“Negli anni Cinquanta e Sessanta c’era poca inflazione. Ma l’inflazione arrivò quando, dopo un lungo periodo di crescita, l’economia si avvicinò al tetto della piena occupazione. Vicino a quel tetto i prezzi cominciano ad aumentare: la domanda cresce, i lavoratori chiedono più salario, i datori di lavoro sono più disposti a concedere aumenti salariali per attirare quel lavoro che comincia a essere scarso, e poi per rifarsi aumentano i prezzi…”. (F. Galimberti)
In una delle consuete lezioni ai giovani lettori, Fabrizio Galimberti si occupa di inflazione, ovviamente utilizzando la definizione mainstream di crescita di un indice di prezzi. Questo non sarebbe neppure il peggiore dei mali, se non fosse che la spiegazione dell’aumento dei prezzi finisce per essere considerata un fenomeno dovuto al raggiungimento della piena occupazione. In pratica il tutto viene spiegato ricorrendo al concetto di trade-off tra occupazione e crescita dei prezzi al consumo sottostante la curva di Phillips. Più ci si avvicina alla piena occupazione, più si creano spinte al rialzo dei salari, a cui conseguono aumenti dei prezzi al consumo che scatenano nuove richieste di aumenti salariali. In un’economia chiusa ciò può certamente verificarsi, a maggior ragione in presenza di legislazioni che limitano la concorrenza e la libera fluttuazione (soprattutto verso il basso) di determinati prezzi.
Ma senza un aumento della quantità di moneta in circolazione è materialmente impossibile che si verifichi una crescita generalizzata dei prezzi. Posto che anche in un contesto di crescita non tutti i prezzi aumentano nella stessa misura (si verifica, cioè, una variazione nei prezzi relativi), solo in presenza di una espansione monetaria si può verificare una spinta al rialzo generalizzata. Se non vi fosse una (reiterata) espansione monetaria, non vi sarebbero neppure i presupposti per l’inizio di un circolo vizioso tra crescita dei prezzi al consumo e dei salari. C’è solo da sperare che siano pochi i giovani lettori.
Marco hai centrato perfettamente il problema. E poi dicono, le statistiche ufficiali, che non c’è inflazione!! Bastardi!!! Se funzionasse veramente il mercato e la moneta non fosse più fiat, pensate anche i più poveri potrebbero permettersi il dentista, cure migliori di quelle che non possono permettersi adesso. Pensate gli stampatori che ladri che sono!!!!!
Questo Galimberti è proprio un cattivo maestro, che confonde le idee ai lettori più giovani sbagliando tutto e rendendo difficili le cose semplici.
Correggetemi se mi sbaglio, ma senza emissione di moneta dal nulla, i prezzi addirittura diminuirebbero, a causa dei miglioramenti della produttività e dell’abbassamento dei costi di produzione dati dal progresso tecnologico.
I soldi risparmiati si rivaluterebbero nel tempo e così, dopo neanche tantissimi anni di duro lavoro e risparmi si potrebbe cominciare a stare come o meglio di prima, lavorando molto meno, il che rappresentava il sogno dei nostri avi quando cominciò a diffondersi prepotentemente il progresso tecnologico; tale sogno si è però sempre arenato di fronte alla perdita di potere d’acquisto del denaro e all’aumento dei prezzi, che costringe a lavorare sempre di più per stare un pò peggio di come si stava prima.
In effetti è il denaro che perde potere d’acquisto, se se ne stampa troppo, e per ragioni di malagestione.
Se la massa del circolante non aumenta, in teoria, e se ho ben capito, aumenta il potere d’acquisto. C’è rivalutazione, potenzialmente.
L’euro , in teoria, potrebbe comportarsi così.
Una lira ancorata al gold standard, anche parzialmente, si comporterebbe così.
O non ho capito un tubo?
Non percepisco quale sia il nesso tra la piena occupazione e l’inflazione.
La gente spende di più , oppure riesce ad acquistare di più perché la moneta acquisisce maggior valore?
Più gente può spendere e occorre più merce in vendita.
I soldi girano più velocemente. E’ questo il collegamento che adombra il Galimberti?
Parole sante!