In Anti & Politica, Economia

onda_debitoDI MATTEO CORSINI

“Il Presidente del Consiglio ha usato nei giorni scorsi parole forti contro il rigore imposto dall’Europa: in coerenza con queste affermazioni, egli deve esporre con chiarezza le esigenze dell’Italia. Se l’Italia vuole sostenere una ripresa consistente del reddito nazionale, dovrà alzare per almeno due anni il deficit pubblico al 5%, agendo sulle poste del bilancio che hanno il massimo impatto sull’attività economica. L’Europa dovrà riconoscere la necessità di tale politica. La Bce dovrebbe contribuire alla realizzazione di questo programma garantendo una discesa dello spread sotto i 100 punti base. Quest’obiettivo è assolutamente alla portata della Bce:

persino in Giappone, dove la situazione fiscale è assai più drammatica – il debito è al 240% e il deficit è al 10,3% del Pil – la banca centrale tiene i tassi sotto i livelli tedeschi… Siamo convinti che, di fronte a una posizione ferma del Governo italiano, l’Europa non potrà continuare a ignorare le lezioni di questi anni. Ma se così non fosse, l’Italia dovrebbe essere pronta a fare da sé. Con ciò intendiamo dire che dovrebbe procedere alla creazione di liquidità interna mediante una emissione di quasi-moneta con la quale rianimare la crescita. Pensiamo a circa 25-30 mld l’anno di spesa pubblica e minori tasse – per un massimo di 100-150 miliardi, con un piano di rientro condizionato – finanziati tramite “titoli pubblici” di piccolo taglio (scadenza 2150, tassi prossimi a zero) ad ampia circolazione in quanto utilizzabili per pagare tasse, bollette, ecc., emessi a fronte di pagamenti della Pa.” (G. La Malfa, P. Gawronski)

Non è la prima volta che mi capita di commentare qualche perla del duo La Malfa-Gawronski. Sarà forse perché firmano gli articoli in due, ma mi pare che il concentrato di assurdità keynesiane sia doppio rispetto a quanto capita di leggere articoli a firma singola.

Dunque, l’Italia dovrebbe sostenere la ripresa con un bel deficit spending almeno biennale, portando il deficit al 5% del Pil. Se questa fosse la soluzione, verrebbe da chiedersi perché fermarsi al 5% e perché limitarsi a due anni. Per evitare di veder salire il costo del debito pubblico (e lo spread rispetto ai titoli di Stato tedeschi), la Bce dovrebbe comprare BTP senza mezze misure. L’obiettivo, implicito ma sempre presente nei desideri di ogni buon keynesiano, è rendere negativi i tassi di interesse reali, in modo tale da alleggerire il peso del debito. A tale proposito viene citato l’esempio giapponese, che non è molto pertinente, a mio parere.

In primo luogo, il Giappone è un unico Stato, quindi la politica di monetizzazione del debito pubblico non può, per definizione, essere asimmetrica, a differenza di quanto avverrebbe in Area euro. In secondo luogo, l’esperienza giapponese dimostra che la ventennale accumulazione di debito pubblico non ha risolto i problemi di un’economia in cui si sono volute a lungo tenere in vita banche e imprese fallite. Il debito (eccessivo) privato è divenuto pubblico, e adesso si cerca di smaltirlo monetizzandolo, ma dubito che ciò non finirà per condurre a una nuova crisi. Tra l’altro, la sostenibilità del debito giapponese è stata possibile solo grazie al fatto che il Paese è stato a lungo creditore netto nei confronti del resto del mondo, avendo pertanto tutto il debito nei cofronti di creditori domestici. Non è una situazione che può andar bene per tutti, evidentemente. E questo anche a prescindere dal fatto che, come dicevo poc’anzi, dalla fase attuale il Giappone potrebbe scivolare verso una crisi peggiore di quella di vent’anni fa.

La Malfa e Gawronski sono peraltro consapevoli che i partner europei difficilmente sarebbero disposti a consentire all’Italia di aumentare allegramente il deficit e alla Bce di comprare BTP senza limiti e senza condizioni. Anche per questo hanno una soluzione: il Tesoro dovrebbe emettere una “quasi-moneta con la quale rianimare la crescita”, e con essa pagherebbe i propri debiti commerciali. I cittadini potrebbero a loro volta utilizzarla per pagare le tasse. La scadenza sarebbe al 2150, un modo alternativo di dire che sarebbe irredimibile o che, arrivati a scadenza, il suo valore reale sarebbe sostanzialmente azzerato.

 

Gli autori ipotizzano emissioni per 25-30 miliardi all’anno per un massimo di 100-150 miliardi. Già questo limite mi pare davvero poco credibile.

Figuriamoci quante opere “buone e giuste” andrebbero finanziate, quante assunzioni pubbliche verrebbero fatte per ridurre la disoccupazione, e così via. Il tutto, ovviamente, senza che la creazione della “quasi-moneta” crei “quasi-ricchezza”. Come quando a essere emessa dal nulla è moneta non-quasi.

Verosimilmente nessuno sarebbe entusiasta di essere pagato in quasi-moneta, ed evidentemente il tutto potrebbe reggere per qualche tempo solo se lo Stato lo imponesse per legge. I fornitori pagati in quasi-moneta si troverebbero ad avere uno strumento sostanzialmente infruttifero da utilizzare per pagare future imposte. Ragionevolmente chi volesse convertire questa quasi-moneta sarebbe costretto a farlo a sconto rispetto al valore facciale, e l’entità dello sconto dipenderebbe, ovviamente, dalla crescita dell’offerta di quasi-moneta rispetto all’euro.

L’esito finale sarebbe sempre quello classico di ogni monetizzazione: redistribuzione di ricchezza per lo più da creditori a debitori, con l’illusione di aver risolto i problemi. Fino alla crisi successiva, ovviamente.

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Showing 8 comments
  • Gianni

    No, non ci siamo. Mi perdoni, ma Lei comincia ad arrampicarsi sugli specchi.

    Resto nel suo modello mentale di economia per facilitare il dialogo, anche se non lo condivido: il calo dei prezzi in realtà o porta in rosso le imprese, o si ottiene con un calo dei salari, che deprime ulteriormente la domanda, come sapeva bene Henry Ford. Ma lasciamo perdere; supponiamo che è come dice lei: ridurre i prezzi fa incontrare domanda e offerta anche a livello macroeconomico e non solo micro).

    Ma lei ammette che ai prezzi attuali la domanda è inferiore all’offerta. Poi sostiene che l’incontro fra domanda e offerta deve avvenire tramite deflazione. Sarà, ma questa sua ricetta è solo uno dei possibili modi per far incontrare domanda e offerta, non dimostra che altri modi siano inferiori o sbagliati. Io le porto argomenti opposti, per dimostrare che la sua ricetta è inferiore. Meno salari = meno domanda = circolo vizioso. Prezzi in calo = peso del debito più alto = debito/pil più alto = crisi de debito. Ecc ecc.

    Poi lei dice che no, in realtà la crisi di domanda aggregata non c’è, che la disoccupazione di massa è causata da investimenti eccessivi in settori sbagliati. Primo, contraddice quanto sopra. Ma poi, come prova, presenta solo il fatto che arrivano qui dei disperati dall’africa! Ma andiamo! Lei non sa che i modelli di migrazione prevedono fra le determinanti dei flussi migratori le differenze nei livelli di reddito, la sicurezza personale, e altre variabili che non c’entrano nulla con la facilità di trovare lavoro?. Inoltre, se non lo sa, informo che da quando è scoppiata la crisi molti immigrati, se possono, rientrano nei loro paesi o se ne vanno, e cmq sono in tanti ad essere sotto occupati o disoccupati. In tanti hanno trovato lavoro? Prima della crisi del 2011, e perché non dovrebbero? La legge non dice ‘prima gli italiani poi gli altri’…. Dunque lei presenta argomenti debolissimi. Per sostenere una storia inverosimile. Cioè: che improvvisamente dal 2008 (disoccupazione al 6%) la gente ha deciso (per non si sa quale strano motivo) di non comprare più i beni di certi settori (Settori Sbagliati = SS), e ha diretto i suoi acquisti (<= domanda aggregata, livello complessivo immutato) verso altri settori (Settori Giusti = SG), che sono stati sommersi di ordini d'acquisto. In tal modo la domanda aggregata non sarebbe calata, e non sarebbe responsabile né della caduta del pil né della mancata crescita attuale. Bensì i limiti della capacità produttiva (offerta) nei SG rappresenterebbero la causa del crollo del pil e il vincolo attuale alla crescita. Lei questo sta dicendo. E' una bella storia. Solo che è radicalmente smentita dai dati, p.es. sugli ordinativi settoriali ecc. I dati ci dicono che la domanda è crollata in tutti i settori, e che la capacità produttiva inutilizzata è ampia in OGNI settore.

    Ne deriva la necessità di riportare la domanda al livello della capacità produttiva, con un aggiustamento dei prezzi relativi fra italia e germania, certo (ma non mi giri la frittata adesso cambiando argomento e aggrappandosi alla competitività internazionale, altrimenti non la finiamo più), e con uno stimolo generalizzato agli acquisti. La proposta G-LM avrà dei limiti, ma alla luce del nostro piccolo dibattito è perfettamente coerente con i problemi macroeconomici italiani, quali risultano dai dati. E per la cronaca, io non sono affatto 'abituato a ragionare come se esistesse solo il paradigma keynesiano'. Penso invece che un economista non fazioso debba scegliere il paradigma giusto per ogni situazione, il modello cioè le cui ipotesi più si avvicinano alla realtà nella quale esso viene applicato.

  • Gianni A.

    A me pare evidente che se si guarda: all’output gap; alla domanda fra moneta e al suo rapporto col PIL nei maggiori paesi avanzati; e alla sostenibilità del debito pubblico: 80 mld di moneta aggiuntiva mi pare già forse troppa, perciò l’unica giustificazione della cifra di 150 mld proposta da G-LM è una gestione delle aspettative in stile giapponese, il desiderio di mandare un messaggio (mutatis mutandis) stile Draghi-put: “faremo tutto il necessario per garantire la ripresa e, credetemi, sarà sufficiente!”, insomma esagerano un po’ ma senza (spero) avere l’intenzione di arrivare a tanto; perché, come ha ricordato Cristina Romer recentemente, manovre di questo genere funzionano solo se gestiscono correttamente le aspettative con un ‘regime change’. Pronunciare parole di mero ottimismo, o puntare sull’austerità espansiva, o sulle riforme strutturali, si è dimostrato finora un modo fasullo di gestire le aspettative. Il metodo giapponese / Draghi, invece, per ora sta funzionando, quindi è inutile richiamare tutte le inevitabili differenze tra Italia e Giappone, è più utile adattare quelle ide alla situazione italiana. G-LM ci ricordano che in Giappone la cura ABe sta funzionando nonostante la situazione sia più difficile, non più facile, che in Italia.
    Sul punto 5 : la Sua tesi ahimè è confutata dalla semplice osservazione che non ci sono in Italia settori produttivi dove la domanda ‘tira’ oltre la capacità produttiva: si tratta dunque di una crisi di domanda aggregata e non di struttura settoriale.

    • Matteo C.

      Mi rendo conto che per chi è abituato a ragionare come se esistesse solo il paradigma keynesiano sia difficile non vedere ovunque un problema di domanda aggregata. Ma nella gran parte dei casi la domanda sembra non esserci solo perché i prezzi sono troppo alti affinché domanda e offerta si incontrino. Per questo all’inizio del punto 5 rimando alle rigidità già sinteticamente indicate al punto 1). Penso che sia fuori discussione (ma se qualcuno ha elementi contrari può ovviamente farmeli notare) che in Italia vi siano mille rigidità dovute a corporativismo e sindacalismo di vario genere (non solo quello dei lavoratori dipendenti). Ed è altrettanto evidente che, seppure in un contesto di crisi abbastanza profonda (che non si risolve certo stampando soldi e facendo deficit, ma rimuovendo quelle rigidità, tagliando spesa e tasse), ci sono lavori in cui la manodopera scarseggia. Non si vede per quale motivo, altrimenti, tanti immigrati avrebbero trovato lavoro in Italia.

  • Matteo C.

    Rispondo a Paolo e Attilio, che ringrazio per le loro osservazioni.
    1) Ogni volta che si tira in ballo la carenza di domanda aggregata (punto fondamentale nell’analisi keynesiana), si dovrebbe ricordare anche il motivo fondamentale di questa carenza: la rigidità di taluni prezzi a essere elastici al ribasso. Invece di dare questa rigidità per scontata, credo sarebbe meglio valutare se essa sia un fenomeno spontaneo (di mercato) oppure no. Non ho mai trovato spiegazioni convincenti che la rigidità al ribasso sia un fenomeno spontaneo (di mercato). Ciò detto, perseguire l’abbassamento dei prezzi (i salari, per esempio) in modo reale per ottenere lo stesso effetto che si otterrebbe abbassandoli in modo nominale mi sembra un modo per fregare una parte più o meno consistente di persone.
    2) L’esperienza dovrebbe insegnare che aumentare il deficit è facile, il percorso inverso molto meno. Per questo è alquanto poco credibile ogni limite e piano di rientro. Stiamo parlando di un Paese che non riesce a tagliare lo 0.5% di spesa pubblica per eliminare un’imposta e non aumentarne un’altra. E resta da rispondere a queste domande: perché 5% e non di più? Perché 150 miliardi di QM e non di più?
    3) Lo statalismo c’entra eccome. Solo chi ritiene che lo Stato possa “guidare” l’economia può avanzare proposte come quella che ho commentato. E quello io non riuscirei a definirlo diversamente da statalismo. Per lo spreco di risorse e disoccupati rimando al punto 1).
    4) La proposta di QM non è neppure particolarmente innovativa, essendo già stata avanzata, per esempio, da diversi sostenitori della MMT. Sul fatto che la scadenza sia posta al 2150 lascio a chi mi critica credere che ciò non equivalga a renderla, nella sostanza, irredimibile. A scadenza, comunque, mi riesce difficile ritenere che il valore reale di quella QM sia significativamente superiore a zero. Per i piani di rientro rimando al punto 2). Credo, quindi, che uno sconto per convertire la QM in euro o altro ci sarebbe. E solo l’imposizione (ad esempio per pagare le tasse) del suo uso la renderebbe utilizzabile in qualche misura.
    5) L’output gap esiste in gran parte per la rigidità di cui al punto 1) e per il fatto che molti investimenti errati (causati per lo più dalla politica monetaria espansiva e incentivi normativi) hanno generato a loro volta domanda di lavoro in determinati settori e adesso quei disoccupati non possono dall’oggi al domani avere le competenze richieste in altri tipi di attività. Ma non è facendo deficit spending mediante sussidi per non lavorare o per fare lavori che non avrebbero domanda di mercato che si risolve il problema.
    6) Non credo neanche io che la configurazione dell’Eurozona di oggi sia sostenibile, e neppure credo che sia una configurazione ottimale. Non credo, però, che la soluzione sia stampare QM (né stampare euro).
    7) Giappone 1: se si monetizza il debito, il suo peso in rapporto a un Pil gonfiato dall’aumento della quantità di moneta tende per forza a diminuire (o a non aumentare). Da questo punto di vista trovo più coerente (pur non condividendolo) il punto di vista di chi vorrebbe che a emettere moneta fosse il Tesoro (o una banca centrale che dipendesse (anche formalmente) dal Tesoro) senza che ciò comporti un aumento del debito. Ma dovrebbe essere chiaro che l’aumento della moneta fiduciaria non equivale a un aumento di ricchezza reale. Il debito giapponese è aumentato perché si è trasformato debito privato in pubblico e si sono tenute artificialmente in vita banche e imprese fallite, per non perdere occupazione. Non sono stati 20 anni di politica monetaria (né fiscale) restrittiva, come par di capire leggendo Krugman e simili. Le cose andavano male perché quando scoppia una bolla non si risolve il problema cercando di evitare che si sgonfi.
    8) Giappone 2): più che di spread, parlerei di rendimenti e punto. Ciò detto, i maggiori detentori di debito giapponese sono la banca centrale, le banche, le poste e i fondi pensione domestici. Tutti soggetti che solitamente una qualche forma di “moral suasion” la subiscono e la accettano anche di buon grado. In ogni caso, l’atteggiamento degli investitori domestici è generalmente diverso da quello degli investitori esteri. I domestici sono molto meno solerti nel disinvestire, anche perché lo Stato ha potere fiscale nei loro confronti. Nulla può (se non fare default, dimenticandosi poi per un po’ di tornare a ricevere prestiti) nei confronti di quelli esteri. Non mi sembra una differenza trascurabile.

  • Attilio

    Gli autori dell’innovativo articolo sotto il tiro del Corsini non suggeriscono che la quasi moneta sia “irredimibile o che, arrivati a scadenza, il suo valore reale sarebbe sostanzialmente azzerato”, bensì suggeriscono di emettere la quasi moneta prevedendo fin da subiito un ‘piano di rientro’ che sia ‘condizionato’, presumibilmente, alla dimensione (riduzione) dell’output gap e al conseguente calo dei moltiplicatori fiscali. C’è infatti differenza fra il fare austerità in presenza di grande output-gap, o farla in presenza di poca disoccupazione.

    Perciò la critica di Corsini: “Ragionevolmente chi volesse convertire questa quasi-moneta sarebbe costretto a farlo a sconto rispetto al valore facciale” pare gratuita, dato che l’arbitraggio con l’Euro al momento di pagare le tasse ecc porterebbe il valore della quasi moneta necessariamente vicino alla parità. E’ vero che “l’entità dello sconto dipenderebbe, ovviamente, dalla crescita dell’offerta di quasi-moneta rispetto all’euro”, ma è per questo che i due economisti correttamente prevedono un limite quantitativo.

    Come scrive Micossi su Repubblica di Oggi, “Chi pensa che questa configurazione dell’Eurozona sia sostenibile, alzi la mano”: nessuno, mi pare. Dunque perché tanta chiusura mentale di fronte a chi cerca vie innovative per uscire dalla trappola in cui il paese si trova?

    Quanto al Giappone: il debito è aumentato come sta aumentando in Italia, perché la Banca centrale non ha allentato la politica monetaria a sufficienza. Prova: da quando la politica economica è cambiata, per la prima volta il debito/PIL si è stabilizzato! Una prossima crisi? Forse, ma dimostrerebbe solo che l’intervento espansivo è giunto in ritardo. La frase: “la ventennale accumulazione di debito pubblico non ha risolto i problemi di un’economia …” scambia le cause con gli effetti: il debito è aumentato perché le cose andavano male (con la vecchia politica economica), come accade nell’italia dell’austerità: non viceversa.

    Infine, l’idea che gli spread giapponesi siano bassi perché il debito è detenuto dai residenti mi fa pensare: e allora? Forse che – se non ritenessero conveniente detenere i titoli pubblici – i giapponesi (al margine) non venderebbero allo stesso modo degli stranieri, facendo innalzare gli spread? La verità è che qui si ignora la lezione subita dalla BCE nel 2012, quando ha ripetuto che non aveva il potere di ridurre gli spread (se non, forse, grazie a una massiccia monetizzazione) e invece poi è bastata una mezza dichiarazione di Draghi! Ora – sembrano dire i due autori – aspettiamo l’altra mezza: come dargli torto?

    In ogni caso l’aumento del debito proposto dagli autori ha una scadenza talmente lontana da essere irrilevanti ai fini della salvezza dell’Italia nei prossimi anni.

  • Paolo

    5% per due anni lo propongono due gg fa anche Giavazzi e Alesina, ogni medicina ha la sua dose, e il dosaggio pare appropriato a chiudere l’output gap italiano senza trasformare la QM in carta straccia.
    La BCE ha già dimostrato di poter ridurre gli spread senza spendere un cent (anzi, spendendo 50 cent.), applicando la ricetta che gli era stata suggerita da uno dei due economisti, http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/04/30/l%E2%80%99importanza-della-sovranita-monetaria/213312/
    Il Giappone è uno stato l’europa no, per questo al posto della moneta i due s’inventano la QM,
    Lo statalismo non c’entra nulla, gli autori parlano di riduzioni di tasse, e i repubblicani sono da sempre per uno stato leggero. Qui si tratta di fermare subito lo spreco di tanti lavoratori ed altre risorse produttive che non vengono utilizzate a causa di semplice, banale, disastrosa carenza di domanda. You know aggregate demand??

  • William

    Bravo Corsini hai smascherato I quasi-economisti che vogliono ricreare una quasi-lira Lo stratagemma potrebbe funzionare se tutta la pa fosse retribuita in questa nuova quasi-moneta avrebbe l’effetto di ridurre il costo della pa per la svalutazione immediata della valuta in cui sono pagati e la riduzione delle tasse in quanto esse potrebbero essere pagate nella stessa valuta comprata svalutata.

    Purtroppo gli statalisti non permetterebbero mai una tale riduzione dei loro furti.

  • Antonio Belmontesi

    Illuminante Corsini, come sempre.
    Ma mi chiedo: cosa avranno al posto del cervello questi alchimisti monetari?

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