Per più di 50 anni Tito Tettamanti non ha voluto essere che un (grande) uomo d’affari e un rispettato e ascoltato maître à penser liberale. Poteva essere/fare qualcosa di diverso? Forse, ma non spetta a me dirlo.
La Svizzera è un paese fortunato, che la sua fortuna ha saputo conquistarsela e meritarsela. Ma ci sono persone e forze politiche organizzate che disprezzano ciò che è stato ottenuto con lavoro e sacrifici. E vorrebbero tutt’altro: permissivismo spinto, economia socialista/assistenzialista, melting pot cioè una società multietnica, come in America. Tettamanti si rivolge idealmente a costoro ed esclama: “Ma perché volete andare a star peggio?” L’Avvocato è saggio e brillante; porta sulle spalle tutta l’esperienza di una lunga vita, ma non riuscirà a convincere i suoi avversari “progressisti”, poiché questo è impossibile.
Un bell’articolo, da meditare. Da commentare anche. Ma prima debbo studiarlo per bene. [fdm]
DI TITO TETTAMANTI
All’idea alteromondista aderiscono movimenti, associazioni, partiti, sindacati, ecologisti dai fini spesso disparati e che vanno dai contadini senza terra brasiliani ad organizzazioni non governative dai bilanci multimilionari e poco trasparenti. Il collante che unisce è la critica al nostro sistema e l’aspirazione ad un mondo radicalmente diverso.
In modo analogo si è fatto strada da noi il pensiero di chi vorrebbe una Svizzera totalmente diversa. Vi si trovano esponenti e parlamentari delle varie sinistre, dalla politica, al sindacalismo, all’ecologia. I giovani socialisti svizzeri, ai quali va riconosciuta intelligenza politica e capacità organizzativa, ne hanno preso la direzione. Infatti, da loro partono o vengono attivamente sostenute le varie iniziative chec prossimamente verranno dibattute e votate.
Se le loro idee venissero accolte, lo stipendio massimo in un’azienda non dovrebbe superare di dodici volte quello minimo, vale a dire lo Stato stabilirebbe la flessibilità degli stipendi, quanto ricevuto in eredità verrebbe decurtato del 20%, verrebbe fissato un salario minimo, verrebbe abolito il servizio militare obbligatorio e ad ogni cittadino, a partire dai diciotto anni verrebbe versato vita natural durante dallo Stato un salario mensile di cittadinanza di alcune migliaia di franchi. Dimentichiamo qui le politiche nell’ambito dell’educazione (con una scuola che vorrebbe permettere ai bambini nelle prime classi di scegliere se essere etero o omosessuali) e nel campo della sanità.
È buon diritto di ogni cittadino battersi per le proprie idee quando non si ricorre alla violenza e perciò nulla da obiettare se correnti di pensiero vogliono una Svizzera antitetica a quella di oggi. Purtroppo, non so se una borghesia spesso pavida nel difendere le proprie idee ed i propri legittimi interessi, talvolta preoccupata di non apparire sufficientemente progressista (solo modo secondo taluni per apparire intelligenti) e oltretutto impoverita culturalmente e assorbita dai propri egoismi, saprà rendersi conto dei pericoli che il Paese corre e opporsi con il necessario vigore.
Innanzitutto dalla serie di iniziative presentate ma anche dalla lettura del libro pubblicato dai giovani socialisti Lohnverteidigung und 1:12 – Gerechtigkeit und Demokratie auf dem Prüfstand appare chiaro, e non se ne fa mistero, che stiamo di fronte ad un progetto che vuol cambiare sostanzialmente e strutturalmente la Svizzera. Non abbiamo a che fare con socialdemocratici riformatori alla Blair ed alla Schröder che nel libro vengono criticati e additati quali esempi da non seguire. Le singole iniziative ed i loro veri fini vanno poi valutati e analizzati, non fermandosi alla superficie apparentemente buonista, non lasciandosi impressionare dagli argomenti emotivi (demagogici).
Importante è capire lo o gli scopi, anche se non sempre messi in prima linea, e la coerenza sistemica con le altre iniziative sopraccitate. Il tutto è volto a rivoluzionare la Svizzera di oggi. Sulla menzionata pubblicazione la vicepresidente dei giovani socialisti svizzeri con la spontaneità dell’età chiude il suo contributo affermando che non si tratta solo (traduco letteralmente) di dividere la torta in porzioni eguali, ma di sapere a chi appartiene la pasticceria. Vale a dire di appropriarsi del forno. Marx, la statalizzazione dei mezzi di produzione, la catastrofe economica sovietica, salutano!
Infine, le iniziative non possono venir giudicate ignorando il contesto economico e le attuali condizioni sociali svizzere. Siamo un Paese invidiato per la più bassa disoccupazione non solo d’Europa, per il fatto di non essere indebitato, per un sistema sociale avanzato, il reddito di coloro che le statistiche definiscono in povertà relativa equivale al reddito delle classi medie dei Paesi confinanti. Il nostro sistema sanitario ci è invidiato come pure quello scolastico, specie nel campo professionale.
Vi sono senz’altro inefficienze e pecche (compreso abuso e sperpero di soldi), ma rispetto a molte altre nazioni siamo in paradiso. Non dobbiamo poi lasciarci fuorviare da affermazioni demagogiche e infondate, le statistiche confermano che gli utili non sono aumentati a scapito dei salari. Che le differenze di reddito non sono massicciamente aumentate e comunque meno che in altri Paesi. Che non è vero che i ricchi diventano sempre più ricchi, perché si dimentica in questo raffronto il capitale delle casse pensioni di ben 624 miliardi di franchi. La povertà relativa dal 2008 al 2011 non è aumentata ma scesa dal 15,6% al 14,2%.
Tenuto conto di tutto ciò, sentiamo la necessità dell’1:12 e delle altre iniziative? Abbiamo proprio bisogno di creare le premesse perché le cose vadano peggio? Pur senza addormentarci sugli allori, non dovremmo essere fieri del modello di società costruito e concretizzato con il contributo critico del mondo del lavoro attivo? Siamo proprio stufi di stare (generalmente) bene ed avere la possibilità di aiutare chi sta meno bene?
Tito Tettamanti
(pubblicato venerdì 6.IX nel CdT)
L’egemonia della Scuola di Francoforte non conosce limiti.
Il multiculturalismo è imposto ai popoli occidentali e propagandato dai leader i quali obbediscono non all’elettorato ma piuttosto a determinate pressioni politiche fortissime. Quelli che gridano più forte al “razzismo” sono proprio i più intolleranti verso il concetto del melting pot. C’è un doppiopesismo che sarebbe risibile se le conseguenze fossero meno gravi.
http://yglesias.typepad.com/matthew/2006/04/jews_and_immigr.html