“Occorre percorrere la strada maestra del liberalismo: meno tasse, meno spesa pubblica. I nostri ministri hanno già messo a punto le nostre proposte per un vero rilancio dell’economia, che saranno volte a fermare il bombardamento fiscale che sta mettendo in ginocchio le nostre famiglie”. (S. Berlusconi)
Se questo fosse uno stralcio del primo videomessaggio di Silvio Berlusconi, che gli italiani hanno visto ormai vent’anni fa, chi vorrebbe davvero una svolta liberale in Italia non potrebbe che dirsi d’accordo. Il problema è che questo messaggio è datato 18 settembre 2013 e non viene da un uomo che ha passato gli ultimi quattro lustri costantemente all’opposizione, bensì da uno che in quel periodo ha governato per nove anni e ha appoggiato, seppure senza entusiasmo, sia il governo guidato da Monti, sia, finora, quello di Enrico Letta. Un tempo più che sufficiente per “percorrere la strada maestra del liberalismo” della quale, però, non si è mai percorsa neppure una trasversale di secondaria importanza. Al contrario, si è proseguito il percorso nella strada senza uscita dell’aumento della spesa pubblica corrente e dell’aumento della pressione fiscale. Berlusconi continua a dire che non ha mai avuto la maggioranza assoluta e che i suoi alleati non gli hanno mai consentito di attuare un programma autenticamente liberale.
Si può ammettere che in parte abbia ragione su questo punto (né Fini, né Casini, né Bossi hanno alcuna inclinazione liberale), se non fosse che anche all’interno del suo stesso partito i liberali sono sempre stati emarginati, quando non totalmente assenti. I suoi ministri dell’economia e i suoi consiglieri economici sono sempre stati (e continuano e essere) tutti di provenienza socialista. E la storia che un socialista possa essere liberale è, francamente, non credibile. Un socialista può al più essere liberal, nel senso anglosassone del termine che stravolse il significato classico di liberalismo. Non dico che sarebbe stato facile “percorrere la via maestra del liberalismo” in un Paese, l’Italia, caratterizzato da forti dosi di corporativismo e statalismo.
Credo, però, che non siano stati fatti neppure dei seri tentativi di ridurre la spesa pubblica. Anzi. Ma senza ridurre la spesa pubblica e, con essa, l’ingombrante dimensione dell’apparato burocratico, non vi è alcuna credibile possibilità di ridurre la pressione fiscale. Per questo credo che l’ennesimo videomessaggio di Berlusconi giunga totalmente fuori tempo massimo sul richiamo al liberalismo per “fermare il bombardamento fiscale”. Umanamente lo avrei capito di più se si fosse limitato a lamentarsi del bombardamento giudiziario di cui è stato oggetto in tutti questi anni.
L’ignoranza è peggio del cancro.
E’ un’epidemia esiziale per interi popoli.
In Italia, quando da Destra dicono che ci devono essere meno tasse e più incentivi all’imprenditoria, questi proclami sono rivolti agli imprenditori che vogliono pagare meno non per chissà che ideali di liberismo o cosa, ma semplicemente perchè vorrebbero pagare meno qualsiasi cosa. Anzi, come incentivo vorrebbero anche delle belle somme in denaro e vari sistemi di regolamentarizzazione del mercato (albi, ordini, licenze, protezionismo, ecc. ). Questi proclami non sono rivolti ad imprenditori che, semplicemente, vorrebbero tenersi il frutto del proprio lavoro e poter lavorare in un libero mercato. Il motivo è che quest’ultima classe è troppo poco numerosa in Italia, per cui i politici non vi si interessano.
Per cui se poi Berlusconi, o altri di Destra, non applicano politiche liberiste o addirittura applicano politiche anti-liberiste, alla fine all’elettore che gli ha votati non importa, perchè manco sà cosa sia il liberismo.
ormai tutti si riempiono la bocca di termini come liberale liberista liberal libertarian, sinceramente dubito che i più sappiano fare una distinzione tra i suoi significati, anche perchè la confusione semantica generata ad arte da tutti coloro che si sono avvicendati al governo degli usa, hanno tirato per la giacca il termine liberale tentando di connotarlo di volta in volta secondo le proprie esigenze di propaganda, per non deludere quanti al sogno liberale dei padri fondatori avevano creduto.
la querelle si è spostata successivamente in europa e la confusione è cresciuta.
viste le inclinazioni socialiste storiche del continente, hanno tentato di connotare il termine liberale con una variegata serie di declinazioni che è andata dal progressismo anglosassone fino al liberalismo conservatore per arrivare al liberismo capitalista.
stento a credere che non si riesca a vedere le matrici socialiste di tutto questo carosello semantico, dove in un blocco continentale, e segnatamente in italia, le espressioni economiche sono tutte figlie della pianificazione statale, in cui la corporazione fascista e il capitalismo socialista sono perennemente i due poli dove l’economia si svolge.
ma tantè ancora siamo costretti a sentire che il libero mercato non funziona il capitalismo và corretto e la finanza, espressione ultima del capitalismo và evirata.
di fatto nel dare la colpa alle presunte inefficienze del mercato del capitalismo e della libera circolazione di beni capitali, che in realtà sono inesistenti, costoro dichiarano incessantemente la l’inefficienza di tutto il sistema di centralizzazzione economica e di pianificazione sociale da parte del gatto e della volpe, che furbi, restano ben nascosti dietro le quinte.