Sono di ritorno dal Nepal, dove continuo a constatare che i miglioramenti vagheggiati dai maoisti prima di prendere il potere si stanno rivelando per quello che erano: stupidaggini. Probabilmente il Nepal diventerà definitivamente una colonia cinese entro pochi anni; non so se verrà annesso come successe al Tibet, ma di certo l’influenza di Pechino sta aumentando di anno in anno, per quello che posso constatare.
Il 19 novembre si terranno elezioni per nominare un`assemblea costituente, e in giro i manifesti con falce e martello abbondano. Aperta parentesi: la popolazione del Nepal è di poco inferiore a 30 milioni di abitanti, ma hanno ben 601 parlamentari; in proporzione, più dell’Italia, il che è tutto dire. Chiusa parentesi. Chiunque vinca (ma pare che non vincerà nessuno, come in Italia), dai giornali locali ho appreso che uno dei pochi punti su cui tutti i partiti hanno posizioni convergenti riguarda la scuola, con l’intenzione di potenziare quella pubblica e, soprattutto, regolamentare quelle private (oggi abbastanza diffuse, in termini relativi). Sono due prospettive non certo esaltanti, dal mio punto di vista: regolamentare la scuola privata è il primo passo con il quale uno Stato impone una omogeneizzazione che, dietro le (discutibili) buone intenzioni, porta alla formazione di persone che siano bravi sudditi (non potevano tenersi il re allora?).
D’altra parte, potenziare la scuola pubblica costa e il sistema fiscale nepalese fa acqua da tutte le parti (il che, per me, è un bene). Come finanziare, dunque, queste spese? Probabilmente con nuove concessioni alla Cina, completando il passaggio dalla padella della povertà alla brace della colonizzazione di fatto. Nel frattempo non potevo privarmi delle perle di Paul Krugman, che da quelle parti arrivano, oltre che sul web, anche nella versione internazionale del NYT. Mentre leggevo dei programmi di spesa dei candidati alle elezioni nepalesi, mi imbattevo anche in alcuni dei classici krugmaniani: i programmi di assistenza pubblica andrebbero allargati negli USA, e se i conti pubblici peggiorano non ci si deve preoccupare. Krugman arriva a sostenere che i singoli Stati non dovrebbero preoccuparsi dato che il costo sarebbe a carico del governo federale. Mi pare che non si sia accorto del fatto che i cittadini pagano tasse sia agli Stati, sia al governo federale. Ma per Krugman questo non è un problema, per due motivi: si possono tassare i ricchi e si può tranquillamente aumentare il debito federale, che viene emesso in dollari, quindi sarà sempre sostenibile. Beh, a qualsiasi latitudine lo si legga, Krugman rimane sempre lo stesso: basta indebitarsi e stampare dollari, e chi pone dei dubbi, oltre a essere considerato un deficiente, viene pure tacciato di volere fare una guerra ai poveri.
Si starà candidando anche al Nobel per la pace?
Krugman=Lysenko.
same old, same old