A proposito di nomine, il problema non è chi sia stato messo a dirigere i grandi carrozzoni pubblici, e neppure di chi sia amico, o a che partito o corrente appartenga. Il problema – anzi lo scandalo – è che lo Stato sia proprietario di certi settori strategici e che il governo ne decida i vertici. Non c’è da indignarsi per gli stipendi da nababbi di questi signori ma per il fatto che a pagarli non siano dei clienti ma dei contribuenti: che i (tanti) soldi non derivino dei servizi erogati ma dalle tasse estorte a gente che magari neppure li usa. Si dirà che alcuni dei carrozzoni sono autosufficienti e che hanno bilanci in attivo. Balle! Tutti ricevono qualche forma di aiuto o sovvenzione pubblica, tutti vivono di balzelli aggiuntivi o si avvantaggiano di una condizione monopolistica garantita dallo Stato o di pubbliche commesse.
Lo Stato non fa più panettoni (in passato ha fatto anche questo..) ma continua a occuparsi di mansioni che il mercato potrebbe affrontare meglio e più a buon prezzo, la Repubblica continua a fare concorrenza ai privati (il più grave dei peccati contro la libertà prima ancora che contro il liberismo) e – soprattutto – gestisce somme di denaro e risorse sempre più grandi sottraendole a impieghi, consumi, investimenti che sarebbero assai più proficui per la comunità.
Uno Stato che detiene, gestisce e sottrae una quota eccessiva delle risorse complessive uccide l’economia, umilia la libertà politica e alimenta la corruzione. Più è grande il mucchio di soldi pubblici, più numeroso e indaffarato è lo stuolo di famelici scrocconi che vi si agitano attorno: politici, burocrati, faccendieri, malavitosi. Le mafie, la casta e il parassitismo si alimentano con i soldi pubblici. Il sistema più efficace e semplice per abbattere ogni incrostazione di inefficienza e malaffare è smagrire radicalmente lo Stato, è di ridurre al minimo il denaro che gestisce. Si deve sottrargli ogni competenza e attività che non rientrino nelle sole funzioni che gli spetterebbero davvero: la politica estera, la moneta, la difesa e la giustizia. Le prime tre le ha già demandate ad altri (Europa, Bce, Nato), in quanto alla giustizia è meglio lasciar perdere.
Tutto il resto deve essere lasciato all’iniziativa privata o devoluto agli enti locali sulla base del “vero” principio di sussidiarietà che affida ogni mansione al livello più basso in grado di gestirla con successo.
Questa è la sola vera riforma possibile dello Stato in generale e di quello italiano in particolare: svuotando la dispensa si deprimono gli appetiti. La politica tornerebbe a essere una volontaria missione al pubblico servizio, sparirebbero i politici di professione, le cadreghe ben pagate, i vitalizi, i rimborsi e tutte le porcherie che riempiono le nostre cronache quotidiane. Anche le lotte politiche tornerebbero ad assumere le giuste connotazioni di confronto di idee e progetti. Nei paesi dove il pubblico si occupa del minimo indispensabile – come in Svizzera – non esistono i mestieranti della politica, quelli che devono essere eletti a tutti i costi (proprio tutti..) perché non hanno alternative nella vita.
In una situazione del genere le nomine dei dirigenti non spetterebbero agli amici di Renzi ma ai Consigli di Amministrazione, alle Assemblee dei soci, e a nessuno importerebbe dei loro stipendi perché passerebbero dai loro bilanci e non da Equitalia: perché uscirebbero dalle tasche dei consumatori e degli utenti e non dei contribuenti. Fa una bella differenza di civiltà e di libertà.
TRATTO DA Libero
Preferirei vivere in un piccolo stato europeo che in un’anarchia tipo Afganistan. I pashtun sono ferocemente indipendenti (e li ammiro per questo) ma è una società essenzialmente tribale, poco tollerante. Non associo la libertà esclusivamente all’organizzazione amministrativa, ma anche alle caratteristiche innate del popolo.
@erasmodanarni:
Faccio notare che sia Singapore che Hong Kong devono una parte significativa del loro carattere relativamente liberale all’eredità culturale lasciata loro dagli inglesi, amministratori coloniali. Sarebbe ingenuo immaginare che la libertà di pensiero fosse prevalentemente un fenomeno occidentale perché gli altri popoli non erano a conoscenza di tali idee. Quindi – aggiungendo il mio pizzico di determinismo biologico – prevedo meno spazio per la libertà man mano che continua la diminuzione demografica dei popoli autoctoni d’Europa.
@erasmodanarni:
Condivido. Non credo che si possa sradicare la coercizione, ma non per questo bisogna concederle legittimità. L’accettazione dell’illegittimo è l’inizio della fine.
“Si deve sottrargli ogni competenza e attività che non rientrino nelle sole funzioni che gli spetterebbero davvero: la politica estera, la moneta, la difesa e la giustizia.”
La moneta??????
E questo sarebbe un liberista?
Andiamo bene
Anche un non stato tende a diventare stato ! Non esiste una condizione perfetta e immutabile. Le argomentazioni di eresmodanarni sono ingenue. Secondo me.
In una situazione di società basata sulla sola legge privata(*), ovvero di competizione tra i fornitori di servizi di giustizia difesa, è difficile che si possa affermare un sovrano monopolista: http://mises.org/daily/2265 E anche se succedesse, ci ritroveremmo al punto di partenza ma avremmo almeno ri-sperimentato una società più libera, più giusta. Senza tasse, senza furti e soprusi continuati. Poi, se non mirassimo all’obiettivo massimo, l’abolizione dello stato, non credo potremo raggiungere nessun obiettivo, neanche minimo: https://mises.org/daily/5342/Do-You-Hate-the-State
(*)Senza la legge pubblica, che regola i rapporti tra i sudditi ed un sovrano, perché il sovrano, monopolista territoriale non c’è.
@dante calzolari: RISPOSTA BREVISSIMA: Intanto cominciamo a vivere in un non-stato, una società libera e giusta. Poi vedremo … :)
@ erasmodanarni Uno stato minimo (nel senso delle competenze) tende a diventare massimo: vero. Ma anche uno statino(nel senso del dominio territoriale, anche soltanto indiretto) tende a diventare statone. Attenzione a non usare due pesi e due misure: e su questo punto anche l’ultimo Rothbard e Hoppe, che da lui dipende, mi lasciano alquanto perplesso.
@carlo butti: Uno stato piccolo, per dimensione territoriale, avrebbe delle caratteristiche desiderabili per un libertario, molto migliori di quelle degli stati nazione e dei super-stati moderni, almeno *ad interim*. Lascio dire a Hoppe: “There is an interim solution. It’s called secession and political decentralization. Small states must be libertarian, otherwise the productive people will desert them. Desirable therefore is a world made up of thousands of Liechtensteins, Singapores and Hong Kongs. In contrast, a European central government—and even more so a world government—with a “harmonized” tax and regulation policy, is the gravest threat to freedom.” (http://mises.org/daily/6332/Obsessed-by-Megalomania) Vedi anche: https://www.youtube.com/watch?v=eBg23AqZlJI (The Advantages of Small States and the Dangers of Centralization). Concordo con te che esiste la tendenza a diventare stato massimo pur nelle piccole dimensioni territoriali, ma almeno esisterebbe una maggiore competizione, tra i molti diversi piccoli stati che, realizzandosi a questo modo su una scala geografica e culturale relativamente ridotta (ad esempio, gli stati pre-unitari nella penisola italica e tra la gens italica) consentirebbe un quasi indolore “voto con i piedi”, senza dovere subire il dramma dell’emigrazione a distanze planetarie, come quella dovuta affrontare dai poveri italici (veneti, campani, friulani, siciliani, piemontesi) post unitari agli inizi del secolo scorso — ho idea di quanto deve essere stato duro colonizzare le foreste del rio grande del sud …
@carlo butti: RISPOSTA BREVISSIMA: Intanto tagliamo gli artigli al Leviatano e riduciamolo geograficamente ai minimi termini. Poi vedremo … :)
Gilberto Oneto. Un liberale. Il liberalismo ha fallito. L’illusione di uno stato minimo, anzi, l’utopia del minarchismo, come il comunismo, non ha retto alla prova della storia. Il muro di Berlino crolla nel 1989 ma la costituzione americana, speranza minarchista più avanzata, tutta tesa a restringere lo stato, è crollata poco a poco negli anni successivi e, definitivamente, sotto i colpi della NSA e prima ancora dell’FBI di Hoover e della CIA. Come Hoppe ammaestra, lo stato minimo è utopia. Tenderà da minimo a diventare maximo, sulla base di una logica ferrea che vede un qualsiasi monopolista, al riparo della competizione, fornire servizi sempre peggiori a costi sempre maggiori. Viva Rothbard, abbasso Oneto!