In Economia

bolleDI MATTEO CORSINI

“Durante il mio lavoro alla Fed, ho imparato che la condizione necessaria, e probabilmente sufficiente, per l’esistenza di una bolla è un lungo periodo di stabilità economica, con bassa inflazione. Una condizione che porta inevitabilmente a una bolla. Si può provare a disinnescarla, come abbiamo fatto nel 1994, ma abbiamo fallito, il risultato finale era inevitabile. L’unica possibilità è cercare di rompere alla radice l’esuberanza irrazionale che porta alla creazione di queste bolle, ma è un risultato fuori dalla portata della Fed”. (A. Greenspan)

Alan Greenspan, il “Maestro” della politica monetaria caduto in disgrazia con la crisi iniziata nel 2007 dopo circa un ventennio passato alla presidenza della Federal Reserve, continua con una certa assiduità a essere intervistato. Di recente gli chiedono spesso un parere sulle bolle finanziarie. Greenspan ritiene che il risultato finale, quando una bolla si è gonfiata, sia inevitabile. E su questo si può essere d’accordo. Su tutto il resto, penso di no. I lunghi periodi di stabilità con bassa inflazione sono in realtà caratterizzati da una dinamica contenuta degli indici dei prezzi al consumo, ma da una più o meno consistente contrazione dei premi per il rischio non dovuta a chissà quali particolari congiunzioni astrali, bensì a politiche monetarie espansive che distorcono l’interazione tra domanda e offerta di denaro e, di conseguenza la formazione dei prezzi di diversi beni.

La stessa “esuberanza irrazionale”, espressione tanto cara a Greenspan, probabilmente sarebbe meno evidente se la politica monetaria falsasse meno la formazione dei prezzi, a partire da quello fondamentale in un’economia caratterizzata dall’utilizzo della moneta e del credito: i tassi di interesse. L’abbassamento artificiale dei tassi di interesse provoca un aumento del valore attuale netto degli investimenti, finendo per rendere ex ante redditizi anche investimenti che non lo sarebbero in assenza di distorsioni dovute alla politica monetaria. Questi investimenti, che Mises definiva “malinvestimenti”, sono destinati a rivelarsi ex post fallimentari, per il semplice fatto che la loro redditività dipende solo da una prosecuzione della politica monetaria inflattiva, la quale, però, o viene interrotta per fini “prudenziali” (quello che cercò di fare Grenspan nel 1994, ad esempio), oppure può portare a una spirale di iperinflazione e implosione del sistema monetario.

Quest’ultima ipotesi è spesso derisa dai fautori della creazione di moneta come soluzione a ogni problema, ma storicamente si è verificata più volte e il fatto che nel caso degli Stati Uniti non si arrivi all’implosione con la stessa velocità con cui ci si arriva nello Zimbabwe non significa che si possa escludere del tutto un esito analogo. Semplicemente è necessario un periodo di tempo più prolungato, ma sarebbe una pretesa vana e pericolosa supporre di riuscire a individuare in anticipo il momento in cui interrompere la droga monetaria per evitare il collasso.

In ogni caso la storia dell’ultimo secolo fornisce diverse prove del fatto che ogni fase di crescita dell’economia supportata da una politica monetaria espansiva è seguita da una crisi di portata più o meno consistente, oltre che da una tendenza, durante la fase di crescita, a trascurare l’equilibrio dei conti pubblici, dato che il denaro è a buon mercato (anche e soprattutto per gli Stati). In definitiva, ciò che è fuori dalla portata della Fed e di tutte le banche centrali è riuscire a “gestire” il ciclo economico. Se si limitassero a non fare nulla gli scossoni sarebbero molto meno frequenti e dolorosi, anche se svanirebbero molte illusioni sulla possibilità di arricchirsi senza sforzo e a spese altrui.

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Comments
  • FrancescoL

    Greenspan e Bernanke per dire queste cose prendono 250.000 usd per 45 minuti di conferenza

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