“Supponiamo, per amore della discussione, che i sindacati e i sussidi di disoccupazione stessero realmente tenendo elevati i salari, e che sciogliere i sindacati e affamare i disoccupati avrebbe portato a una grande riduzione dei salari. Perché questo avrebbe dovuto promuovere l’occupazione? Non dite che è ovvio, perché il lavoro sarebbe divenuto meno costoso e un maggior numero di persone sarebbe stato occupato. Come evidenziò Keynes, ciò ha senso a livello individuale o per un gruppo di lavoratori, ma non se ognuno subisce una riduzione dei salari e – come ci si può attendere – i prezzi calano. In questo caso il prezzo relativo del lavoro non è diminuito, per cui non vi è ragione affinché l’occupazione aumenti”. (P. Krugman)
Questa volta Paul Krugman se la prende con Ludwig von Mises, che viene con un certo dileggio definito “santo patrono degli austriaci”. A suo dire, durante la Grande Depressione, Mises sostanzialmente abbandonò la teoria del ciclo economico la cui elaborazione si doveva in gran parte proprio a lui, rifugiandosi poi nel sostenere che l’elevata disoccupazione era causata dal mantenimento dei salari su livelli artificialmente superiori a quelli di mercato.
Joe Salerno del Mises Institute ha replicato a Krugman in modo certamente più competente di quanto possa fare il sottoscritto; ciò nondimeno, vorrei esprimere qualche considerazione al riguardo. In primo luogo, l’idea che Mises abbia accantonato la teoria del ciclo economico è dovuto alla sostanziale disinformazione di Krugman (come rileva Salerno), che sarebbe bene prendesse la buona abitudine di documentarsi sulle fonti originali invece che in blog scritti da persone che la pensano come lui. Ciò detto, che i salari siano stati tenuti artificialmente a un livello superiore a quello di mercato durante la Grande Depressione e che ciò abbia peggiorato la situazione è una constatazione che può fare chiunque ritenga valida la legge della domanda e dell’offerta.
Se la disoccupazione è elevata e tende ad aumentare, è evidente che vi è un eccesso di offerta di lavoro. Non è detto che il livello dei salari sia l’unica causa (in parte si può anche trattare di un gap tra le competenze offerte e quelle richieste, tipico dei momenti in cui interi settori, dopo un boom, vanno in crisi), ma che siano una concausa mi pare innegabile. Non starò qui a suggerire a Krugman di leggere America’s Great Depression di Murray Rothbard, perché evidentemente il barbuto premio Nobel (sic!) non lo riterrebbe una fonte attendibile, ma è un dato di fatto che Hoover prima e Roosevelt poi attuarono politiche interventiste volte a contrastare la diminuzione dei salari ed è altrettanto un dato di fatto che la disoccupazione andò aumentando. Per Krugman (che tira in ballo niente meno che il suo punto di riferimento, Keynes) non ha senso guardare ciò che avviene a livello micro, perché ciò che vale a livello individuale non vale a livello aggregato. E questo perché se calano i salari, cala la spesa per consumi, quindi calano anche i prezzi. Per cui la disoccupazione non diminuisce. La storia sembra avere senso, ma è la mania di ragionare solo per dati aggregati che, pur consentendo di semplificare la spiegazione dei fenomeni economici, finisce per mettere assieme le mele e le pere. Che sono certamente entrambi frutti, ma non gli stessi. Togliere i limiti artificiali ai salari (come a qualsiasi prezzo) consente alla domanda e all’offerta di interagire e incontrarsi a un livello privo di distorsioni esogene.
Si potrà osservare una diminuzione del livello medio, ma non è detto che tutti i salari diminuiscano allo stesso modo, mentre alcuni potrebbero anche non diminuire affatto. Lo steso dicasi per tutti gli altri prezzi. Purtroppo l’idea di usare indici di prezzi, tanto cara a Irvig Fisher e da decenni totem praticamente incontestabile nell’economia mainstream, aiuta nell’analisi di dati aggregati, ma non giova molto all’accuratezza nella comprensione dei fenomeni economici. Pretendere ex ante di sapere come si muoveranno tutti i prezzi in assenza di interventi da parte dello Stato va al di là delle possibilità di un singolo individuo o di un ristretto numero di persone (Krugman e Keynes inclusi). Si tratta della stessa presunzione che serve per voler stabilire a quale livello debba stare questo o quel prezzo. Ciò che indubbiamente si può sostenere è che quando vi è un forte eccesso di offerta significa che il prezzo è troppo elevato e che non corrisponde a quello di libero mercato. La soluzione keynesiana alla disoccupazione, tra l’altro, consiste nel diminuire, tramite inflazione, i salari reali, lasciando inalterati quelli nominali. L’idea, in pratica, è di fregare chi percepisce quei salari (quanto meno per un certo periodo di tempo). Alla fine si vuole ottenere lo stesso risultato, ma in modo surrettizio. E qualcuno continua ancora a sostenere che si tratta del più grande economista del Ventesimo secolo…
Krugman = David Copperfield senza charme.