L’idea principale che sta alla base dello sdegno contro chi, in un modo o nell’altro, non dimostra rispetto per lo stato è il principio che esso sia un ente superiore e che sia giusto che l’individuo ne sia un’appendice. Che il bene comune e la collettività vengano prima degli appetiti individuali, che lo stato debba imporre all’individuo un modo di essere virtuoso fa parte del sentire comune, è innegabile. Come è innegabile che ci sentiamo liberi, in un contesto democratico che, nonostante tutto, ci lascia i nostri spazi.
Un liberale, invece, non può esser d’accordo con il principio della subordinazione dell’individuo allo stato. Un liberale non si sente libero se lo stato gli dice cosa deve fare, cercando di regolare ogni aspetto della sua vita, e se gli chiede più di metà del guadagno ottenuto con il suo lavoro. Gli altri sono liberi di assoggettare le proprie volontà, i propri figli, i propri averi ai governanti, ma un liberale non può farlo, altrimenti deve smettere di spacciarsi per tale.
È vero, avrebbero dovuto svegliarsi prima, questi liberali, ormai i giochi sono fatti. Vi immaginate se i coloni avessero accettato la tassazione inglese e avessero gettato il the in mare solo dopo che le imposte avessero raggiunto il 70%? Però non ci sono alternative, per un liberale: deve ribellarsi a questa infamia.
Alcuni credono che sia necessario unire le forze, ‘Fare’qualcosa, riunire le forze in un ‘Partito Liberale’, farsi eleggere e, successivamente, riformare lo stato in modo da abbassare la tassazione e rimpicciolire le sue competenze. Le difficoltà sono trovare i voti, visto che gli italiani sono ‘sovietici’ e, successivamente, trovare, tra le coalizioni parlamentari stataliste e interventiste, i numeri che permettano di snellire il ‘mostro’.
Altri, come il movimento Libertario di Leonardo Facco, trovano la soluzione in una rottura. La provocazione di formare un partito che vede nell’evasione fiscale una forma di resistenza allo stato va proprio in quella direzione.Credono che il the, anche se in clamoroso ritardo, debba finire in mare e che lo il dialogo con le istituzioni sia inutile.
Certamente questa ennesima divisione tra le forze liberali non è certo positiva per chi vedrebbe bene una Margareth Thatcher italiana, ma è anche vero che, di fronte a un sopruso spesso non si può restare calmi e tranquilli ma c’è forse bisogno di determinazione e coraggio.
Un liberale non può che provare rabbia per coloro che pensano che evadere sia sempre sbagliato e che la causa principale del così alto peso della tassazione vada attribuita agli evasori. Questo perché è evidente come lo stato abbia sprecato, e continui a sprecare, le risorse prelevate dai contribuenti; è chiaro come lo stato tenti sempre di allargare le proprie competenze aumentando le spese e le tasse, di conseguenza. Un liberale, fedele alla tradizione classica del liberalismo, conosce il potere governativo e sa che può esser capace di tutto se lasciato senza controllo e sa che tenderà sempre a richiedere più spazio e più risorse. Forse potrebbe bastare un po’ di buon senso per capire che non è giusto finanziare chi spreca e male utilizza il frutto del nostro lavoro; forse anche chi vede nello stato democratico la perfezione potrebbe riconoscere che esso è totalmente fuori controllo e non solo perché abbiamo avuto la sfortuna di avere cattivi governanti negli ultimi settant’anni. Va riconosciuto che il sistema è marcio e va abbattuto.
Un liberale allora deve fare il liberale e resistere al potere statale, anzitutto cercando di togliergli la vitalità: lo stato si nutre del nostro lavoro, del nostro tempo e della nostra vita, cercando di sfuggire a questa appropriazione indebita non si fa altro che il nostro dovere di liberale.
Chi crede che lo stato abbia diritto di essere così invadente, autoritario e spietato deve augurarsi che lo stato diventi ancor più potente, che gli stipendi siano tutti uguali, che lo stato acquisti tutte le aziende e che, quindi, soddisfi i bisogni di tutti in modo equo. Per l’amor di Dio, non fatevi chiamare liberali, però.
Molto interessante e chiaro
Lo Stato anestetizza il giudizio morale. Perché io, contribuente, mi devo impegnare o preoccupare per il benessere del mio concittadino quando ci pensa l’apparato statale? Questa deresponsabilizzazione non può che creare indifferenza e atrofia dello spirito.
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Ho trovato interessante questo articolo.