Guardiamoci, osserviamoci, parliamo tra di noi. È difficile non rendersi conto di una banalità: siamo diversi. Se è difficile trovare due persone che la pensino allo stesso modo su un singolo argomento, è praticamente impossibile trovare un gruppo di persone che la pensino allo stesso modo su tutto.
Questa è la meraviglia dell’essere umano: la diversità di ogni individuo rispetto all’altro.
E questa è la grande assurdità dei sistemi di governo attuali: il fatto che siano imposti ad una così grande moltitudine di persone così tanto diverse le une dalle altre. Moltitudine, tra l’altro, che si vuole anche accrescere con Stati sempre più grandi. Razionalmente si penserebbe: per poter vivere insieme nel rispetto delle differenze, poniamoci come regole quelle poche comuni a tutti e per il resto ognuno faccia per se. Sono ateo, ma penso che il concetto di “10 comandamenti” andasse in questa direzione. Non credo sia un caso che non fossero un milione di comandamenti.
Invece facciamo esattamente il contrario: cerchiamo di regolamentare tutto facendo scontenti, ad andar bene, una minoranza. Ma più spesso una maggioranza silenziosa.
Il risultato, sinceramente, non è esaltante.
Lao Tzu, nel Tao Te Ching, diceva: “più proibizioni ci sono, più il popolo diventa povero. Più armi ci sono, più le cose vanno male. Più astuzie e furberie ci sono, più si fanno follie. Più leggi ci sono, più si moltiplicano i furfanti. Quando le imposte sono troppo alte, il popolo ha fame; quando il governo è troppo invadente, il popolo si perde d’animo. Agite a vantaggio del popolo. Abbiate fiducia nel popolo, lasciatelo libero di agire. Governare una nazione grande è come friggere un pesciolino; attizzando troppo il fuoco lo si rovina”
Sono passati 2500 anni, ma direi che non abbiamo ancora compreso queste parole.
In particolare l’organizzazione statale, anche sotto un regime “democratico”, risulta oggi essere fallimentare in quella necessità di leggerezza e semplicità che dovrebbe essere uno stato naturale dell’essere umano. Al contrario, dobbiamo faticare per arrovellarci tra assurdità burocratiche, noi novelli Asterix alle prese con il lasciapassare A38.
D’altra parte paghiamo profumatamente persone per imporci regole, di cosa ci lamentiamo, allora? Li scegliamo e li paghiamo apposta, fanno il loro lavoro. Male, malissimo in alcune parti del mondo, un po’ meglio in altre.
Ma dalle grinfie del Leviatano non si scappa.
Il problema del sistema statale, infatti, è che non è sottoposto a concorrenza.
Al massimo possiamo andare in un altro Stato che abbia delle regole che preferiamo rispetto a quello dove siamo nati e cresciuti, ma non esiste, al momento, un’alternativa allo Stato come sistema. Come infatti ci dice splendidamente Crispin Sartwell (*): lo Stato “è un gruppo di persone che sostengono ed esercitano un monopolio della coercizione fondato sulla forza bruta su un’area geografica definita e gli artefatti e le procedure con cui lo fanno.”
La coercizione è quindi il fondamento dello Stato e per questo ormai lo Stato si è preso tutto, un cm alla volta, almeno per quanto riguarda le terre emerse. In acqua si presenta una qualche forma di salvezza, ma anche se l’idea è affascinante, magari con una bandiera teschio-e-tibie, una benda sull’occhio e la giacca di Harlock, oggettivamente si tratta di una vita scomoda. E comunque sarebbe molto facile da affondare: non pensiate che lo Stato si farebbe problemi, ci sono già stati degli esempi anche recenti e vicini.
Per creare concorrenza allo Stato bisogna quindi agire dall’interno, perché l’esterno non esiste più.
E qui sta il fondamento e la forza delle teorie indipendentiste: quando chiunque si può staccare, allora lo Stato si trova di fronte un potenziale concorrente e questo cambia tutte le regole del gioco.
L’indipendentismo è un motore che genera concorrenza allo Stato dall’interno del sistema statale: se posso separarmi dallo Stato, allora il Governo sarà costretto ad agire per il meglio, altrimenti salta in aria.
Purtroppo spesso le teorie indipendentiste vengono utilizzate da movimenti politici in qualche modo razzisti, che fondano il loro indipendentismo sul concetto di “popolo”. Ma il “popolo” non esiste, è una sovrastruttura, come la “società”, come la “nazione”, sono pure invenzioni. Oggi più che in passato il mondo è talmente piccolo, le comunicazioni sono talmente veloci tra individui del globo terracqueo, che parlare di “lombardi”, “italiani”, “francesi” fa sempre meno presa. Ed è giusto e ovvio che sia così.
Come dice Leonardo Facco (**): “La mia patria è la mia famiglia, la mia nazione tutte quelle persone con cui, aldilà delle frontiere, mi trovo bene e condivido idee ed azioni”.
La vera forza delle teorie indipendentiste dovrebbe quindi risiedere nel semplice concetto: condividi le regole con chi vuole condividerle con te.
E lo scopo dell’indipendentismo dovrebbe quindi essere quello di creare comunità di persone che siano disposte a condividere regole e idee, indipendentemente da dove sono nati o da che lingua parlano.
In questo senso l’indipendentismo è un’idea strettamente anarchica.
Ancora Sartwell: “con anarchismo mi riferisco alla visione che tutte le forme di associazione umana dovrebbero essere, per quanto possibile, su base volontaria.”
Volendo quindi essere precisi, se consideriamo lo Stato tale solo quando è coercitivo, quindi involontario, nel momento in cui ci viene concessa la possibilità di staccarsi dallo Stato, questo cessa di esistere.
Diventa, infatti, un’associazione volontaria.
Immaginiamoci allora di sostituire l’art.5 della Costituzione:
“La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.”
Con:
“La Repubblica Italiana è ad adesione volontaria. Qualsiasi comunità residente su un’area di almeno un kilometro quadrato può rendersi indipendente con un referendum con il 75% di quorum e il 75% di pareri favorevoli. Con la nuova comunità vigeranno gli obblighi reciproci di non belligeranza e libera circolazione di persone, merci e capitali”
Che cosa succederebbe? L’Italia sparirebbe?
Non credo. La stragrande maggioranza degli abitanti italiani crede e tiene alla bandiera, alla nazionale di calcio. Anche alle “istituzioni” che, nonostante la crisi, vedono ancora pochissime critiche sostanziali.
Probabilmente si formerebbero piccole comunità indipendenti omogenee per idee politiche: comunità liberali e libertarie (almeno una, si spera. C’è chi si prepara) al nord, comunità più rigorosamente socialiste al centro-sud. Delle piccole San Marino, per capirsi. Finalmente Lambrate si libererebbe dal giogo di Milano e potrebbe prendere decisioni nel suo naturale parlamento, il Birrificio.
Verrebbe così messo in atto un sistema di governo davvero “democratico”, nel senso più etimologico del termine: le persone si governerebbero da sole, direttamente o indirettamente, perché avrebbero la possibilità di staccarsi dal sistema che non aggrada loro.
La democrazia non sarebbe più la dittatura della maggioranza (relativa) che è oggi, ma un vero governo dal basso per tutti.
Per l’Italia ci sarebbe comunque un enorme vantaggio: i governanti, sottoposti alla pressione della concorrenza, sarebbero costretti ad agire davvero per quel mito dal nome “bene comune”.
Perché altrimenti la gente voterebbe coi piedi.
Indipendentismo ed anarchia non sono infatti delle ideologie. Non sono un set di valori comuni a cui aderire. Sono semmai una suddivisione orizzontale delle ideologie: esistono anarchici e indipendentisti che credono nella proprietà privata e altri che non ci credono, socialisti e capitalisti, ecologisti e non, animalisti e non, pacifisti e non.
Le uniche ideologie incompatibili con anarchia ed indipendentismo sono quelle totalitarie, quelle che pongono, cioè, lo Stato al centro dell’universo.
Per tutto il resto, anarchia e indipendenza possono essere una piattaforma politica comune, un modo perché tutte le idee possano essere applicate nel reciproco rispetto.
Spesso gli anarchici vengono accusati di non essere propositivi e utopisti: l’indipendentismo è una semplice proposta anarchica. Non l’unica, ma una semplice ed attuabile. E’ utopistica? A me pare più utopistico aspettare che uno Stato senza alternative venga governato da un Messia che risolve tutti i nostri problemi.
Non credete?
Spero che qualcuno del Movimento 5 Stelle legga queste parole. Chissà che non capisca il vero significato di “democrazia diretta”.
Lo Stato deve essere inteso innanzitutto come un fantasioso agente collettivo che allevia il soldato, il giudice, e il burocrate della responsabilità per tutto ciò che può essere inteso come la loro “funzione ufficiale.” (Crispin Sartwell, “Against the State: An Introduction to Anarchist Political Theory”).
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(*)Devo ringraziare Francesco Simoncelli per mille cose, ma non smetterò mai di ringraziarlo per avermi fatto scoprire questo straordinario filosofo americano. Davvero imperdibile.
(**) Ovviamente tutte le parola di Facco sono imperdibili, ma il suo ultimo libro, “il micropensiero libertario” è davvero un gioiellino. Consigliato a tutti, anche a chi libertario proprio non è e non vorrà mai esserlo.
Tratto da http://www.rischiocalcolato.it/
Accettare diversi predisposizioni tra gruppi etnici non vuole dire polilogismo.
I neonati piangono quando gli si presentano davanti visi sconosciuti, quindi la diffidenza verso “l’altro” è una cosa innata, un meccanismo di autopreservazione. Con l’educazione e l’esperienza questi istinti possono essere attenuati ma non scompaiano del tutto e vanno riconosciuti – fa parte dell’essere umani.
Non credo che i soci del Von Mises Japan vorrebbero necessariamente coabitare con quelli del Instituto Ludwig von Mises Brasil, pur condividendone le idee.
https://www.movimentolibertario.com/2014/01/mafie-al-sud-come-vere-e-proprie-reti-di-welfare/
Il titolo sopra la dice lunga sui diversi tipi di organizzazione sociale presenti nella nazione chiamata Italia. Che le mafie esistano realmente non vuole dire che i singoli meridionali vadano criminalizzati, solo che i vincoli di sangue nel Sud sono più forti rispetto al Nord. L’omertà è un classico esempio di forte etnocentrismo, e non credo di essere controverso nel sostenere che è più caratteristico del Sud. Strutture sociali basate sulla consanguineità si vedono anche nelle pubbliche istituzioni, dove domina il Sud. Queste strutture, a mio avviso, sono fortemente tradizionali e più resistenti all’indottrinazione da fonti esterne.
La diversità tra individui non cozza con l’affinità sentita da membri di un gruppo etnico. Una famiglia i cui membri hanno idee e orientamenti inconciliabili tra di loro può unirsi di fronte a una minaccia esistenziale. Non a caso il socialismo vede nella famiglia il suo ultimo grande avversario non ancora sconfitto.
@ Marco Tizzi:
Non credo che la specie umana sia esente da pressioni di selezione naturale e non solo il colore della pelle, ma anche di temperamento, QI, impulsività, e altri tratti caratteriali. Le differenze fisiologiche esistono (basta consultare qualsiasi protocollo di trapianto per accorgersene) anche se non è politically correct parlarne. Da qui credo che la forza motrice dell’indipendismo sarà principalmente l’appartenenza etnica e non la comunanza di idee.
Se non ricordo male, il fumetto di Goscinny e Uderzo è tutto incentrato sulla determinazione dei galli a conservare la loro identità etnica (non solo a sfuggire dalle imposte romane). Galli, romani, normanni, egiziani – i vari popoli raffigurati in Asterix sono divertenti proprio perché conformano agli stereotipi fisici e caratteriali, ma di odio razziale non vedo traccia.
Carino il clip “A38”, grazie.
Marco Tizzi, bellissimo articolo.
“Per creare concorrenza allo Stato bisogna quindi agire dall’interno, perché l’esterno non esiste più.”
Credo sia il punto pratico più importante.
Dall’interno vuol dire dalla società, che però anche questa può essere intesa come uno stato, quindi anche in questo caso bisogna agire dall’interno che vuol dire della comunità, che però anche questa può essere intesa come uno stato, quindi anche qui bisogna agire dall’interno cioè dall’INDIVIDUO.
La partenza è agire su noi stessi individualmente.
“Per tutto il resto, anarchia e indipendenza possono essere una piattaforma politica comune, un modo perché tutte le idee possano essere applicate nel reciproco rispetto.”
Sì, concorrenza anche tra le varie forme di anarchismo, per me prevarrebbe (ma è solo un mio parere ed auspicio personale) l’anarco-capitalismo, che mi sembra la forma più umana, cioè più adatta alle caratteristiche naturali dell’uomo.
Ma quale che prevarrà a quel punto sarà la cosa meno importante perché comunque avrò la possibilità di scegliermi la mia preferita.
Un saluto .
D’accordo su tutto.
Solo che non sono nemmeno sicuro che un modello finirebbe per prevalere sugli altri, penso che conviverebbero uno fianco all’altro senza troppi problemi. In fondo si tratta di sensibilità diverse, anche questo fa parte della diversità, per me è una ricchezza.
La libertà è una signora capricciosa, è difficile da conquistare e fa venire un sacco di mal di testa. Bisogna lottare tanto per averla e quindi richiede tanto amore.
Io non pretendo che tutti la amino, anzi. So che non è così, so che non sarà mai così.
Mi piacerebbe che le persone avessero la possibilità di scegliere se amarla o no senza che qualcun altro si metta di mezzo con le armi ad impedirlo, ma so che non sarà mai una cosa per tutti.
Parole emozionanti. Condivido al 100%.
Un saluto .
Che onore sig. Facco!
Sì, un vero onore per me riportare il tuo articolo.
Marco, bellissimo pezzo. Vorrei riproporlo anche sul sito polyarchy.org in quanto ripropone in maniera brillante e chiara temi che sono propri di quel sito (e di panarchy.org). Lo consiglierò anche a Carmelo Miragliotta che è in Italia l’esponente più sincero e appassionato delle idee che tu hai qui esposto.
Ps. Aspetto una tua risposta ([email protected]) alla mia richiesta di ripubblicare questo tuo pezzo.
Ogni pezzo pubblicato su rischiocalcolato è in creative commons, quindi puoi ripubblicarlo, basta citare la fonte, senza nemmeno chiedere.
Nello specifico, potete far girare ogni pezzo scritto da me anche solo in parte, anche per criticare, mi fa solo piacere.
Vai a coltivare gli orti condominiali De Bellis, penso sia il tuo migliore risultato teorico-pratico sino ad oggi riconosciuto dall’unico esponente genuino delle tue geniali idee, tipiche di un genio incompreso.
Leo, non mi sembra di aver detto nulla di offensivo nei tuoi riguardi. Carmelo Miragliotta, in maniera molto più appassionata di me e di chiunque altro, è un sincero sostenitore delle comunità volontarie. Tu ti occupi di moltissime altre cose mentre lui ha concentrato la sua attenzione su quel tema in maniera molto più insistente e convincente di tutti noi. Perché devi essere così permaloso? Io ti considero come un fratello e quindi accetto anche di essere preso a pesci in faccia. Ma il tuo sfogo o presa in giro mi sembra del tutto fuori luogo.
Ps. Non sono certo l’inventore dell’idea delle comunità volontarie e non mi sono mai presentato come tale (giusto per chiarire)
“Il filosofo scrive cose che non capisci, poi ti fa credere che è colpa tua”.