Etienne de la Boetie già nel 1500 sosteneva che qualunque tirannia “ha bisogno di fondarsi sul consenso di massa e il modo per abbatterla consiste appunto nella revoca di questo consenso popolare”. [Discorso sulla servitù volontaria]. Vediamo come Mises, il suo allievo prediletto Rothbard e l’allievo di Rothbard, Hoppe, hanno sviluppato questo concetto.
Parla Hoppe.
« (…) se si vuole spogliare lo Stato dei suoi poteri e riportarlo alla condizione di organizzazione volontaria (…), non è necessario conquistare il potere o rovesciarlo con la forza o anche, semplicemente, riuscire a mettere le mani su un governante.
Anzi, queste strade non farebbero altro che ribadire il principio di coercizione e di aggressione violenta che sottende l’attuale sistema e condurrebbero inevitabilmente a sostituire un governo o un tiranno con un altro. Viceversa, tutto quel che serve è decidere di ritirarsi dall’unione forzosa e riprendersi il diritto di auto-potezione. In effetti, è essenziale che la via prescelta sia solo quella della secessione pacifica e della non-cooperazione.
Se a prima vista questo consiglio può apparire ingenuo (in fondo, che differenza fa se voi o io decidiamo di secedere dall’unione?), la sua natura di strategia per un’autentica rivoluzione sociale diviene evidente non appena si chiariscono le conseguenze di un atto di secessione personale.
La decisione di secedere significa che il governo centrale viene ritenuto illegittimo e che, di conseguenza, esso e i suoi agenti vengono considerati alla stregua di una banda di fuorilegge o di forze di truppe di occupazione. Vale a dire, se le autorità ci impongono un qualsiasi obbligo , occorre piegarsi, per prudenza o per semplice istinto di conservazione, ma non bisogna mai fare niente che legittimi o faciliti le loro azioni. E’ necessario conservare la maggior quantità possibile dei propri beni e versare la minor quantità possibile di tasse.
Occorre considerare nulle e inoperanti il maggior numero possibile di leggi e normative e ignorarle ogniqualvolta ciò sia praticabile. Non si deve lavorare o offrirsi di cooperare con lo Stato, che sia nel ramo esecutivo, legislativo o in quello giudiziario, e non avere rapporti con chi lo fa (in particolare con chi occupa posizioni di alto livello nella gerarchia statale). Non si deve partecipare alle politiche dello Stato, né collaborare in alcun modo all’attività della macchina politica statale. Non si deve contribuire in alcun modo a partiti politici o partecipare a campagne politiche nazionali, né ad organizzazioni, enti, fondazioni o istituti che collaborino o che siano finanziati da uno qualsiasi dei rami del Leviatano statale o da chi vive e lavora nella capitale.» [Democrazia il dio che ha fallito]
Hoppe continua poi con una serie di suggerimenti relativi agli investimenti personali, alla messa in sicurezza del patrimonio personale e ad ulteriori considerazioni sulla stupidità e sulla pericolosità di coloro i quali sostengono la macchina pubblica, o peggio, si illudono di migliorarla con gli strumenti che lo Stato stesso ha predisposto.
Queste parole sono molto forti. Si può essere ovviamente d’accordo o rifiutarle. Quello che non ha senso fare, è accettarle a metà. Se si è d’accordo sulla natura intrinsecamente violenta e predatoria di qualunque Stato, non ha senso elencare una serie di eccezioni, come il professore statale coscienzioso, il poliziotto onesto o il finanziere sensibile, insomma padri di famiglia che si guadagnano il pane. Non è un problema di “tipi umani”. Spiego perché.
I dipendenti dello Stato e i loro cittadini, devono conformarsi alle leggi dello Stato. Essendo tali leggi derivanti da uomini, gruppi, partiti, classi politiche, maggioranze, che cambiano ad ogni stormir di fronda, è semplicemente pazzesco attribuire a istituzioni dello Stato la legittimità di usare violenza su persone inermi alle quali ripugna, per esempio, segnalare alla polizia una famiglia di ebrei nella scala accanto. Oppure riempire galere e lager di persone innocenti che manifestano la loro contrarietà al regime o ne canzonano gli esponenti.
Un altro esempio meno estremo della denuncia degli ebrei.
Fino a una cinquantina di anni fa, in piena Repubblica Italiana democratica e postfascista, se una donna lasciava il marito e se ne andava di casa, aveva commesso un crimine e aveva violato una legge dello Stato. Il marito poteva farla incriminare per “abbandono del tetto coniugale”, il che aveva rilevanza penale.
Non viene da inorridire a pensare che i poliziotti che ammanettavano questa donna e i giudici che la condannavano applicavano semplicemente e diligentemente la legge dello Stato? Si badi bene che rispettavano la LEGALITA’ in modo efficiente e coscienzioso ne più ne meno come “l’infreddolito soldatino nazista” cui toccava la notte all’aperto a far la ronda tra le baracche, col cane lupo al guinzaglio.
Hoppe, e gli autori citati in questa mia riflessione, sono Libertari e non condividono la strategia dei ‘miglioristi’ dello Stato anche in chiave liberale, per i motivi (alcuni) che ho cercato di condensare. Non perché siano sbagliati, ma perché sono inutili e perché distraggono da quella “secessione personale” che è stata descritta. Altro che organizzare una serrata e smettere di fatturare quattro ore per “manifestare” (cosa? a chi?) il proprio disagio.
purtroppo ancorchè apparentemente facile da capire come strategia (la secessione personale) e ampiamente illustrata da illustri filosofi del passato, oggi rinforzata e promossa da numerosi studiosi di economia, viene spesso disattesa per due ordinidi motivi: il primo è di ordine psicologico che vede la paura prendere il sopravvento, se uno il coraggio non cel’ha non selo può dare da solo,
il secondo è di ordine morale, che vede la necessità opportunistica di subire le tribolazioni economiche e la perdita di pezzi importanti di libertà per godere di uno status che diversamente non sarebbein grado di procurarsi con ipropri mezzi.
sfortunatamente il secondo motivo è di gran lunga l’ostacolo maggiore acchè si possa verificare quella tanto auspicata rivoluzione morale in grado di devastare il potere e il suo status quo con impeto e convinzione.
E le riflessioni sul tema di Mises e Rothbard? Alla prossima puntata?
Comandi! :)
[Il liberalismo] se dovesse essere condensato in una sola parola, questa sarebbe “proprietà”, vale a dire proprietà privata dei mezzi di produzione (giacchè per quanto concerne i beni di consumo immediato, il concetto di proprietà privata viene dato per scontato e non viene messo in discussione da socialisti e comunisti). Tutte le altre richieste del liberalismo derivano da questa esigenza fondamentale.
Nella misura in cui la divisione del lavoro è più produttiva del lavoro svolto in isolamento e nella misura in cui l’uomo riesce a comprendere questo dato di fatto, l’azione umana tende alla cooperazione e all’associazione … L’esperienza ci insegna che questa maggiore produttività ottenuta in condizioni di divisione del lavoro esiste perché la sua causa, l’innata ineguaglianza degli uomini e l’ineguaglianza nella distribuzione geografica dei fattori di produzione, è reale e concreta.
Il liberale capisce benissimo che senza ricorrere alla coercizione, l’esistenza stessa della società verrebbe messa a repentaglio e che dietro le norme di condotta il cui rispetto è necessario al fine di garantire una pacifica cooperazione umana deve porsi la minaccia della forza, in modo che l’intero edificio della società non sia continuamente alla mercè di alcuni suoi membri. E’ necessario avere la possibilità di obbligare chi non rispetta la vita, l’incolumità, la libertà personale e la proprietà privata altrui a obbedire alle regole della vita sociale. Questa è la funzione che la dottrina liberale assegna allo Stato: la protezione della proprietà, della libertà e della pace sociale.
Il liberalismo non obbliga alcuno a ad entrare contro la sua volontà nelle strutture dello Stato. Chiunque desideri emigrare non viene trattenuto. Se una parte della popolazione desidera abbandonare l’unione, il liberalismo non glielo impedisce. Le colonie che vogliono diventare indipendenti non hanno che sa farlo. La Nazione in quanto entità organica, non può essere accresciuta né diminuita dai mutamenti nel numero e nella composizione degli Stati, Né il mondo nel suo insieme ha alcunché da guadagnare o da perdere da essi.
Il diritto all’autodeterminazione per quanto concerne l’appartenenza a uno Stato significa pertanto: ogniqualvolta gli abitanti di uno specifico territorio, che si tratti di un solo villaggio o di un’intera provincia o di una serie di province confinanti, rendono noto, per il tramite di un voto popolare, di non voler rimanere uniti allo Stato di cui facevano parte fino a quel momento, il loro desiderio deve essere rispettato e accettato. Questa è l’unica via percorribile ed efficace per prevenire guerre e rivoluzioni … Se vi fosse il modo di concedere questo diritto all’autodeterminazione a ciascun singolo individuo, ciò andrebbe fatto senza indugio.
Ludwig Von Mises
…..bisogna …..dobbiamo fare cosi*…..deve mancare ***ossigeno***…ai.ns….***cravattini***al punto xhe ….devono …ritenersi xome #.mosxhe senza capo#….e.andarsene tuttttii….che facciano come il re!!!!!
E’ quello che tento di fare io, ogni giorno.
Inoltre , io provo a diffondere in ogni modo le idee libertarie.
Regalo libri, fornisco informazioni e stimolo il senso critico della gente che incontro e che conosco.
D’accordo sulla secessione personale; quella fisica è troppo rischiosa a questo punto. (La lontananza dai centri di potere non salvò i kulak dallo Holodomor, ed era prevedibile che Lincoln non avrebbe mai permesso che il Sud si staccasse pacificamente dall’Unione).
Una stoccata al Tea Party, o sbaglio?