In Anti & Politica, Economia

belpietroDI FUNNY KING* (http://www.rischiocalcolato.it)

Eccezion fatta per il Fatto Quotidiano, la stampa italiana che conta vive di sussidi di stato. E dunque può permettersi di mentire, fare favori al padrone (la fiat ad esempio , vi consiglio questo post del Grande Bluff) e sopra ogni cosa NON può permettersi di contraddire l’amico politico di riferimento.

Sono giornalisti-parassiti consapevoli che tutto sommato i dati delle vendite del giornale su cui scrivono non sono poi tanto importanti. Ciò che importa è il sussidio di stato o il sussidio del padrone che dopotutto  E’ ciò che paga il loro stipendio.

Fortunatamente il “consumo” di quotidiani italiani è in crollo verticale, un crollo molto più profondo di quanto non dicano i dati ufficiali visto che una parte cospicua del sussidio di Stato ricevuto è elargito in base alle copie (stampate o effettivamente vendute?). Dunque va bene anche stampare per il macero.

Il “Fortunatamente” è riferito all’intelligenza media del cittadino consumatore di informazioni che non compra più il giornale, al massimo gli da una occhiata “a gratis” nel Bar.

La storia del giornale Libero è emblematica del livello d parassitismo giornalistico italiano, giornale per nulla interessante (lo dicono i numeri) e del tutto incapace di stare sul mercato con le sue sole forze.

Non ni venga a dire che il sussidio all’informazione è “necessario”, mi risulta che il Fatto Quotidiano stia benissimo in piedi senza pantalone, Si tratta solo di scrivere qualcosa di interessante e magari riportare i Fatti, quelli veri. (poi il commento è un accessorio).

Eccovi le tristi vicende di Libero (applicabili al 95% dei media sussidiati italiani), senza sussidio di Stato, Kaputt.

dal Fatto Quotidiano (un giornale non sussidiato che parla del suo concorrente sussidiato è uno spasso)

Allarme rosso per i conti del giornale Libero. Il bilancio 2012 fotografa una situazionedrammatica: 5 milioni di copie in meno su base annua e pubblicità in calo per 1,5 milioni di euro. E il dipartimento Editoria della Presidenza del Consiglio nega contributi per 34 milioni di euro. Il capitale è sceso sotto soglia e gli amministratori chiedono ai soci di versare il mancante.

Tutta colpa dell’Agcom, l’autorità di garanzia per le comunicazioni. Per anni il dipartimento Editoria ha evitato di vedere che dietro due giornali finanziati, Libero e Il Riformista, c’era lo stesso soggetto, il gruppo Angelucci. Dopo una multa dell’Agcom, lo Stato ha chiesto i soldi indietro ebloccato i pagamenti per il futuro. Nella relazione sulla gestione della società Editoriale Libero Srl il presidente Arnaldo Rossi spiega che, dopo due sentenze del Consiglio di Stato, il dipartimento non pagherà i 18,3 milioni di euro chiesti per il triennio 2008-2010 e vuole anche indietro i 15,7 milioni di euro incassati indebitamente da Libero tra 2006 e 2007. Sono fermi i 4,8 milioni chiesti per il 2011 e dei 4 milioni del 2012 nulla si sa. Sommando i milioni da restituire, quelli che non arriveranno mai e quelli in bilico, mancano all’appello 42 milioni di euro.

Un buco che rischia di risucchiare la testata fondata nel 2000 da Vittorio Feltri e costata ai contribuenti ben 39 milioni di euro fino al 2007, come denunciava su Panorama il direttoreMaurizio Belpietro, poi diventato direttore proprio di Libero e membro del cda della società. Iricavi complessivi nel 2012 sono scesi del 23 per cento e Libero continua a pagare gli stipendi(8,5 milioni di euro il costo del lavoro) grazie alla generosità del gruppo Tosinvest, attivo nel settore sanitario e fondato dal deputato Pdl Tonino Angelucci. Editoriale Libero ha come socio unico la Fondazione San Raffaele, fondata dalla Tosinvest. Il patron Tonino Angelucci èindagato, con il presidente di Libero Arnaldo Rossi, per falso e truffa aggravata per le erogazioni pubbliche indebite dal dipartimento Editoria. Il 27 giugno le sue società hanno subito un sequestro di 20 milioni di euro.

Il consigliere Maurizio Belpietro ha gettato la spugna: il 5 giugno scorso il direttore, in teleconferenza con l’assemblea dei soci che si teneva a Roma, si è dimesso dal consiglio. Al suo posto è entrato un vecchio amico degli Angelucci: Carlo Lancella. Il pm Henry John Woodcock, allora a Potenza, lo aveva intercettato e indagato nel 2003. Voleva arrestarlo perché sospettava che avesse creato un’associazione a delinquere dedita a condizionare nomine e appalti a Roma. Accuse non riscontrate e l’inchiesta fu archiviata. Angelucci proviene dalla Uil, Lancella muove i primi passi nella Cisl. Nelle intercettazioni del 2003 emergevano i rapporti del neoconsigliere di Libero con esponenti di spicco del Pd di area ex Cisl, il presidente delle Poste, Giovanni Ialongo, Sergio D’Antoni e Franco Marini. Per i suoi 70 anni, all’amico Franco, Lancella donò un Rolex anni Trenta che – stando alle sue affermazioni intercettate da Woodcock – valeva 20 mila euro, anche se Marini non ne immaginava il suo valore. Lancella dopo avere fatto furore negli anni Novanta nel settore delle pulizie insieme all’ex patron del Perugia Luciano Gaucci, ora si lancia nell’editoria. La società degli Angelucci – come spiega il presidente Rossi agli azionisti nella sua relazione – ha perso due volte davanti alla giustizia amministrativa: “Il Consigiìo di Stato ha dichiaratoinammissibile, con sentenza del 31 gennaio 2013, il ricorso per revocazione ex art. 106 (terzo grado, ndr) proposto dalla Società avverso la sentenza (di secondo grado, Ndr) depositata il 16 aprile 2012”. La situazione economica è precipitata: “Nel complesso, il rischio di bilancio connesso all’eventuale definitivo esito negativo scaturito dall’Indagine Agcom in capo alla Società ammonterebbe a complessivi euro 34 milioni circa, con conseguenti significativi effettisull’equilibrio patrimoniale-finanzlario ed economico della società”. Gli amministratori di Libero avrebbero dovuto riscrivere i bilanci, ma restano appesi a una speranza: “La Società – scrive Rossi – ha presentato in data 5 febbraio 2013 ricorso avanti alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo”. Visto che “appare probabile il rischio che l’esito finale del procedimento possa comportarepregiudizi negativi per i contributi all’editoria nei termini sopraindicati”, la società editrice di Libero ha chiesto una manleva agli Angelucci . La holding lussemburghese del gruppo, la Spa di Lantigos SCA, si è impegnata a “manlevare e tenere indenne l’Editoriale Libero Srl dalla perdita che dovesse derivare dalla revoca e/o esclusione dei contributi fino all’importo massimo pari al 90 per cento”.

Il bilancio 2012 chiude con perdite per un milione e 871 mila euro e il presidente Rossi chiede ai soci di mettere subito mano al portafoglio perché “per effetto di tale perdita il capitale sociale è diminuito di oltre un terzo”. Nonostante la crisi, Libero non ha rinunciato a una nuova autovettura per 33 mila euro arricchendo il parco macchine fino a 189 mila euro. Come se non bastasse, laLibero Editoriale ha subito una piccola condanna a Bari nella vicenda della corruzione di Raffaele Fitto da parte del figlio di Tonino Angelucci, Gianpaolo. “Il Tribunale di Bari il 13-02-2013 – scrive il presidente Rossi – ha condannato la Società al pagamento della sanzione pecuniaria di 2600 euro oltre al pagamento delle spese processuali (…) ritenendola colpevole delle violazioni amministrative di cui agli articoli 21 e 25 del D. Lgs. 231/01”.

Libero sta diventando oneroso per gli Angelucci. Per tenere in piedi la baracca hanno dovuto sborsare, nel 2012, ben 17 milioni. A gennaio 2012 c’è stato un aumento di capitale per 7 milioni di euro, interamente versato dal socio unico, la fondazione San Raffaele degli Angelucci. Altri 10 milioni sono serviti come acconti per la manleva sui contributi e, scrive Rossi, “ulteriori accontiverranno ragionevolmente erogati nel 2013”. Grazie a queste somme “pur con le difficoltà del momento alla data, non sono riscontrati ritardi nei pagamenti degli stipendi”.

Insomma, Belpietro e gli altri 81 dipendenti ricevono lo stipendio puntualmente grazie almecenatismo del deputato Pdl che maneggia con disinvoltura cliniche, Ferrari e giornali. Tonino Angelucci è indagato anche per i milioni ottenuti dalle sue cliniche nel Lazio, ma Libero si lancia intrepido nelle campagne contro gli sprechi della Sanità, senza citare i guai pugliesi di Gianpaolo o il danno erariale contestato a Tonino per le cliniche laziali. Libero ha sempre criticato lo Stato sprecone che gli dava, illecitamente, i soldi per sopravvivere. Con gli Angelucci è più difficilesputare nel piatto in cui si mangia.

Da Il Fatto Quotidiano del 28 agosto 2013

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Showing 3 comments
  • Alessandro F.

    Tutto vero, i giornali sussidiati dovrebbero sparire dall’oggi al domani. Se qualcuno compra i quotidiani sul libero mercato, bene, altrimenti che falliscano come qualsiasi altra impresa. Attenzione, però, al Fatto Quotidiano. Riferire notizie non credo faccia parte dello scopo aziendale di codesta pubblicazione. Piuttosto mi sembra l’organo di stampa di alcune procure della repubblica. L’inchiesta di Woodcock del 2003, per chiunque la conosca un poco, era una colossale bufala. Basti ricordare che nel capo di imputazione uno dei reati contestati era “l’acquisto di crediti in Italia e all’estero”. Peraltro l’articolo riportato è indicativo dello stile di Travaglio & Co.: le ipotesi di reato dei pubblici ministeri sono il vangelo, la verità rivelata, guai a dubitarne. Le assoluzioni e le archiviazioni che spesso, inevitabilmente seguono, quasi vengono riferite en passant, come un incidente di percorso. Meglio, quindi, informarsi su internet dove ci sono molti siti che forniscono notizie vere e lasciare il Fatto Quotidiano nelle edicole, invenduto.

  • Albert Nextein

    Io abolirei ogni tipo di provvidenza o sovvenzione a favore di qualsiasi organo di stampa.
    Giornali, giornalini, tv, radio, fogli di ogni genere.
    Si tratta di aziende che devono sopravvivere sul mercato offrendo un buon prodotto.
    Un prodotto gradito e richiesto dalla clientela disposta a pagare per averlo.
    Come ogni azienda, possono rivolgersi alle banche.
    Come ogni azienda, se non hanno successo, devono chiudere baracca.
    Rispondono i soci.
    Non i cittadini.

  • Alessandro C.

    Se un cliente si rivolge ad una professionista del sesso , non credo sia interessato alle frequentazioni precedenti o allo stato patrimoniale dell’offerente ma semplicemente al costo e alla prestazione offerta . Se sara’ soddisfatto ci tornera’ , nel caso opposto si rivolgera’ altrove .

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