Le recenti, tragiche vicende di salute che hanno coinvolto Pierluigi Bersani hanno riportato alla superficie del “mare mediatico” una sua tesi secondo la quale «chi evade le tasse non ha diritto all’ambulanza». Premesso che, nelle limpide parole Leonardo Facco, «nonostante Bersani non abbia mai pagato un euro di tasse in vita sua [1], l’ambulanza l’ha avuta, disattendendo quindi ai suoi proclami elettorali», questa semplice frase di Bersani richiede un paio di considerazioni.
Non ritengo corretto criticare la tesi di una persona che, a causa di problemi di salute, non può ribattere (anche se non avrebbe ribattuto in ogni caso). Tuttavia la tesi di Bersani esprime un’opinione molto diffusa (un sondaggio all’epoca mostrò un indice di approvazione di questa proposta di oltre il 70% [2]), che tra l’altro, in una salsa o in un’altra, viene sostenuta di continuo dai collettivisti; quindi è ai molti che la condividono che questo articolo è rivolto.
1. Il “diritto alla salute” non esiste
La prima considerazione è che è vero che chi evade le tasse non ha diritto all’ambulanza, semplicemente perché il “diritto” all’ambulanza non esiste. Nei limiti in cui si ritiene che lo stupro o il genocidio, per esempio, rimarrebbero azioni illegittime anche nel caso in cui una maggioranza (eventualmente qualificata) riuscisse a far approvare una norma che li legalizzasse (cosa del tutto possibile nell’attuale sistema istituzionale, specialmente italiano ma non solo [3]), allora non si può coerentemente ritenere che esista il “diritto” alla salute, né, tantomeno, quello alla vita; mentre si può coerentemente ritenere che tutti (finché non aggrediscono altri) abbiano diritto a non essere aggrediti.
Infatti, se si ritiene che l’illegittimità dello stupro (così come quella del genocidio), rimarrebbe intatta anche se quest’azione fosse permessa o svolta dall’autorità, allora si sta necessariamente adottando un’idea di legge non arbitraria in base alla quale questa è una regola generale di comportamento individuale valida per tutti (stato per primo) allo stesso modo e che in quanto tale è l’origine dell’autorità, non il suo prodotto: nel senso che, nelle parole di Hayek, l’autorità «richiede obbedienza perché (e fino a quando) difende una legge che si presume esistere indipendentemente da essa» [4], non perché essa detiene il monopolio della coercizione.
La Legge intesa in questo modo (cioè come limite al potere, non come suo strumento) può solo essere scoperta, custodita e difesa: essa non può essere “fatta”. Non si può “fare” una Legge più di quanto si possa fare un albero: in questo senso la Legge, essendo il risultato di uno spontaneo processo di selezione culturale di usi e convenzioni di successo (in altre parole, un ordine spontaneo), non è arbitraria.
Il “diritto alla salute”, invece, è possibile solo se si adotta un’idea di “legge” inversa alla precedente (un’idea di legge positiva o fiat) in base alla quale ciò che costituisce la “legge” è un provvedimento particolare che può avere la funzione di conseguire un particolare obiettivo o situazione desiderati da chi ha il potere di approvare quel provvedimento. La “legge” fiat è inversa alla Legge non solo perché generalmente, come nel caso del “diritto alla salute”, implica la sua violazione (nella forma della violazione del diritto di proprietà di coloro a cui vengono estorte le risorse necessarie per finanziare questo “diritto”), ma più in generale anche perché la Legge, consistendo in una regola generale di comportamento individuale, è valida indipendentemente dagli esiti particolari della sua applicazione, cioè dalle situazioni materiali particolari che la sua applicazione può produrre. Nel caso della “legge” fiat, invece, sono proprio questi obiettivi/situazioni particolari desiderati che, in quanto obiettivo, la giustificano.
La “legge” fiat, consistendo in una decisione dell’autorità, è perfettamente arbitraria: la sua origine sta infatti nella volontà di quest’ultima, non in un processo spontaneo di selezione culturale di usi e convenzioni di successo che, in quanto tale, è indipendente dalla volontà di chiunque e, in particolare, dell’autorità.
Quindi, chi difende il “diritto alla salute” (ma lo stesso discorso vale anche per chi difende il “diritto alla casa”, il “diritto al lavoro” e, più in generale, tutti i “diritti” a situazioni materiali desiderate) ma allo stesso tempo ritiene illegittimo l’olocausto, per esempio, sta adottando, a seconda dei casi, due idee di legge incompatibili fra loro e opposte, e quindi è necessariamente e intrinsecamente in torto. In altre parole, nei limiti in cui si ritiene legittima la condanna di coloro che legalmente hanno istituito i campi di concentramento nazisti, non si può coerentemente ritenere che esista il “diritto alla salute”: chi lo fa sbaglia perché (spesso inconsapevolmente) sta adottando idee di legge opposte e incompatibili a seconda del caso particolare di suo interesse, come se un astronomo adottasse il modello geocentrico o quello eliocentrico a seconda di quale dei due gli semplifica i calcoli nelle diverse applicazioni particolari.
Le attuali “democrazie” totalitarie (e più in generale gli stati moderni) traggono linfa vitale da questa incoerenza (o più precisamente, usando una parola cara a Mises, polilogismo) e quindi la foraggiano.
2. Il gioco delle tre carte
Una seconda considerazione che può essere fatta sulla tesi espressa da Bersani è che essa esprime un inganno dialettico molto diffuso fra i totalitari, in quanto estremamente efficace: quello di alludere a una forma imperfetta di totalitarismo come argomento per mantenere il totalitarismo perfetto.
Per proseguire il discorso è necessario dare quattro brevi definizioni, la seconda delle quali tuttavia (quella più rilevante per capire il gioco delle tre carte implicito nella tesi di Bersani) richiede un po’ di spazio per essere illustrata.
A) Chiamo totalitarismo perfetto quell’ordine sociale in cui esiste lo stato e in cui il potere di questo, nel suo scopo oltre che nei mezzi per raggiungerlo, è illimitato o, il che è la stessa cosa, è limitato in modo arbitrario. In una situazione di totalitarismo perfetto lo stato può ricorrere alla coercizione (per esempio alle imposte) per finanziare qualunque cosa, per esempio: a) un giudice (qualunque sia l’idea di legge che questo applichi o difenda), b) l’ambulanza, c) un museo.
B) Chiamo totalitarismo imperfetto quell’ordine sociale in cui esiste lo stato e in cui il potere di questo, nel suo scopo [5], è limitato in modo non arbitrario. Ritengo che la distinzione fra totalitarismo perfetto e imperfetto sia fondamentale in quanto, pur essendo entrambe due forme di totalitarismo, esse sono diverse in base a criteri generali e oggettivi. Per capire concretamente la natura del totalitarismo imperfetto, e quindi la sua differenza dal totalitarismo perfetto, può essere utile rispondere alle seguenti tre domande:
- In una situazione di totalitarismo imperfetto lo stato può ricorrere alla coercizione (imposte) per difendere la legge, per esempio per pagare un giudice? Si, ma solo nei limiti in cui la legge che quest’ultimo applica o difende è la Legge (la regola generale di comportamento individuale valida per tutti allo stesso modo) e non il provvedimento particolare deciso dall’autorità (la “legge” fiat): come abbiamo visto, infatti, in quanto ordine spontaneo la Legge, al contrario della “legge” fiat, non è arbitraria. Un corollario di questa risposta è che in una situazione di totalitarismo imperfetto lo stato può ricorrere alla coercizione (imposte) per pagare un giudice (o qualsiasi altro servizio) solo nei limiti in cui nel farlo non viola l’uguaglianza davanti alla Legge, la quale è incompatibile con l’uguaglianza davanti alla “legge” fiat e quindi con la disuguaglianza legale che quest’ultima, al contrario della prima, consente (basti pensare alla proporzionalità fiscale e alla progressività fiscale).
- In una situazione di totalitarismo imperfetto lo stato può ricorrere alla coercizione (imposte) per andare in soccorso di coloro che non riescono a soddisfare autonomamente i loro “bisogni di base” e che non ricevono solidarietà (cioè aiuto volontario da altri)? Si (per questo trattasi di totalitarismo), nei limiti in cui questi “bisogni di base” vengono definiti in modo non arbitrario. È possibile definire i bisogni di base in modo non arbitrario? Forse si: in modo molto impreciso, possiamo tentare di definire un “bisogno di base” come quel bisogno rispetto alla cui soddisfazione è ragionevole assumere, in base al senso comune, che gli individui abbiano le stesse preferenze individuali e lo stesso ordine di priorità (porto un esempio esplicativo in nota [6]). Ai fini del discorso, supponiamo che, in questo o in altro modo, sia possibile definire i “bisogni di base” in modo non arbitrario e che un incidente per cui sia necessaria l’ambulanza rientri fra questi bisogni.
- In una situazione di totalitarismo imperfetto lo stato può ricorrere alla coercizione (imposte) per finanziare un museo? No, in quanto, a differenza della Legge e, nelle ipotesi fatte, dei “bisogni di base”, la cultura è un concetto del tutto arbitrario: esso infatti è puramente soggettivo. Per Tizio una tela bianca con un punto nero al centro esposta al museo di arte contemporanea può essere arte, per Caio può essere merde d’auteur (merda d’autore). Se la cultura, così come tutti i beni e i servizi che sono soggettivamente ritenuti essere importanti, meritevoli e utili, fosse finanziata dallo stato, si ricadrebbe immediatamente nel caso del totalitarismo perfetto [7], anche perché non c’è limite non arbitrario alla coercizione (imposte) a cui lo stato può ricorrere per finanziare beni e servizi che sono soggettivamente ritenuti importanti, meritevoli o utili, in quanto non c’è limite a questi beni e servizi: e il totalitarismo perfetto è stato definito appunto come quel sistema sociale in cui non c’è limite non arbitrario alla coercizione statale.
C) Chiamo società imperfettamente libera quella in cui esiste lo stato e in cui il potere di questo è limitato, nel suo scopo, alla sola difesa della Legge. In altre parole, la società imperfettamente libera è quella in cui la Legge può essere violata dallo stato (p. es. mediante l’imposizione fiscale) solo per la sua difesa. Questa società è imperfettamente libera perché in essa lo stato può violare la Legge (p. es. mediante le tasse); è comunque libera perché non solo il potere dello stato è limitato nel suo scopo in modo non arbitrario ma inoltre è limitato alla sola difesa della Legge e quindi dell’uguaglianza davanti a essa. In una società imperfettamente libera, di conseguenza, lo stato può finanziare un giudice (nei limiti in cui difende la Legge e non la “legge” fiat, e quindi l’uguaglianza davanti alla prima), ma non può finanziare il soccorso a coloro che non riescono a soddisfare autonomamente i loro “bisogni di base” (anche se non arbitrariamente definiti) e che allo stesso tempo non ricevono solidarietà (per questo una situazione di libertà, anche se imperfetta, tende a creare le condizioni migliori per la solidarietà, mentre la cosiddetta “solidarietà sociale” le distrugge); né, tantomeno, naturalmente, può finanziare un museo.
D) Chiamo società perfettamente libera quella in cui i) lo stato e le tasse non esistono e la coercizione di alcuni su altri (la quale è limitata alla difesa della Legge intesa come principio) avviene privatamente, per esempio attraverso società private di assicurazione [8]; e ii) tutti (perché hanno i mezzi necessari o perché ricevono solidarietà), nessuno escluso, hanno la possibilità di difendere i propri diritti coerentemente intesi (quest’ultima condizione è quella che a mio parere rende la società perfettamente libera un obiettivo irrealistico verso cui è bene tendere ma sapendo che non potrà mai essere raggiunto).
Riassumo la sostanza di queste quattro definizioni nel seguente schema:
Totalitarismo perfetto (A) | Totalitarismo imperfetto (B) | Società imperfettamente libera (C) | Società perfettamente libera (D) | |
stato/tasse |
si |
si |
si |
no |
difesa Legge |
no* |
si |
si |
si** |
ambulanza “pubblica” |
si |
si |
no |
no |
museo “pubblico” |
si |
no |
no |
no |
(*) Tranne che, accidentalmente, in fortuiti casi particolari. | ||||
(**) Tranne che per coloro che non hanno i mezzi necessari (p. es. per pagarsi l’assicurazione privata) e che non ricevono solidarietà, cioè aiuto volontario da altri (le condizioni per la massimizzazione del quale sono le migliori possibili in questa situazione). |
* * *
Ora, la nostra situazione è quella del totalitarismo perfetto (A). Quindi, fra gli infiniti esempi che Bersani avrebbe potuto prendere, ci sarebbe stato per esempio quello del museo («chi evade le tasse non ha diritto ad andare al museo»), quello della RAI («chi non paga il canone RAI non ha diritto a vedere la RAI», quello delle auto blu («chi evade le tasse non può votare politici che vanno in giro con l’auto blu») e così via. Bersani tuttavia ha preso, guarda caso, l’esempio dell’ambulanza («chi non evade le tasse non ha diritto all’ambulanza»), cioè l’unico che poteva prendere che fosse in comune fra il totalitarismo perfetto e quello imperfetto. Perché? Perché voleva difendere e mantenere il primo alludendo a qualcosa che evocasse (ma non fosse) il secondo, il quale, essendo caratterizzato da un potere politico limitato in modo non arbitrario, ha più appeal del primo (in cui il potere politico è illimitato). In altre e più semplici parole, Bersani ha scelto l’esempio dell’ambulanza perché se avesse detto «chi evade le tasse non può votare politici che vanno in giro con l’auto blu» gran parte delle persone gli avrebbe ancora risposto in coro «e chissenefrega, anzi meglio!».
Conclusioni
Il “diritto all’ambulanza” è incompatibile col diritto (cioè con la Legge) e quindi con la libertà. Tuttavia, affermare che «chi evade le tasse non ha diritto all’ambulanza» è un inganno, un efficacissimo gioco delle tre carte. Oltre a promuovere l’idolatria dello stato creando paure assurde in coloro che non hanno familiarità culturale o esperienziale con la libertà (i quali possono essere facilmente indotti a credere che se lo stato non fornisse l’ambulanza allora l’ambulanza non esisterebbe), questo inganno è finalizzato a dare l’idea che uno promuova un’idea di società in cui il potere dello stato è limitato in modo non arbitrario (società che comunque rimane totalitaria in quanto, nei limiti in cui si ritiene che i “bisogni di base” possano essere definiti in modo non arbitrario, in essa il potere dello stato si estenderebbe al di là della difesa della Legge) mentre in realtà sta promuovendo una società perfettamente totalitaria: cioè una società nella quale per esempio c’è la progressività fiscale (la quale sul piano dell’uguaglianza davanti alla Legge non differisce in nulla dalle leggi razziali [9]) e nella quale, se non ci sono campi di concentramento, è una pura e fortunata coincidenza.
Poiché, da un lato, per le ragioni dette, io ritengo che la libertà perfetta sia irrealistica, personalmente sono a favore di una società imperfettamente libera (C). Questa, correttamente intesa, non è una situazione statica ma un processo dinamico che tende sempre di più verso la libertà perfetta, senza mai raggiungerla. Riterrei il totalitarismo imperfetto un passo intermedio accettabile (in quanto in esso l’assenza di discriminazione fiscale e di campi di concentramento, per esempio, non sarebbe una fortunata coincidenza), a condizione che questo passo intermedio sia il risultato di uno sforzo continuo e massimo possibile di conseguire l’obiettivo minimo (C) e non sia invece un obiettivo intermedio (come dice William Lloyd Garrison, «gradualism in theory is perpetuity in practice»).
NOTE
[1] Le “tasse” pagate da chi riceve denaro “pubblico” (cioè estorto con la violenza o la minaccia della violenza ai cittadini, non quindi frutto di un atto individuale di scambio volontario) non sono altro infatti che una partita di giro. Se Beppe, che fa il sarto, vende a Laura un abito per 100 e lo stato gli estorce 80 in tasse (senza contare la tassa dell’inflazione monetaria, e quindi senza contare non solo tassa dell’inflazione dei prezzi ma anche e soprattutto la tassa della crisi economica), il flusso di quegli 80 avviene da Beppe verso lo stato. Tuttavia, se Carlo, che fa il parassita, cioè che vive di denaro “pubblico”, riceve nominalmente 100 ma in realtà 60 in quanto 40 lo stato se li tiene come “tasse”, il flusso di quei 40 è dallo stato allo stato, quindi non esiste. È una partita di giro insomma, o meglio una presa in giro. [2] https://www.youtube.com/watch?v=lU1qQmVqoxs [3] «Nello Stato moderno, non c’è nessuna legge così antica o così ‘radicata’ che si trovi al di fuori del potere dell’autorità politica di emendarla o di abolirla; e in ogni Stato europeo moderno esiste una nota e riconosciuta procedura mediante la quale questo può essere fatto» (Oakeshott, M., 2006, Lectures in the History of Political Thought (Imprint Academic, Exeter & Charlottesville), p. 369); «il fatto che i legislatori, almeno in occidente, si astengano ancora dall’interferire in alcuni campi dell’attività individuale – come parlare, scegliere il coniuge, indossare un tipo determinato di abbigliamento, viaggiare – nasconde di solito il crudo fatto che essi hanno effettivamente il potere di interferire in questi ambiti» (Leoni, B., 2000, La libertà e la legge (Liberilibri, Macerata), p. 10). [4] Hayek, F.A., 1998, Law, Legislation and Liberty (Routledge, London), Vol. 1, p. 95. Purtroppo la visione delle funzioni e delle dimensioni dello stato minimo difesa da Hayek non è perfettamente coerente con questa sua bellissima intuizione. [5] Non affronto qui il complesso discorso sulla limitazione dei mezzi per raggiungere questo scopo in quanto mi porterebbe fuori tema. [6] Se Tizio, Caio e Sempronia (i quali, assumiamo per ipotesi, non desiderano morire) stessero morendo di sete, di fame e di freddo, è ragionevole assumere (anche se ci sono sempre casi straordinari in cui ciò potrebbe non avvenire), che essi darebbero la stessa priorità a un bicchiere di tè tiepido, a un panino e a un abito che li protegga dal freddo che venissero loro donati: nel senso che, se invece di queste tre cose venisse loro offerta la possibilità di scegliere tre doni fra sei (le prime tre essendo il tè, il panino e l’abito, mentre la quarta essendo un biglietto del museo, la quinta un biglietto del cinema e la sesta un biglietto del teatro), è ragionevole assumere, in base al senso comune, che nessuno dei tre sceglierebbe una delle ultime tre opzioni, in quanto in questo caso dovrebbe o morire di sete, o di fame o di freddo. Mutatis mutandis, è ragionevole assumere, in base al senso comune, che lo stesso potrebbe avvenire nel caso in cui, una volta risolti i loro problemi di sete, fame e freddo, tutti e tre fossero malati di tumore, si fossero rotti un arto in un incidente, ecc. Se definiamo “di base” quel bisogno rispetto alla soddisfazione del quale è ragionevole assumere che non esistano differenze nelle preferenze individuali e nell’ordine di priorità individuale, allora il bisogno di nutrirsi, di bere e di coprirsi è un “bisogno di base”. Tuttavia, se a Tizio, Caio e Sempronia venisse offerta la possibilità di scegliere fra quattro doni invece che tre, allora è ragionevole assumere che la scelta del quarto dono potrebbe essere diversa nei tre casi, a seconda delle loro diverse preferenze individuali: Tizio potrebbe scegliere, come quarto dono, il biglietto per il cinema, Caio quello del teatro e Sempronia quello del museo (assumiamo che la temperatura interna in questi tre luoghi sia la stessa che all’esterno). Secondo la definizione data di “bisogno di base”, il quarto dono non sarebbe quindi un “bisogno di base”. [7] http://www.lindipendenza.com/lo-stato-che-finanzia-la-cultura-e-per-forza-totalitario/ [8] Si veda per esempio Rothbard M.N., 1973, For a New Liberty (Collier Books, New York) e Rothbard M.N., 1998, The Ethics of Liberty (New York University Press, New York). [9] https://www.movimentolibertario.com/2014/01/non-ce-differenza-fra-progressivita-fiscale-e-leggi-razziali/
@Giovanni Birindelli
credo che abbiamo concetti uguali ms forse li esprimiamo con parole diverse. Quando affermo che la Legge e’ stata”scelta”, mi riferisco non ad una scelta operata da un ente parastatale o peggio, ma da ogni singolo individuo razionale che non puo’ non capire la “giustezza intrinseca” della Legge ed in questo modo essa e’ emersa e si e’ affermata. Non c’e’ stata nessuna riunione in cui si e’ deliberato di applicare la Legge, ma ogni individuo ha operato questa scelta, tranne pochi che hanno deciso di far violenza e per questo non sono stati accettati dalla civilta’. Inoltre, un insieme di comportamenti da non tenere nei confronti degli altri, il che di fatto costituisce la Legge, non puo’ emergere casualmente come una mutazione genetica, ma puo’ solo essere solo il frutto di una scelta, anche non consapevole, di tanti individui che poi si diffonde a macchia d’olio. Finche’ un giorno non venne qualcuno con le armi a sottomettere gli altri e nacque cosi’ lo stato
Non capisco bene il fatto che qui esista qualcuno che non paghi mai tasse. Per tutto quello che si acquista e quasi per ogni atto che si fa paghi tasse.
Usi l’automobile? Paghi tassa sul carburante e per parcheggi o pedaggi stradali, compri cd e televisori e paghi tassa (I.V.A.), hai depositi bancari o postali? E paghi tassa su essi, ci operi investimenti e paghi tassa. Vai in albergo e paghi tassa, vai al ristorante idem…mandi i tuoi figli a scuola? E paghi tassa scolastica e libri scolastici su cui c’è altra tassa… Usi telefono, gas, corrente elettrica e paghi tassa sulle bollette…chiami l’idraulico e paghi tassa sul suo lavoro oltre che sui tubi nuovi che ti monta…ecc…
Sì ma devi pagare anche sul reddito da lavoro o sulle “ricchezze” che hai… eh ma paghi lo stesso. Ad esempio invece di versare 20000 euro al fisco li utilizzi insieme ad altri risparmi per comprarti un grosso fuoristrada, così paghi l’IVA in quantità che non avresti sborsato se versavi quel denaro e ti restava solo la somma per una semplice utilitaria e idem si dica per il suo bollo di possesso e anche per la sua benzina dato che consuma più d’una ‘600…ecc… In pratica a meno che non si trasportino all’estero la propria attività e i propri beni chiunque paga sempre tasse, magari in una forma piuttosto che in un’altra o in modo temporalmente differenziato, ma a non pagare mai tasse non ci riesci. Si potrebbe rispondere: però queste non bastano per coprire l’assistenza sanitaria… E come fai a dirlo? Le tasse non sono solo compensi per i servizi da te richiesti o a beneficio d’altri cittadini (secondo i necessari criteri d’una società civile e non disumana) come erroneamente si afferma. Tassa: è una quota appartenente a beni, giuridicamente e legittimamente riconosciuti di tua proprietà, che sei obbligato a versare allo Stato a prescindere da usi e finalità che tu sai o vuoi. Lo Stato con questo tuo denaro non attiva solo autombulanze, ci fa anche altro a cui magari sei contrario e forse contrario proprio per motivi umanitari, ad esempio ci finanzia missioni militari che te, se sei pacifista, assolutamente deplori. Oppure li devolve per opere culturali come alcune cinematografiche che tu non vedrai non provando per esse alcuna attrattiva o perché le riterrai di scarso valore. E magari ti si chiedono tasse esose per lo smaltimento dei rifiuti, che forse sarebbero meno esose se funzionasse un efficiente sistema d’incenerimento o termovalorizzazione, che te approveresti volentieri ma che è rifiutato dalle forze politiche dominanti. O pure con quei tuoi soldi lo Stato eroga stipendi, 50 volte il tuo, a manager, dirigenti di strutture pubbliche che te non utilizzi o che comunque continuano a funzionar male (tipo trasporti locali); o persino a magistrati, e poliziotti che verranno a prenderti a casa a sirena spiegata (non dell’autombulanza) poiché hai piantato nel tuo orticello qualche innocua pianta di cannabis, e così via… Le quote fiscali, soprattutto quelle genericamente prelevate dal reddito, potranno servire al potere pubblico per tante iniziative che forse poco avranno a che spartire con i benefici voluti da te, o per altri come te. In sintesi: come si può sostenere che le tasse che tu, per quanto evasore, comunque ogni giorno paghi e hai già pagato, non risultino sufficienti ad offrirti un’assistenza occasionale o un qualche necessario aiuto per l’imprevedibilità della vita? Sulla base di quale calcolo? Inoltre già quando spendi implicitamente sostieni l’economia fiscale, infatti altri, a causa dell’eventuale tua spesa, guadagneranno e a loro volta acquisteranno pagando almeno una parte delle tasse richieste. Perciò, seppur indirettamente, il tuo denaro comunque genera altre erogazione alla cassa dell’agenzie pubbliche. Perché non dovrebbe esser riconosciuto almeno questo merito?
Grazie Marco del tuo intervento. Tu scrivi: “La legge andrebbe a mio avviso considerata come il risultato di un procedimento logico-razionale … La logica ci dice che le regole servono piochè, in caso di loro assenza vi sarebbe uno stato di guerra perenne per l’accaparramento delle risorse vitali, come per il mondo animale, il che renderebbe la vita un’esperienza terribile, in quanto saremmo sempre costretti a guardarci intorno dal minimo pericolo e finiremmo inevitabilmente col cadere sotto l’oppressione feroce del più forte e/o intelligente”. Il fatto che le regole “servano” a qualcosa lo trovo pericoloso. Se qualcosa “serve”, serve per conseguire uno scopo. Chi stabilisce questo scopo? Se adottassimo una legge in funzione di uno scopo particolare, non sarebbe questo un punto in comune col positivismo giuridico e quindi con i collettivisti? In altre parole, non è forse una caratteristica della Legge intesa come limite al potere (quindi della Legge intesa sia come ordine spontaneo che come ordine naturale) quella di essere valida INDIPENDENTEMENTE dalle situazioni che vengono prodotte dalla sua applicazione? Se le regole devono servire uno scopo, a seconda delle diverse interpretazioni di questo scopo non potrebbero generarsi quei conflitti che si volevano evitare? Anche se tutti condividessimo lo stesso scopo (poniamo la prosperità) non potremmo essere in disaccordo sulle regole che devono essere rispettate per raggiungerlo? Il dibattito economico ci offre un esempio di questo. La Legge intesa come ordine spontaneo (il principio generale e astratto) è quella che evita il conflitto (in particolare per l’accaparramento di risorse) ma non è stata scelta per questo, bensì è emersa spontaneamente proprio perché riduceva il conflitto, allo stesso modo in cui, secondo Darwin (che ha preso questo concetto e lo ha adattato alla biologia), nell’evoluzione delle specie “vengono favorite (“selezionate”) quelle mutazioni genetiche (originate casualmente) che portano gli individui ad avere caratteristiche più vantaggiose in date condizioni ambientali, determinandone, cioè, un vantaggio adattativo (migliore adattamento) in termini di sopravvivenza e riproduzione” (Wikipedia). In sintesi, dal mio punto di vista, considerare la Legge come il risultato di un procedimento logico-razionale non sarebbe meno sbagliato di considerare il denaro, o una lingua, allo stesso modo (nessuno ha inventato a tavolino una lingua o scelto a tavolino l’oro come denaro perché sapeva o avrebbe potuto sapere EX ANTE che avrebbero funzionato: essi sono emersi gradualmente e spontaneamente PERCHE’ funzionavano, cioè perché EX POST era stato osservato che funzionavano). Un saluto e grazie ancora
Salve a tutti; innanzitutto complimenti a Giovanni Birindelli per i suoi articoli sempre intelligenti e pervasi da una logica che purtroppo nella maggior parte della gente è ormai scomparsa da tempo.
Detto questo, vorrei dire la mia sulla querelle della definizione di Legge. Definirla come il risultati di credenze e consuetudini affermatesi nel tempo rischia di esporsi a interpretazioni soggettive, specie da parte di chi, in malafede vorrebbe far valere supposti ma in realtà inesistenti “diritti”. Essa andrebbe a mio avviso considerata come il risultato di un procedimento logico-razionale, che , seguendo la logica comune, sarebbe molto meno soggettivo e più difficile da confutare (per quanto forse neanche in questo caso si riuscirebbe a convincere tutti).
La logica ci dice che le regole servono piochè, in caso di loro assenza vi sarebbe uno stato di guerra perenne per l’accaparramento delle risorse vitali, come per il mondo animale, il che renderebbe la vita un’esperienza terribile, in quanto saremmo sempre costretti a guardarci intorno dal minimo pericolo e finiremmo inevitabilmente col cadere sotto l’oppressione feroce del più forte e/o intelligente. La stessa logica afferma che le uniche regole che eviterebbero tutto ciò, senza però trasformarsi anch’esse in un’oppressione sono quelle che impediscono ogni forma d’aggressione di un essere umano verso un altro (poi si aprirebbe il dibattito sulla legittimità o meno della violenza sugli animali, ma è un altro discorso).
Questa, secondo me, la comune logica e non il fatto che si tratti di consuetudini accettate, dovrebbe essere considerata la fonte della legittimità della Legge, in quanto essa fondamentalmente si riconduce alla proibizione dell’aggressione (anche ovviamente quelle subdole tipo la contraffazione o la truffa).
Un saluto e un ringraziamento a tutti per il bel dibattito
La ringrazio per la cortese risposta. La Legge intesa come principio è generale, quindi vale necessariamente per tutti gli uomini allo stesso modo (gli schiavi, prima di essere schiavi, sono esseri umani). La legge consuetudinaria non è un principio generale, è una regola particolare che trae origine dalla sua vetustità. Quindi dove la legge è la regola consuetudinaria, la “legge” può essere la violazione di un principio in un caso particolare: basta che in quel caso particolare la consuetudine che viola il principio sia sufficientemente “vecchia”. Dove invece la Legge è il principio, essa non può violare se stessa in nessun caso particolare: gli uomini possono violarla, ma questo è un altro discorso. Questa secondo me è la differenza fondamentale fra la legge consuetudinaria e la Legge intesa come principio. Un saluto.
Ti ringrazio: scusami, ci davamo del tu.
Grazie per la gentile risposta e per la segnalazione dell’articolo di commento a Higgs. Mi rimane però ostica la distinzione fra legge in quanto frutto di consuetudine e Legge in quanto frutto di evoluzione. Se ho ben capito, la prima riguarda principi(e istituti) particolari e magari discriminanti (vedi schiavitù), la seconda invece principi(e istituti) universali e non discriminanti (vedi mercato).Ma sulla base di che cosa dichiariamo cattiva l’una e buona l’altra? Secondo Hume si partirebbe da scelte concernenti l’utilità individuale che in seguito sarebbero apprezzate e spontaneamente accettate in virtù della loro utilità sociale, per divenire alla fine norme etiche grazie a sentimenti di empatia che inducono il potenziale “aggressore” a mettersi nei panni del potenziale “aggredito”. Sta di fatto che la schiavitù è durata millenni proprio per la sua, vera o presunta, utilità sociale, ed è stata prima dichiarata disumana in termini puramente concettuali, e poi, molto più tardi, abrogata in concreto ( ma siamo sicuri che sia scomparsa del tutto?) non attraverso un processo evolutivo spontaneo ed empatico, ma sulla base di contrastatissime speculazioni filosofiche e religiose, che necessariamente devono fondarsi su princìpi inerenti alla “natura umana”: “Sono schiavi? Al contrario, sono nostri compagni”, SENECA; “Né uomo né donna, né ebreo né pagano, né libero” né schiavo, tutti siamo uguali in Gesù Cristo”,SAN PAOLO. D’accordo con Antiseri (cattolico relativista, che sulle orme di Pascal crede in Dio per scommessa: bell’azzardo!), non c’è nulla di più culturale del concetto di “natura”: nel senso però che solo attraverso un’operazione di tipo filosofico, e quindi culturale, possiamo definirlo. Ma sotto questo aspetto ogni concetto è culturale! E allora ogni concetto è fasullo? O solo il concetto di “natura umana”? E perché, di grazia? Quando Terenzio fa dire a un suo personaggio “Homo sum, nihil humani a me alienum puto” , e Cecilio Stazio in un frammento fortunosamente pervenutoci, afferma “Homo homini deus est, si suum officium sciat” enunciano meri “flatus vocis” o hanno un’idea ben chiara, “culturale”, di natura umana?
Fermo restando che considero una società fondata sul diritto consuetudinario di gran lunga preferibile a un sistema dove le leggi si fanno e disfanno ad arbitrio di organi decisionali all’uopo costituiti, non nutro neppure grande fiducia in una Legge indiscutibile formatasi attraverso un processo selettivo spontaneo, o ritenuto tale, che avrebbe lasciato sopravvivere il meglio e scartato il peggio, garantendo funzionalità, libertà e certezza del diritto. Mi sembra un mito come tanti altri, primi fra tutti il “contratto sociale e la “volontà del popolo” espressa attraverso il voto. Dietro ogni norma consuetudinaria c’è sempre una serie di pronunce riconducibili a organi monocratici o collegiali che all’origine hanno deciso in un certo modo e nel corso del tempo a quello schema si attengono, con gli aggiustamenti che le sempre nuove circostanze richiedono (“stare decisis”). Ma non è detto che norme così formatesi, per il solo prestigio della loro vetustà, siano sempre accettabili per chi crede nei principi libertari. Nel mondo antico (ma non solo!)la schiavitù era considerata normale e nessuno-o quasi- la metteva in discussione: c’era sempre stata… Io credo che bisogni avere il coraggio di tornare all’idea -oggi derisa dai più- di diritto naturale, inteso in senso forte, come qualcosa di intrinseco alla natura umana -altro concetto oggi irriso- in quanto tale, non come frutto ambiguo di un’evoluzione pensata sul modello delle scienze bio-genetiche.
Grazie Carlo. La mia opinione sul punto che sollevi tu la ho espressa qui http://vonmises.it/2013/08/05/legge-evoluzione-e-consuetudine/
In breve, dal mio punto di vista, i due punti deboli del giusnaturalismo sono:
1) che implica un’arbitrarietà “a monte” nel definire ciò che è “naturale”; ma soprattutto:
2) che implica una singolarità che, dal punto di vista scientifico, mi sembra piuttosto difficile da accettare: la Legge naturale sarebbe infatti l’unico ordine sociale naturale.
In altre parole: noi sappiamo scientificamente che un ordine sociale spontaneo è possibile: ci basta infatti osservare la lingua, il denaro, il mercato, ecc.. Di più: noi sappiamo che, lasciando perdere per il momento la Legge, tutti gli ordini sociali (mi riferisco agli ordini sociali che non sono positivi, naturalmente, cioè risultato non solo dell’azione dell’uomo ma anche del suo disegno, come le organizzazioni) sono spontanei (risultato dell’azione dell’uomo ma non del suo disegno: si vedano gli esempi precedenti). Secondo il giusnaturalismo, la Legge dovrebbe essere l’unico ordine sociale non positivo che sia naturale (cioè risultato né dell’azione dell’uomo né del suo disegno).
Tu scrivi: “non è detto che norme così formatesi, per il solo prestigio della loro vetustà, siano sempre accettabili per chi crede nei principi libertari. Nel mondo antico (ma non solo!) la schiavitù era considerata normale e nessuno -o quasi- la metteva in discussione: c’era sempre stata…”. Secondo me occorre non confondere evoluzione e consuetudine: ma qui rimando all’articolo che ho citato sopra per brevità. Il fatto che da ormai cento anni la Fed commetta il reato di contraffazione stampando denaro non altera di una virgola l’illegittimità della contraffazione, che tra l’altro è riconosciuta come crimine in altri casi. Il fatto che storicamente, e magari anche per molto tempo o addirittura da sempre, una Legge sia stata violata (tipicamente in alcuni casi – p. es. quello degli schiavi – e non in altri) non lede minimamente la teoria evolutiva (e non consuetudiaria) della Legge. La Legge-principio (essendo il risultato di un processo evolutivo, il quale può partire anche da un singolo caso particolare: Hume ipotizza quello della proprietà privata), essendo generale, è applicabile a diversi a diversi casi particolari. Storicamente, a seconda dei periodi, essa può essere violata in un paniere di casi diversi: questo paniere è crescente quando ci si muove nella direzione opposta alla libertà e decrescente quando ci si muove nella direzione della libertà. Non c’è niente di anormale e di incompatibile con la teoria evolutiva (e non consuetudiaria) della Legge in questo.
Infine, la teoria evolutiva della Legge non è “frutto ambiguo di un’evoluzione pensata sul modello delle scienze bio-genetiche” ma il contrario: è la teoria della selezione naturale di Darwin che è un adattamento alla biologia di un principio che era stato pensato inizialmente per le scienze sociali (vedi Hayek F. A., 1967, “Studies in Philosophy, Politics and Economics” (Routledge & Keagan Paul, London), pp. 111, 119; Hayek F. A., 1978, “New Studies in Philosophy, Politics and Economics” (Routledge & Keagan Paul, London), pp. 67-68, 265).
Un saluto
Giovanni Birindelli, approfitto ancora della sua disponibilità per cercare di risolvere la questione, più che altro per me stesso.
“Ora, persone diverse (pensiamo a Hayek e Rothbard, per esempio) possono avere idee diverse sul concetto di libertà (e in questo senso si può dire che il concetto di libertà è “soggettivo”)”
Fin qui ci siamo: è soggettivo.
Diventa oggettivo quando passa al vaglio del mercato.
Il mercato (tutti noi) elegge il significato di libertà.
Ma il mercato (libero) non può funzionare senza azioni volontarie di scambio e concetto di proprietà.
Ma solo se funziona può produrre un concetto di libertà oggettivo.
Quindi il concetto primordiale di libertà è soggettivo, deve però intervenire il mercato per renderlo oggettivo.
Il mercato è più importante del concetto di libertà soggettivo.
Forse la questione è: quale dei due concetti è più importante?
Di fatto tutt’e due i concetti stanno in piedi da soli, ma direi che diventa più importante quello OGETTIVO, cioè quello scaturito spontaneamente dal mercato, che altro non è che la “media” dei concetti soggettivi.
Il concetto di libertà entra in scena dopo l’esistenza di una società, perché entri in scena non è sufficiente che quella società esista ma deve anche scambiare. Inizia a scambiare seguendo i concetti vari e diversi SOGGETTIVI con tutto ciò che ne consegue, botte da orbi comprese, mano a mano la società proprio grazie al mercato elegge dei princìpi (proprietà privata e rispetto dell’individuo) che vanno a limitare le libertà soggettive ed a far scaturire quella oggettiva.
Si può dire che se vogliamo un mercato libero dobbiamo prendere in considerazione solo la libertà OGGETTIVA?
Direi di sì.
E si può dire che perché il mercato inizi a funzionare deve partire partire da quelle SOGGETTIVE?
Direi altrettanto di sì.
Io direi quindi che comunque abbiamo due concetti: soggettivo e oggettivo, entrambi importanti anche se molto diversi e quello da cui partire è quello OGGETTIVO, che è già il risultato di una evoluzione grazie al mercato. È stato raffinato.
Il significato oggettivo di libertà è l’omologo del prezzo di mercato.
Tenga presente che questi ragionamenti derivano dal mio considerare qualsiasi scambio, materiale ed immateriale, mercato.
Direi che ha ragione Rothbard e lei: ci interessa il concetto oggettivo.
La ringrazio per avermi chiarito la questione solidarietà, sono d’accordissimo con lei e mi dispiace di aver interpretato in modo errato.
Un saluto .
Se il cittadino ha diritto all’assistenza sanitaria pubblica allora lo Stato può pretendere che detto cittadino si comporti in modo da ridurre questa spesa.
https://www.youtube.com/watch?v=CCfW6HFP5cI
Infatti andiamo verso uno stato etico che controllera’ sempre più le nostre vite
Grazie Giovanni,
potrei solo argomentare che la “società perfettamente libera” è un viaggio senza fine come l’evoluzione delle scienze umane. Imperfetta, ma compatibile con l’individualismo metodologico. Quando ci si riferisce alla perfezione tendo a far riferimento non all’astrazione del termine società, ma della libertà che l’alberga. Sia diffusa sia puntuale.
Scrivi.
“Ora, la società in cui le azioni fra individui si riducessero a scambi volontari di questo tipo sarebbe una società perfettamente libera?”
Convengo col si, naturalmente in teoria.
Difettiamo però entrambi, non diversamente del dittatore, della conoscenza del reale stato del mercato in ogni momento cosicché non possiamo valutare o dare rilevanza alle nostre supposizioni senza probabilmente violare la famosa teoria della “impossibilità del socialismo”(Mises) per quanto attiene la conoscenza necessaria e quella disponibile.
Confidenza nella ragione? Si. L’abuso sappiamo che è possibile e il confine è labile (penso ad Hayek).
La “società perfetta” è un non senso perché già la società, come i prodotti umani reali (e figuriamoci le astrazioni), è congenitamente imperfetta. Di fatto costituita da una moltitudine di singole e uniche impossibili perfezioni. Quindi una società perfetta sarebbe una imperfezione perfetta e non solamente statica.
Grazie Eridanio. Forse nella sostanza siamo d’accordo. Entrambi conveniamo che una società perfetta è un non senso logico (quindi impossibile sia in teoria che in pratica) e che una società perfettamente libera, anche se possibile in teoria, non lo è in pratica, ma è un fine verso cui è possibile tendere sempre di più (imparando l’arte della libertà). Buona serata!
Grazie Eridanio. Tu scrivi che “la società perfettamente libera è impossibile perché sarebbe oggetto di ulteriore evoluzione”. Ora, io sarei totalmente d’accordo con questa affermazione se, al posto della “società perfettamente libera” tu ti riferissi alla “società perfetta”. La società perfetta non esiste proprio perché essa sarebbe statica mentre la società non può che evolversi continuamente. Ma siamo sicuri che la ragione per cui una società perfettamente LIBERA non possa esistere sia la stessa? Partiamo da un caso elementare e consideriamo un atto di scambio volontario, per esempio quello fra Marco che offre a Rebecca 2 chili di mele in cambio di un chilo di lana. In assenza di violazioni della Legge (tipo tasse, furti, frodi, contraffazioni ecc.), nei limiti in cui la libertà è definita come assenza di coercizione di alcuni su altri, questo sarebbe un atto perfettamente libero. Ora, la società in cui le azioni fra individui si riducessero a scambi volontari di questo tipo sarebbe una società perfettamente libera? Si, naturalmente. Sarebbe una società perfetta? No, proprio per la ragione che dici tu: perché la società è in continua evoluzione. Per esempio gli scambi possono passare dalla forma del baratto a quella del denaro e poi ancora al Bitcoin (cioè possono evolversi, e con essi la società in cui essi avvengono) senza che sia violata la libertà, cioè senza per esempio che siano applicate tasse, “denaro” fiat ecc.
Bell’articolo.
Scusate però un attimo. Sempre attingendo dalla memoria. E’ un’atto di scienza ipotizzare l’impossibilità della società perfettamente libera.
Non perché esistano o Birindelli abbia conto che esistano dei limiti invalicabili che rendano impossibile tale tipo di società.
Bensì perché l’estensione che può raggiungere la mente umana in termini di evoluzione tecnologica, e perché no, anche sociale è a tutti gli effetti indeterminabile e non sappiamo quanto limitata. Tecnicamente senza presumibile contorno o fine preciso. Non mi sembra che possa esistere consapevolezza più solida sulla quale fondare gli atti di speranza. Asteroidi o altre catastrofi permettendo (fatti fuori da ogni controllo umano).
La società perfettamente libera è impossibile perché sarebbe oggetto di ulteriore evoluzione. Non saremo certo noi a porre un limite o a tagliare il mondo in quarti (A) (B) (C) (D).
Quello che si fa è cercare, come umanamente possibile, contribuire ad interrogarci e comprendere quel che riusciamo a scoprire offrendolo alla discussione di chi è interessato.
L’uomo estende gli orizzonti ogni giorno ed in ogni ambito. E’ per questo che l’economia e le sue istituzioni: lingua, moneta e diritto; abbiamo scoperto non essere un gioco di dare ed avere a somma zero.
Giovanni Birindelli, la società perfettamente libera, partendo dalla definizione di libertà che le ho dato nell’ultima risposta al suo post sulla progressività fiscale e le leggi razziali (che forse lei non ha più letto), con l’anarco-capitalismo sta in piedi, sia in teoria che in pratica. Non è affatto utopica.
Trovo quindi sbagliato porsi nei confronti di una società perfettamente libera con un atteggiamento rassegnato e rinunciatario che deriva dal considerarla erroneamente un’utopia.
Come si può desiderare che si sviluppi un’evoluzione per la società se ci si dà già un limite inesistente in partenza?
Il pensiero, la logica che lo produce, e di conseguenza l’atteggiamento che ne deriva sono importantissimi e non vanno limitati.
Nella realtà poi sono d’accordo con lei che i passi da fare in quella direzione sono moltissimi, difficilissimi e lunghi, ma questa è altra cosa. Se io parto con un atteggiamento remissivo e rassegnato (ripeto, immotivatamente), parto comunque col piede sbagliato.
Se l’uomo fosse stato convinto che volare fosse utopico non ci sarebbe stata nessuna evoluzione in quel senso ed ora non avremmo né elicotteri, né aerei, né altri oggetti volanti.
Son d’accordo sul fatto che la legge (principio) nasca da un ordine spontaneo e venga scoperta anziché inventata.
Un saluto .
La ringrazio per questa risposta e la precedente, che ho letto con attenzione e interesse. Trovandomi in viaggio senza connessione a internet a parte il telefonino, sono costretto a rispondere in modo ‘veloce’ (rinviando eventualmente ad altro momento una risposta più completa). Qui mi limito ad anticipare che sono perfettamente d’accordo con lei sul fatto che sia necessario non rinunciare a ideali solo perché questi sono estremamente difficili da raggiungere: anzi sono proprio questi ideali a “trainare”, nella vita reale, ogni evoluzione verso sempre maggiore libertà, evoluzione che non potrebbe esserci senza di essi. Nell’articolo ho fatto riferimento a questo in due punti, uno dei quali sono le conclusioni. Quelle che ho definito società imperfettamente libera (C) e perfettamente libera (D) non differiscono nell’ideale di libertà: in entrambi i casi la libertà è definita come assenza di coercizione di alcuni su altri (il termine “imperfettamente” ha la funzione di sottolineare proprio questa definizione di libertà comune fra i casi C e D). Il punto centrale della nostra discussione e del nostro disaccordo riguarda il caso di Mario Rossi che, per 1000 possibili ragioni, pur non disponendo delle risorse necessarie per difendere i propri diritti, non riceve solidarietà. Mario Rossi non ha, per le ragioni dette, diritto all’ambulanza egli tuttavia ha diritto a non essere aggredito e, nei limiti in cui questo diritto non viene rispettato, la sua libertà (cioè la libertà) è violata. Nei commenti all’articolo precedente le ho spiegato perché, dal mio punto di vista, quest’ultima violazione della libertà è peggiore di quella che si avrebbe nel caso C (nel primo caso, a differenza del secondo, tale violazione potrebbe non avere limiti). Nella sua risposta lei ha argomentato in sostanza (e Rothbard ha una posizione del tutto simile) che la prima violazione della libertà non sarebbe tale in quanto Mario Rossi avrebbe la possibilità di evitarla avendo una condotta che ispiri solidarietà e che se non riesce a ispirare solidarietà allora vuol dire che non la merita. Pur riconoscendo il nesso fra solidarietà e condotta legittima (si veda mio articolo sul gentiluomo che citavo nell’articolo precedente) non credo che questo nesso sia una necessaria relazione causa-effetto (per 1000 ragioni Mario Rossi potrebbe non ricevere solidarietà anche se la “merita”). In secondo luogo, proprio in quanto questione di principio, la libertà (a differenza dell’ambulanza) non può logicamente essere fatta dipendere dalla solidarietà che, su un piano di principio, non ha nessun legame con la libertà (ferma restando la relazione “statistica”, storica ecc. che però non è una relazione su un piano di principio o, diciamo così, filosofica). La ringrazio per questo scambio. Credo che siamo d’accordo su molte cose: la più importante delle quali sia l’importanza dell’ideale di libertà come fattore trainante della realtà nella sua direzione. Un saluto
Giovanni Birindelli, non posso fare a meno di accostare il concetto di libertà a quello di valore, entrambi molto soggettivi.
Quindi, come rifiuto che il valore venga espresso da un qualcosa o un qualcuno che non sia il mercato, lo stesso credo debba valere per la libertà.
Ora noi possiamo disquisire in eterno sulla libertà se non troviamo per essa un significato definito, preciso e condiviso.
Ma questo significato deve scaturire (secondo me) da un’ordine spontaneo, dal mercato.
Il significato che condivido è quello che secondo me è più vicino all’espressione spontanea di quel concetto: “essere libero di disporre di me stesso, della mia roba e scegliere”.
Lo trovo valido perché implica che solo io possa decidere per me e la mia roba, nel contempo il concetto di “mio” presuppone che io già mi trovi dentro una società e che voglia distinguere le varie proprietà come pure la mia persona dal resto della società.
Credo possa essere esteso e condiviso dalla maggior parte degli abitanti del pianeta pianeta e quindi essere definita “definizione spontanea”.
Non vedo da da quale altro punto si possa partire per intavolare una discussione che abbia fini pratici più che intellettuali e filosofici (palestra pur sempre molto utile).
Non saprei come si sia espresso Rothbard su questo punto poiché non ho ancora letto (purtroppo) nessuna sua opera, posso confermarle che lo condivido in pieno per quanto abbia potuto conoscere del suo pensiero, grazie ad estratti riportati in articoli di questo sito o von Mises Italia.
Quanto al “nostro” Mario Rossi, lei lo pone veramente in una condizione limite che in ogni caso merita considerazione.
Ma in un’ottica di mercato estesa alle relazioni umane non vedo come la solidarietà possa essere inquadrata come diritto.
Si dovrebbe mettere in discussione il fatto che il mercato, in quanto espressione di ordini spontanei derivanti da miliardi di scambi, ha sempre ragione.
Crollerebbe la base solidissima sulla quale secondo me poggia la libertà stessa intesa come espressione spontanea.
Credo che a quel punto Mario Rossi lo si debba abbandonare al suo destino, imporre alla società di aiutarlo la priva automaticamente della libertà.
Ma Mario Rossi è un caso limite cui guardiamo da una condizione (la nostra) di frustrazione, infelicità, povertà ed insoddisfazione dovuta alla dittatura socialista che stiamo subendo, ed in effetti, non è dato sapere cosa ne sarebbe di Mario Rossi se le condizioni della società fossero diverse da queste.
Credo sia normale che Mario Rossi corra qualche rischio, come tutti del resto.
Un saluto e grazie ancora.
La ringrazio per questo ulteriore commento, il quale mette a fuoco l’origine del nostro disaccordo. Lei scrive: “non posso fare a meno di accostare il concetto di libertà a quello di valore, entrambi molto soggettivi. Quindi, come rifiuto che il valore venga espresso da un qualcosa o un qualcuno che non sia il mercato, lo stesso credo debba valere per la libertà.”
Ora, persone diverse (pensiamo a Hayek e Rothbard, per esempio) possono avere idee diverse sul concetto di libertà (e in questo senso si può dire che il concetto di libertà è “soggettivo”). Tuttavia, almeno all’interno della scuola liberale classica e libertaria, senza eccezioni che io conosca, la libertà, qualunque sia la sua definizione soggettiva, è un concetto intrinsecamente oggettivo, nel senso che è indipendente dalle preferenze individuali: per Rothbard che per Hayek, per esempio, il sequestro di persona è oggettivamente una violazione della libertà, indipendentemente dalle convinzioni o preferenze del sequestratore o del sequestrato.
Il valore, invece, da Menger in poi, è universalmente riconosciuto, all’interno della scuola liberale classica e libertaria, come intrinsecamente soggettivo, nel senso che è interamente dipendente dalle preferenze individuali: Tizio e Caio possono dare valore diverso a un oggetto a seconda di quanta della loro proprietà sono individualmente disposti a privarsi per ottenerlo.
Quindi, se da un lato la scuola liberale classica e libertaria, nelle sue parole, rifiuta che il valore venga espresso da qualcosa o qualcuno che non sia il mercato, dall’altro essa rifiuta che ciò possa valere per la libertà. E’ proprio il fatto che la libertà, comunque sia soggettivamente definita, è un concetto oggettivo che permette la teoria soggettiva del valore.
Per questo io non sono d’accordo con lei.
Prima di chiudere, devo risolvere una confusione: io non ho mai affermato che la solidarietà sia un “diritto”. Avendo sottolineato che la solidarietà è tale solo se è individuale e volontaria, ho stabilito (anche se non ce ne era bisogno) che essa è un dono, non un “diritto”. Affermare che, nel caso di Mario Rossi, senza questo dono verrebbe violato un suo diritto non significa affatto affermare che la solidarietà è un “diritto”, allo stesso modo in cui affermare che, senza la solidarietà di Tizio, Caio non potrebbe accedere a determinate cure, non vuol dire affatto che Caio abbia “diritto” alla solidarietà di Tizio, ma esattamente il contrario.
Grazie ancora per questo scambio e un saluto.
Tuttavia, se non capisco male, nella prospettiva di chi sostiene la Legge come limite al potere e pensa ad uno stato limitato da un principio di non aggressione e dal rispetto della proprietà privata, e della volontarietà.. nè un servizio sanitario statale nè una fiscalità “a scaglioni” che aumenti le aliquote con la ricchezza, sono propriamente inaccettabili di per sè.. basterebbe infatti che lo stato fosse un’organizzazione a cui si aderisce o meno su base volontaria. Posto che la legge va intesa in senso negativo, e che quindi in questo senso non esistono per essa diritti come quello alla salute, tuttavia nulla impedisce che senza rifarsi a diritti inesistenti i cittadini di uno stato, o i membri di una comunità che si organizza in uno stato, decidano che proprio questo debba fornire un servizio sanitario per tutti finanziato con le tasse, purchè appunto l’adesione allo stato in cui questo si decide, e di conseguenza a queste “tasse”, siano volontari. Neppure la famigerata divisione “arbitraria” in scaglioni fiscali è inaccettabile se lo schema, per quanto arbitrario, viene sonsiderato accettabile dagli interessati e trovasse l’adesione di chi deve pagare. Insomma chi lo desideri, fintanto che lo desidera e senza commettere aggressioni, potrebbe avere uno stato che paga le cure a tutti finanziandosi in modo progressivo. Voglio dire tutte quelle persone che auspicano una situazione di questo tipo potrebbero continuare a farlo anche passando ad una prospettiva libertaria e continuare a sostenere l’adesione volontaria a questo tipo di stato per chiunque sia convinto della sua bontà.
“…purchè appunto l’adesione allo stato … , e di conseguenza a queste “tasse”, siano volontari”. Ma se sono volontari allora perché c’è bisogno dello stato (il cui tratto distintivo è il monopolio della violenza)? Non sarebbe più semplice se queste persone, invece di aderire volontariamente a uno stato, si organizzassero banalmente in una comunità di mutuo soccorso? Senza considerare poi i problemi classici: se Marco ha una casa Venezia e il Veneto si dichiara “stato volontario” (nel senso inteso da lei), Marco, che supponiamo non voglia aderire perché non vuole pagare quelle tasse, cosa dovrebbe fare? Se fosse costretto ad andarsene su di lui verrebbe esercitata violenza e quindi crolla il suo argomento; se non fosse costretto ad andarsene e i membri dello “stato volontario” decidessero di finanziare la difesa allora sarebbe un freerider. E cosa succederebbe se due gruppi territoralmente mischiati e non divisibili decidessero entrambi di formare uno stato? Ci sarebbero due (e quindi n) stati uno dentro l’altro? Ecc.
Bell’articolo! Molto interessante e assolutamente condivisibile