riuscirà a farlo in modo “ordinato”. E questo anche a prescindere dal giudizio sui pesanti effetti redistributivi che ogni azione inflattiva comporta.
A me pare che di auto-correzione ce ne sia ben poca, soprattutto credo del tutto fuori luogo usare il prefisso “auto”, quasi si trattasse di movimenti spontanei di mercato. In realtà siamo di fronte a un interventismo massiccio, che da vent’anni sta miseramente fallendo. Basta voler guardare in faccia alla realtà, anche se è diversa da come si vorrebbe che fosse.
Da due decenni a questa parte il tasso di crescita monetaria del Giappone si è rivelato piuttosto modesto, nonostante il colossale debito pubblico e i problemi attuali e futuri che esso comporta.
Tutti questi debiti mi sembrano tanto grandi da esser fuori controllo.
Gli stati fortemente indebitati che sistemi hanno per ridurli?
E anche ammettendo che esista un modo “normale” per farlo, mi chiedo in quanti anni si potrà arrivare ad una situazione accettabile.
In italia sono circa 2300 miliardi di euro.
23 miliardi all’anno in 100 anni?
56 miliardi annui in 50 anni?
Sempre pensando a bocce ferme.
Io, guardando i delinquenti che bazzicano intorno ai conti dello stato, e in base ai risultati di questi ultimi decenni che vedono i debiti in crescita, temo che non ci siano soluzioni praticabili che contemporaneamente allevino le sofferenze ai tartassati sudditi.
Credo, quindi ,che questi numeri saranno trattati in modo drammatico.
Mi viene in mente , ad esempio, una cancellazione di forza del debito da parte dello stato.
Oppure una crisi che veda un’insolvenza pubblica a causa del peso degli interessi fuori controllo.
Ma anche se domattina si svegliassero tutti liberali e libertari al governo io penso che ci vorrebbero svariati anni per sanare.
Non 100 o 50, ma una decina almeno, sempre fatto salvo un possibile sconquasso estero che può investire le finanze italiane.
Non sono ottimista.
Forse perché non sono un esperto.
Ma a valutare i fatti e le conseguenze delle azioni governative ammetto che dietro l’angolo io percepisco una catastrofe.
Magari esagero.
Ma credo molto che Bracalini abbia ragione quando scrive che nel baratro c’è la salvezza.