Scrivevo qualche giorno fa (qui) che il welfare svedese è molto diverso da come appare, e che il sistema d’istruzione è l’archetipo di questo modello. Proprio in queste settimane si discute molto, nel paese scandinavo, del sistema universitario: in Svezia quasi tutte le università sono pubbliche e generosamente finanziate dallo Stato (che spende, per l’istruzione, più del 6% del suo PIL). L’istruzione è gratuita per tutti i cittadini dell’Unione Europea, e molti studenti svedesi vengono addirittura sovvenzionati dallo Stato per studiare. I rankings internazionali mostrano dati eccellenti per quanto riguarda la qualità delle università svedesi (vedi, per esempio, qui e qui). Sembrerebbe un sistema perfetto, ma negli ultimi anni le esperienze della Chalmers University of Technology, della Stockholm School of Economics e della Jönköping University Foundation, le uniche tre fondazioni universitarie private che possono riconoscere titoli equivalenti a quelli delle altre università, hanno destabilizzato l’opinione pubblica.
Queste tre università hanno subito un processo simile a quello che il Governo italiano rese possibile con la Legge 133/2008 (con ben poco seguito, a dire il vero): si sono trasformate in fondazioni private, cioè enti non commerciali sottoposti ad alcuni criteri stabiliti dall’Utbildningsdepartementet (il Ministero dell’Istruzione svedese) ma liberi in ordine alle modalità di finanziamento delle proprie attività, alla selezione del personale e a metodi e programmi accademici. Coloro che immaginavano un fallimento precoce di questi esperimenti si sbagliavano: le fondazioni hanno saputo reggere la concorrenza con le università pubbliche, attingendo a finanziamenti privati e offrendosistemi organizzativi e didattici all’avanguardia (come dimostrano i dati della Swedish Higher Education Authority, che trovate qui).
Il dibattito è arrivato al punto che meno di un mese fa il Ministro dell’Istruzione ha presentato un progetto per offrire a tutte le università del paese la possibilità di trasformarsi in fondazioni, con l’obiettivo di garantire maggior autonomia agli istituti, motivandoli a generare utili dareinvestire nelle attività universitarie. Il progetto prevede una consultazione tra le parti interessate da concludersi entro il 15 novembre 2013. L’idea di fondo è quella di garantire un finanziamento pubblico parziale alle fondazioni per i primi sei anni, per poi lasciare totale autonomia finanziaria agli istituti (così come successo con le tre fondazioni attualmente esistenti).
Chi appoggia la proposta insiste sul surplus di fondi per la ricerca che si trarrebbero dalla riforma (dovuti al necessario perseguimento della razionalizzazione di costi e investimenti da parte dei singoli istituti), nonché sui benefici che maggiore flessibilità e autonomia apporterebbero alle strutture universitarie. Erik Arroy, rappresentante della Swedish National Union of Students, non nega l’opportunità di offrire maggiore autonomia accademica e finanziaria alle università, ma lamenta la poca chiarezza del documento presentato dal Ministero, auspicando che la consultazione porti alle dovute delucidazioni. Arroy manifesta dubbi soprattutto relativamente alla scelta delle fondazioni come forma giuridica e al problema di assicurare i diritti degli studenti nel passaggio da istituzione pubblica a istituzione privata. Vedremo, al termine della consultazione, quali saranno le manovre del Governo svedese.
In Italia una proposta di legge analoga fu avanzata in Parlamento per la prima volta già nel 2006 da Nicola Rossi, allora senatore del PD. La proposta fu poi inserita nella legge 133/2008 (la c.d. riforma Gelmini), ma il dato tristemente emblematico è lo scandalo che suscitò il fatto che a proporre un’idea simile fosse un parlamentare di sinistra. E a questo proposito è opportuno fare, indipendentemente da ogni giudizio sulla trasformazione delle università in fondazioni private, una breve considerazione generale.
È innegabile che a contraddistinguere politiche virtuose sia sempre la costante volontà di migliorarsi. L’abbiamo già detto: la Svezia ha uno dei sistemi educativi più invidiati al mondo. Eppure al suo interno si discute su come aggiornarlo e migliorarlo ulteriormente, senza che trovi alcuno spazio l’ideologia o la difesa a tutti i costi dello status quo. Fare paragoni è sempre ardito, ma riuscite a immaginare il polverone che scatenerebbe l’accostamento di principi simili -per esempio- alla valorizzazione del nostro patrimonio culturale, che pure ne avrebbe un disperato bisogno?
Tratto da http://www.leoniblog.it – Giacomo Lev Mannheimer
leggere questo (http://vonmises.it/2013/07/22/la-guerra-dello-stato-alla-famiglia/ ) porterebbe ad essere MOLTO MENO OTTIMISTI rispetto alle qualità della CULTURA svedese. Aggiungiamoci come la pensano oggi sulla guerra al contante e a come hanno pensato di gestire l’INTEGRAZIONE :-)