“Il principio fondamentale è dunque quello che tale norma, cioè la Costituzione, non si deve cambiare se non in casi di totali rivolgimenti sociali di carattere definitivo o rivoluzionario… Debbo poi aggiungere che le ultime due stagioni governative sono state incapaci di introdurre una legge elettorale, si badi, ordinaria, ma che nel 2012, senza alcuna difficoltà o approfondita discussione popolare, è stato introdotto nell’art. 81 della Costituzione il principio del pareggio di bilancio, sulla mistificatoria giustificazione che ci veniva imposto dall’estero senza trovare equilibrio, né tenere in alcun conto che molti diritti fondamentali, primo fra tutti il diritto al lavoro e alla libertà di impresa, potrebbero essere conculcati”. (G. Rossi)
Il predicatore laico Guido Rossi pare ritenere che la Costituzione sia una sorta di tavola della legge, un documento scritto da uomini, ma evidentemente da uomini superiori, ai limiti del divino, o sotto dettatura divina. Per questo non la si deve cambiare, a meno che non intervengano “totali rivolgimenti sociali di carattere definitivo o rivoluzionario”. E, come sempre, dopo una rivoluzione quelli che prima erano criminali diventano i nuovi depositari della saggezza e della verità, ciò che li mette nella posizione di redigere il nuovo testo costituzionale.
A me, che giurista non sono, la costituzione, al pari di qualsiasi altra norma decisa da un legislatore, è sempre parsa nulla più che un documento politico scritto da uomini per nulla superiori ai loro simili.
Ciò detto, non ha torto Rossi quando critica il metodo “carbonaro” con il quale è stato modificato l’articolo 81 della Costituzione, introducendo il vincolo del pareggio di bilancio (peraltro con scappatoie, tipo la nozione di pareggio strutturale, già concordata a livello comunitario). D’altra parte non trovo coerente lodare la democrazia rappresentativa a fasi alterne: quasi tutti gli interventi legislativi vengono effettuati nella totale ignoranza da parte dei cittadini, i quali poi sono ipocritamente tenuti a conoscere tutte le norme (ciò che è chiaramente impossibile nel marasma legislativo italiano), perché non è ammesso ignorare le leggi.
Quello che mi sembra, però, per nulla condivisibile, è la conclusione che Rossi trae dalla modifica dell’articolo 81. A suo parere, aver posto limiti al deficit comprometterebbe “molti diritti fondamentali, primo fra tutti il diritto al lavoro e alla libertà di impresa”. Francamente non vedo per quale motivo il diritto al lavoro (sulla cui definizione nell’interpretazione di molti giuristi ci sarebbe da discutere) o la libertà di impresa dovrebbero essere compromessi dal pareggio di bilancio.
La libertà di impresa è semmai compressa da un’altra moltitudine di norme (costituzionali e non) che nulla hanno a che vedere con il pareggio di bilancio dello Stato. Quanto al lavoro, il pareggio di bilancio può porre limiti all’assunzione di dipendenti pubblici, ma questo non impedisce ad alcun individuo di lavorare autonomamente o alle dipendenze altrui, senza gravare sulle tasche dei concittadini.
Diversamente da quanto pensa Rossi la principale lacuna della nuova formulazione dell’articolo 81 consiste, a mio parere, nel non aver introdotto alcun limite alla spesa pubblica. Il fatto è che, pur prescindendo dalla nozione arbitraria di pareggio strutturale, non tutti i pareggi sono uguali, al di là dell’aritmetica. Perseguire il pareggio, come è avvenuto negli ultimi anni, agendo (quasi) solo sul lato delle entrate è deleterio. Sia perché maggior pressione fiscale equivale a maggior compressione del diritto di proprietà dei cosiddetti contribuenti; sia perché (e dovrebbe ormai essere evidente) più risorse sono intermediate dallo Stato, minori sono l’efficienza con le quali vengono usate e l’utilità derivante da tali usi, dato che sono decisi su base politica e non in base alle valutazioni dei singoli soggetti che quelle risorse hanno prodotte.
Capisco che per Rossi possa essere secondario, ma a me pare che il diritto di proprietà sia quello che (continua) a uscirne malconcio.
Guido Rossi santo subito. E visto che per diventare santi bisogna prima morire…
Che poi se non lo canonizzano me ne farò una ragione, visto che non se lo merita per nessun motivo.
Purtroppo il suo mondo non è ancora obsoleto e ha bisogno di schiavi che lavorino per continuare a tenerlo in vita.
Dei miei ne prende molto meno.
E sono impegnato nel fargliene prendere zero.
Questo rossi non conta un tubo.
Le sua parole non hanno alcun senso.
Lo si può ignorare del tutto.
Appartiene ad un mondo obsoleto.