Da anni i politici cercano di mantenere calmo il gregge sempre più affamato ripetendo in continuazione che la fine della crisi è vicina. La risposta classica a questa presa in giro dei cittadini da parte del potere politico è che tali ‘previsioni’, per quanto ‘autorevoli’ fossero, sono sempre state smentite dai fatti. Esiste una risposta diversa fornita dalla Scuola Austriaca di economia: in una situazione di interventismo economico e politico da parte dello Stato (interventismo che in Italia ha continuato a espandersi per decenni ed è oggi arrivato vicino al suo limite fisico), eventuali segnali di miglioramento economico sarebbero paradossalmente una pessima notizia per l’economia e per le prospettive economiche delle persone.
A prima vista questa può sembrare una provocazione di cattivo gusto, soprattutto pensando a coloro che sono maggiormente esposti alle conseguenze dell’attuale crisi, come i disoccupati o gli imprenditori che sono costretti a chiudere, a emigrare o peggio. Eppure, se riusciamo a evitare l’errore di molti di coloro che (nella loro veste di elettori, politici o sedicenti ‘economisti’) ci hanno portato alla crisi, e cioè se evitiamo di sostituire l’emotività o l’interesse di parte e di breve periodo alla logica, capiamo che è così.
In una situazione di interventismo, infatti, per l’economia nel suo complesso la crisi è una cosa positiva: essa è il modo in cui il sistema economico tenta di ripulire se stesso dagli investimenti economicamente non sostenibili indotti dall’interventismo economico dello Stato, cioè dalla redistribuzione delle risorse, dalla spesa pubblica, dai sussidi, dalle tasse, dalle regolamentazioni e soprattutto dalla manipolazione monetaria e del credito.
L’interventismo economico e politico dello Stato ha distorto la struttura produttiva e addirittura il modo di pensare e di agire delle persone, che sta diventando sempre più “difensivo”. Se alla crisi fosse permesso di fare il suo lavoro, cioè se a essa lo Stato non rispondesse con maggiore interventismo ma con l’eliminazione di quest’ultimo, dopo un periodo di inasprimento della crisi si tornerebbe gradualmente a crescere in modo stabile e sostenibile. Il temporaneo inasprimento della crisi sarebbe dovuto al fatto che, avendo l’interventismo economico dello Stato distorto la struttura produttiva, fin quando questa non si sarà riallineata al libero mercato, cioè fin quando quest’ultimo non sarà sufficientemente avanti nel processo di eliminazione degli investimenti economicamente insostenibili indotti dall’interventismo, il fallimento di questi ultimi non avrebbe più argini (basti pensare ai giornali che si reggono in piedi solo grazie alla ‘legge’ sull’editoria, una buona parte dei quali chiuderebbe due minuti dopo un’eventuale eliminazione di quella ‘legge’). Il principio è lo stesso della droga: perché il tossicodipendente smetta di essere tale, eviti la morte e possa tornare ad avere una vita sana e sostenibile, egli deve smettere di drogarsi (deve trovare le sue energie in se stesso, non nella droga) ma questo nel breve periodo significa necessariamente stare peggio, non meglio. Se, partendo da una situazione di tossicodipendenza, il tossicodipendente sta immediatamente meglio (se non ha la crisi d’astinenza) allora è un pessimo segno perché vuol dire che non ha smesso di drogarsi.
Le alternative possibili sono dunque due sole:
- continuare con l’interventismo economico dello Stato (la causa della crisi) per tentare di rimandare il più a lungo possibile la resa dei conti, che sarà esponenzialmente sempre più catastrofica: stiamo parlando del collasso del sistema economico con banche chiuse, bancomat spenti, prelievi forzosi sui conti correnti nell’ordine di più della metà del saldo (si veda Cipro), disoccupazione di proporzioni colossali, ecc. La miseria, quella vera.
- smettere per sempre (cioè rendere strutturalmente impossibile) l’interventismo economico dello Stato ed essere pronti ad affrontare nel breve periodo un temporaneo inasprimento della crisi.
La seconda alternativa è l’unica via possibile non solo per evitare il disastro, ma per tornare a crescere in modo sano, onesto e sostenibile, senza mai più crisi cicliche.
La totale liberalizzazione[1] di tutti i mercati, da quello del denaro a quello del lavoro, è una condizione necessaria perché il temporaneo inasprimento della crisi prodotto dall’eliminazione dell’interventismo duri il meno possibile e si torni presto a crescere: in questo modo infatti non verrebbe ostacolato il flusso delle risorse e dei lavoratori dagli investimenti economicamente insostenibili indotti dall’interventismo (che prima falliscono e meglio è) ai nuovi investimenti indotti dal libero mercato.
In una “democrazia” totalitaria come la nostra, tuttavia, questa seconda alternativa non è tecnicamente possibile: nello sforzo costante ed economicamente folle, da parte del potere politico che ha bisogno di voti, di mantenere e possibilmente estendere l’attuale distorta struttura produttiva, questo flusso è attualmente impedito e anzi oggi avviene nella direzione opposta grazie a dosi sempre maggiori di interventismo economico dello Stato. Questo avviene perché la nostra struttura istituzionale, essendo basata sul positivismo giuridico (cioè sulla ‘legge’ intesa come provvedimento particolare: come strumento di potere), è stata disegnata in funzione dell’interventismo economico da parte dello Stato, e quindi in funzione delle crisi cicliche e alla fine, necessariamente, della catastrofe.
Per quanto fastidioso questo possa suonare alle orecchie di molte persone ‘concrete’ e avverse alle ‘chiacchiere filosofiche’, l’evitare il disastro e il ritorno alla crescita economica sostenibile dipende in ultima istanza dall’idea filosofica di legge: nelle condizioni attuali, solo quando un numero sufficiente di persone avranno capito che a impoverirle, a distruggere i loro sogni e l’avvenire dei loro figli, è stata l’idea filosofica di legge che ha reso possibile l’interventismo economico da parte dello Stato (un’idea di legge, il positivismo giuridico, a cui esse stesse hanno spesso aderito, per inconsapevolezza e/o perché in casi particolari gli faceva comodo) sarà possibile tornare alla prosperità. In altre parole, solo quando esse avranno capito non solo che la crisi è prodotta dall’interventismo economico da parte dello Stato ma anche che l’unica idea di legge che rende impossibile questo interventismo è la legge intesa come principio generale e astratto, cioè come regola di comportamento individuale valida per tutti (Stato per primo) allo stesso modo (in altre parole come limite al potere), esse potranno scoprire cosa significhi un’economia stabilmente in crescita e il bene che essa fa non solo al portafoglio ma anche allo spirito.
Quando un politico, un ‘economista’ o un ‘tecnico’ affermano che la fine della crisi è vicina, c’è da mettersi le mani nei capelli: come ha detto qualcuno, la luce in fondo al tunnel è quella di un treno.
[1] Vista la distorsione che questo termine (insieme a molti altri) ha subito negli ultimi tempi, è purtroppo necessario precisare che, in generale, “liberalizzazione” di un mercato significa eliminazione di qualunque tipo di regolamentazione al di là della legge intesa come principio, cioè come regola generale di comportamento individuale valida per tutti esattamente allo stesso modo. Quindi liberalizzare il mercato del lavoro significa per esempio rendere facile all’imprenditore l’interruzione unilaterale del rapporto di lavoro col dipendente (quindi qualunque ne sia il motivo) tanto quanto lo è per quest’ultimo: in altre parole significa rendere possibile all’imprenditore licenziare su due piedi il lavoratore dipendente. Liberalizzare il mercato del denaro significa, fra le altre cose, abolire il corso forzoso e l’imposizione di una particolare moneta per il pagamento delle tasse (che comunque non possono eccedere quelle necessarie per il finanziamento di uno Stato minimo non arbitrariamente definito). Liberalizzare il mercato degli affitti significa smettere di violare la libertà contrattuale e rendere possibile e scontato l’uso della forza per far uscire un inquilino di casa il minuto dopo che è scaduto il contratto, senza se e senza ma. E così via.
E’ proprio così.
Io personalmente tento di favorire questa crisi con comportamenti e decisioni individuali che trasmetto , quando capita, ad altre persone.
Non ho fatto il censimento.
Non ho pagato l’Imu.
Le altre tasse le pago quando ho soddisfatto i miei bisogni e quelli della mia famiglia, se rimangono soldi, quindi con dei ritardi di mesi.
Non ho titoli , né azioni .
Ho i conti correnti in pratica vuoti.
Non mi spacco di certo la schiena col lavoro, e mi limito ad una decorosa ma parca sopravvivenza per non entrare nel mirino del fisco. Nessun lusso, vivo al minimo.
Sono in attesa di vendere gli immobili che possiedo.
Ogni qualvolta possibile uso contante , e anche per operazioni esentIVA.
Sono alla ricerca di un posto tranquillo dove possibilmente espatriare e concludere attivamente e senza troppi guai la vita.
Lo so che ci saranno crisi su crisi fino al default finale.
Lo so che ci vessa è una classe di delinquenti in malafede, senza scrupoli, ladri e corrotti. Ieri, oggi, e domani.
Ne ho le prove, ed ho sufficiente coscienza per non piegarmi.
Non sono disposto a fare il suddito.
Birindelli dice bene.
Ma in quanti siamo a concordare e percepire la realtà così come è davvero?
Io tento di informare e fornire il punto di vista liberale delle cose e degli accadimenti. Qualcuno drizza le orecchie, ma la maggioranza invece chiede sempre più stato.
Tutti plagiati e col cervello in panne.
Ecco perché serve un default leggendario.
Ed è la ragione più importante.
Perché la gente apra gli occhi e si liberi dei criminali al potere.
Le parole non servono.
I fatti, e solo quelli, si.
Insegnano la vita.
Umili applausi
“la struttura produttiva, fin quando questa non si sarà riallineata al libero mercato”
Concetto problematico e spinoso, il libero mercato e’ un’astrazione non esistente in natura, cui si puo’ al massimo cercare di tendere… Infatti io mi accontenterei molto piu’ modestamente che si invertisse, anche solo impercettibilmente ma stabilmente, il trend di lenta ma continua e inesorabile fagocitazione delle liberta’ personali (economiche e non) in mira di quell’ottenimento della perfezione sociale attraverso lo Stato (o il mercato, secondo me cambia poco) che premia l’efficienza e il merito (si’ attraverso il merito: spesso da parte dei liberisti si pone l’accento sul fatto che non sia abbastanza premiato il merito, che loro stessi incarnano ovviamente, solo per questo sono contrari alla spesa pubblica: e infatti quando vanno al governo, convinti di incarnare il merito, e che quindi il problema non sussista piu’, per prima cosa promulgano l’aumento delle tasse – gli altri, gli statalisti, sono gia’ di per se’ convinti della maggiore efficienza dello Stato nell’allocare le risorse in modo tecnicamente appropriato).
Prendete l’alfiere del liberismo Monti: cosa ha fatto appena e’ andato al governo? Una scarica di tasse e poco altro. Eppure non era mica stupido… ne’ gli mancava il supporto politico.
Cos’e’ il merito? Cos’e’ il mercato? Sono dei concetti circolari che non definiscono un bel nulla in realta’, ne’ implicano minimamente la liberta’. Anzi considerando la media del materiale umano che incorporerebbe nel suo “inconscio collettivo” tali definizioni, e’ piu’ probabile aspettarsi sfracelli che altro.
Secondo me da piccoli passi nella direzione giusta ci si puo’ aspettare di piu’.
Ma la triste realta’ e’ che perfino l’ultra-liberista Giannino ora tornato nei ranghi, sul suo blog, mi pare contesti l’opportunita’ di togliere l’imu dalla prima casa, quando le tasse da diminuire, secondo lui, sono altre… (vi ricordate il vecchio refrain delle fumose assemblee comuniste, che suppongo fosse lo stesso di quelle anarchiche d’altri tempi, “compagni il problema e’ un altro?”).
Se ci sono problemi per togliere una tassa espropriativa del bene primario che e’ la casa, peraltro introdotta, tolta o modificata almeno 4 volte negli ultimi 20 anni, che rappresenta l’inezia dello 0.5 per cento delle entrate dello stato, ma dove vogliamo arrivare? Anzi, gli si aggiunge sopra la Tares, per coprire il “prezzo” di altri servizi pubblici rigorosamente obbligatori!
Siamo davvero alla Bisanzio dell’ultimo stadio.
Io, dalle mie parti, non ho mai visto in questi anni che le opere pubbliche vengano minimamente rallentate o ridotte a causa delle ristrettezze di bilancio (il mio comune coi suoi 10.000 dipendenti ha appena speso mezzo miliardo di euro per una inutilissima linea di tram elettrici che erano a suo tempo stati eliminati proprio perche’ inefficienti al massimo, e ha appena rifatto tutta l’illuminazione pubblica sempre piu’ accecante – ma non c’era il debito pubblico da ripagare, non “avevamo vissuto al di sopra delle nostre possibilita’?).
Ve li vedete i cittadini italiani che bloccano la riasfaltatura delle strade, la posa di nuovi lampioni, l’acquisto di nuovi autobus, il taglio dell’erba lungo le strade due volte al mese (la costruzione della TAV mi viene da aggiungere) per rimettere in equilibrio i conti dello stato?). Solo tasse, tasse, e sempre tasse. Di cui poi si lamentano, o al massimo si lamentano che ci sia qualcuno che riesce a non pagarle.
Giovanni oltre ad essere impeccabile, promana un alto valore etico e morale in quello che scrive. E’ un libertario al 100%. I libertari giustamente disprezzano l’utilitarismo. Si deve abbracciare il libertarismo per il suo valore etico e morale, non per la sua utilità, che è indubbia.
Mi piace poi il senso della parola economia sostenibile. Questo è il vero senso di sostenibilità, non quella dei verdi!!!!
Chapeau!!!
Alla faccia di tutti coloro i quali cianciano di crisi che si autoavvera perchè siamo piagnoni, depressi, disfattisti, invece che essere sorridenti, ottimisti, positivi, frizzanti etc etc.
Come cantava Jannacci:
… e sempre allegri bisogna stare stare che il nostro piangere fa male al RE
fa male al ricco al cardinale, diventan tristi se noi piangiam …
Alla via così caro Birindelli!
Sempre impeccabile, è un onore leggere Birindelli.