In Anti & Politica, Libertarismo

TELEVISIONEDI GIOVANNI BIRINDELLI

La comunicazione verbale, e in particolare televisiva, del pensiero liberale/libertario[1] presenta un problema specifico e non facile da superare. In estrema sintesi, questo problema è dato dal fatto che, in un contesto intellettualmente avverso (che per il liberale è la regola), l’esposizione verbale del pensiero liberale richiede molto più tempo di quello che di solito si ha a disposizione. D’altro canto, l’esposizione del “pensiero” collettivista richiede un tempo praticamente nullo. Il risultato di questa asimmetria è che, nei casi più unici che rari in cui i liberali sono invitati in televisione, essi sono costretti a battersi con le mani legate dietro la schiena (forse è per questo che sono invitati): difendere le idee liberali in un “salotto televisivo” è quasi inevitabilmente una mission impossible; e se questa “mission” faccia necessariamente bene alla causa liberale dal mio punto di vista rimane una questione aperta.

Una delle ragioni principali di questa asimmetria, e quindi della quasi impossibilità della missione, è che i liberali, a differenza dei collettivisti, sono vincolati dalla coerenza.

Un collettivista, tanto per fare un esempio fra gli innumerevoli che potrebbero essere fatti, può sostenere (e inevitabilmente sostiene) che evadere le imposte sia moralmente sbagliato perché in questo modo si aumenta il carico fiscale su coloro che non possono/non vogliono evadere. Il liberale, che, a differenza del collettivista, non fa dipendere le proprie opinioni dai propri capricci, non potrebbe mai sostenere una bestialità simile. Le imposte, infatti, sono oggettivamente una forma di coercizione e quindi di violenza: perché l’affermazione del collettivista fosse valida sarebbe necessario sostenere che in generale è immorale evadere dalla coercizione quando questa evasione comporta una maggiore violenza su altre persone.

Per capire perché questo non è coerentemente sostenibile, consideriamo il caso di dieci ragazze sequestrate e regolarmente violentate da un mostro come quello di Cleveland (che, incidentalmente, credo sia una buona immagine visiva dello Stato moderno in rapporto ai cittadini “contribuenti”) e supponiamo che una di esse riesca a evadere e che sia perfettamente consapevole del fatto che la sua evasione aumenterà la violenza sulle altre nove ragazze rimaste prigioniere.

Ora, se, come afferma il collettivista, fosse immorale evadere da una forma di coercizione perché questa evasione comporterebbe una maggiore violenza su altre persone, allora secondo questa logica l’evasione della ragazza dovrebbe essere immorale, in altre parole un crimine. Chiaramente non è così: il crimine è la violenza del mostro sulle ragazze, non la fuga della ragazza evasa. Su questo è generalmente d’accordo anche il collettivista il quale tuttavia, a differenza del liberale, può concedersi il lusso dell’incoerenza e quindi di sostenere una cosa e il suo contrario a seconda dei suoi interessi particolari, delle sue passioni e dei suoi umori, senza che nessuno batta ciglio.

Il liberale non può concedersi questo lusso. In altre parole, nel giudicare moralmente l’evasione dalla coercizione egli non può basarsi sulle conseguenze particolari di quella evasione ma deve concentrarsi solamente sulla natura di quella coercizione. In ambito fiscale, questo significa che un liberale non può giudicare moralmente un evasore fiscale senza prima giudicare moralmente, e quindi in modo coerente e non arbitrario, il sistema fiscale a cui esso è sottoposto e in particolare il modo in cui le tasse sono prelevate e ciò per cui sono spese (con la conseguenza che, se in base a un’analisi coerente il sistema fiscale risultasse essere moralmente insostenibile, per esempio perché il modo in cui le tasse sono prelevate viola il principio di uguaglianza davanti alla legge e/o perché ciò che esse finanziano risulta essere superiore allo Stato minimo non arbitrariamente definito, allora il giudizio morale dell’evasore potrebbe essere positivo al punto che, eventualmente entro certi limiti, l’evasione fiscale potrebbe essere considerata perfino un dovere morale).

A differenza di quella del sequestro di persona e della violenza sessuale, tuttavia, un’analisi morale del sistema fiscale richiederebbe tempi lunghi, molto più lunghi di quelli che il liberale ha a disposizione in un “salotto televisivo”, e un rigore analitico che è incompatibile con la televisione in generale e con questo tipo di trasmissioni in particolare. Come dice Ludwig von Mises, «I problemi dell’organizzazione economica della società [e quindi della legge che limita l’azione umana, n.d.r.] non sono adatti per una discussione superficiale alle feste. Né possono essere affrontati adeguatamente dai demagoghi che parlano nelle assemblee delle masse. Quei problemi sono cose serie. Richiedono uno studio accurato. Non devono essere presi alla leggera»[2].

In un “salotto televisivo”, quindi, è di fatto impossibile esprimere anche solo frammenti del pensiero liberale. L’altro lato della medaglia è che la televisione dà notevole visibilità e che, nonostante queste difficoltà, qualche spettatore potrebbe intuire che c’è un “altro mondo” (le “cose serie” di cui parla Mises) e usare la televisione solo come porta d’ingresso per entrarci. Il mio sospetto (ma è davvero solo un sospetto: di strategia della comunicazione, e quindi del secondo lato della medaglia, ne so meno che zero) è che il primo lato della medaglia sia molto più grande del secondo. Allo stesso tempo però, quando leggo che Leonardo Facco va in televisione, sono contento: essendo un libertario autentico (uno dei pochi), e quindi coerente, avrà pure le mani legate dietro la schiena, ma qualche bella testata sul naso dei collettivisti che ha di fronte riesce comunque a darla.


[1] In questo articolo tratto i due termini come sinonimi e con essi mi riferisco a quella corrente di pensiero che è coerentemente schierata a difesa del libero mercato e della sovranità della legge intesa come principio astratto (e quindi contro la “democrazia” per come essa è comunemente intesa oggi, cioè come sovranità dei legislatori).

[2] Mises L., 2009 [1951], Socialism (Ludwig von Mises Institute, Auburn AL), p. 591.

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Showing 41 comments
  • I LIBERALI DEVONO ANDARE IN TELEVISIONE? | Movimento Libertario

  • armando

    Mah, mi fa venire in mente la famosa gag di moretti sul modo migliore per farsi notare ad una festa.
    La intendo come una domanda retorica, perchè se non partecipi nessuno ti nota di sicuro.
    Penso che valga la pena cogliere tutte le occasioni possibili per diffondere il pensiero liberale.
    Sta poi all’abilità comunicativa del singolo saperlo fare in maniera sintetica ed efficace, cosa che richiede anche una certa pratica da acquisirsi col tempo.
    L’importante è non pretendere di finire al centro del dibattito da un giorno all’altro.

  • Christian

    Aggiungendo la mia modesta visione, penso che ripetere “Libero Arbitrio” come un mantra sia poco efficacie.
    Tutti pensano di essere liberi sino a che non si accorgono di avere delle catene che stringo i polsi e le caviglie. Lo scopo ultimo è mostrarle a chi non le vede, tutto il resto è conseguenza.

    Distinti Saluti

  • Gian Piero de Bellis

    Noto che per illustrare alcune posizioni vengono usate decine e decine di parole. Forse basterebbe battere solo su una sola espressione: Libero Arbitrio (cioè libera scelta). Chi lo capisce non ha bisogno di molte parole. Chi non lo capisce non lo vuole capire, e anche se sei in onda per 24 ore al giorno non lo capirà mai.

    • Giovanni Birindelli

      Ma può essere indotto in contraddizione

    • firmato winston diaz

      Sulla possibilita’ del libero arbitrio ci si ammazza da almeno un millennio e mezzo.

      • firmato winston diaz

        In europa, ci si ammazza almeno dallo scisma protestante (nella dottrina della grazia di lutero e calvino, i prescelti alla salvezza lo sono fin dalla nascita, a prescindere da qualsiasi loro volonta’ – il libero arbitrio nel protestantesimo non esiste, le “”opere” non servono a nulla).

        • firmato winston diaz

          E sospetto che per i protestanti se appartieni alla razza sbagliata, non puoi farci nulla, sei dannato e basta. Questo pensiero ha tanta fortuna, trasformandosi nelle epoche storiche, perche’ evidentemente ai “meritevoli” fa comodo suggellare cosi’ la loro “superiorita’”. Fino ad una generazionee mezzo fa, questo era pensiero comune. Ora, se non lo e’ piu’, e’ solo perche’ a vacare e’ il pensiero.

  • firmato winston diaz

    mancavano due parola, “spese pazze”

    insomma quello a cui dovremmo rinunciare e’ IL LUSSO A CUI CI COSTRINGE LO STATO, decidendo esso per conto nostro spese pazze che non affronteremmo mai se dovessimo farle coi nostri soldi, perche’ eccessive e non alla nostra portata. Lo Stato invece se ne frega, e poi ci dice che “abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilita”

    e in piu’ aggiungerei un necessario pezzo “neo-keynesiano”:

    Peraltro almeno una volta queste spese lo Stato le effettuava usando soldi stampati ex-novo, che al massimo producevano inflazione: da una trentina d’anni pretende di effettuarle puntando con precisione ragioneristica direttamente alle nostre tasche, sotto forma sia di nuove imposte che di debito pubblico che produrra’ ulteriori imposte comprensive di interessi sempre crescenti. (come gli oneri di manutenzione)

  • firmato winston diaz

    “Per quanto riguarda una comunicazione efficace, occorrerebbe spostare il tema dalle tasse (tema preferito dal potere) ai servizi (tema funzionale agli utenti).”

    Mmmmh, a porre questo tema farei estrema attenzione… la media dei cittadini non e’ MAI soddisfatta dai servizi che ha, qui dalle mie parti per dire ci sono migliaia di autobus che girano da mane a sera dappertutto quasi sempre semivuoti, ma la gente vorrebbe come minimo averne uno che la va a prendere a casa, per dichiararsi soddisfatta del servizio… salvo poi lamentarsi delle tasse e dei politici che “rubano” o, peggio, hanno il cellulare gratis!

    In realta’ dovremmo far passare l’idea che per avere meno tasse e piu’ liberta’ dovremmo rinunciare all’asfaltatura annuale delle strade, all’illuminazione accecante anche delle piu’ sperdute stradine di campagna: insomma quello a cui dovremmo rinunciare e’ IL LUSSO A CUI CI COSTRINGE LO STATO, decidendo esso per conto nostro che non affronteremmo mai se dovessimo farle coi nostri soldi, perche’ eccessive e non alla nostra portata. Lo Stato invece se ne frega, e poi ci dice che “abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilita”.

    Il lusso e’ incompatibile con la liberta’, per essere liberi bisogna sapersi accontentare di poco, o perlomeno di quello che ci si puo’ permettere. E’ questo che il nostro Stato, in cio’ perfetto rappresentante dei cittadini spesso teste di cazzo, non vuole capire.

    Nessun pasto e’ gratis, ma chi rinuncia alla propria liberta’ per poter pranzare al ristorante di lusso, e’ un cretino che merita di diventare schiavo. Lo Stato purtroppo attualmente e’ proprio il cretino che ci costringe tutti in questo, volenti o nolenti, a causa probabilmente del paradosso dei beni comuni, con le conseguenze fiscali che poi ne seguono, e con il completo fagocitamento dell’economia in quella pubblica, altro che servizi inefficienti o efficienti a questo punto poco importa…

    Protestare per i servizi pubblici inefficienti da sostituire col privato (o con servizi efficienti) quindi credo sia tafazziano dal punto di vista libertario anche se comprensibile dal cittadino medio, nelle conseguenze pratiche: cio’ che va rimarcato e’ che non si puo’ costringere il contribuente a subire servizi che non ha chiesto e non vuole, pubblici o privati che siano, efficienti o no che siano. Se questi servizi li chiediamo (eccome se li chiediamo, pare che non bastino mai), diventa davvero difficile sostenere questa posizione.

    Non so se ho capito bene, comunque in ogni caso credo sia ragionevole sostenere quanto sopra esposto.

    Quando Facco dice che gli ospedali sono nati come opere di assistenza cui era facoltativo contribuire, dice il giusto, solo che forse tira un po’ troppo “dritto sulle curve”, nel senso che pensare di abolire del tutto l’assistenza e l’infrastrutturazione pubblica forse e’ inopportuno; lasciare tutto al mercato concorrenziale, che funziona darwinisticamente, non e’ il massimo per una vita civile gradevole, ma forse sarebbe da porre in rilievo il fatto che LO STATO DOVREBBE DARCI QUEL MINIMO CHE FOSSE UTILE E COMPATIBILE A RENDERCI POI POSSIBILE LA LIBERTA’ DI SCEGLIERE IL RESTO DELLA NOSTRA VITA, E NON COATTARCI AL RISTORANTE DI LUSSO, AL PREZZO DI RENDERCI SCHIAVI.

    Inoltre, le nostre societa’ stanno accumulando continuamente beni materiali, sotto forma di infrastrutturazioni, mezzi di produzione e beni di consumo che fra molto poco renderanno proibitivi anche i soli oneri di manutenzione. Fra poco non riusciremo piu’, nemmeno usando tutti i mezzi a nostra disposizione, a mantenere quanto accumulato nei tempi precedenti. Diventeremo schiavi della “roba”, se non lo siamo gia’. Solo che la nostra roba possiamo, almeno per adesso, e a meno che non sia in condominio, lasciarla andare a remengo e vivere la nostra vita, quella pubblica invece siamo costretti dalla coercizione dello Stato a contribuire a quella missione impossibile che e’ il suo mantenimento, Stato stesso compreso. E’ matematico, e il futuro che ci aspetta, se non riconosciamo in fretta la questione, sara’ da schiavi, quello che abbiamo adesso e’ solo un assaggio.

    Le societa’ primitive quando arrivavano a questo punto praticavano semplicemente il potlatch, la nostra che e’ molto piu’ civilizzata e stupida, sposta il problema su un capro espiatorio (i politici ladri, l’inefficienza dello Stato, l’euro, i tedeschi, gli ebrei, i terroni), e comincia una guerra mondiale.

  • Gian Piero de Bellis

    Quando uno va al cinema, paga il biglietto di ingresso e questo è un atto razionale dovuto. Nulla a che vedere con la qualifica di atto volontario; l’atto volontario è la scelta di andare a vedere quel film in quel posto. Quando uno parla di tasse, la grande maggioranza associa tasse a servizi e chi non vuole pagare le tasse è come se volesse i servizi a sbafo (andare a cinema gratis).
    Per quanto riguarda una comunicazione efficace, occorrerebbe spostare il tema dalle tasse (tema preferito dal potere) ai servizi (tema funzionale agli utenti).
    Questo permetterebbe di mostrare che:
    a) i servizi sono inesistenti o fanno schifo
    b) i servizi sono dannosi e da molti non voluti (F35, finanziamenti a partiti e giornali, ecc.)
    A questo punto, con poche parole,si fa capire che ciò equivale a pagare un biglietto senza la proiezione del film o con la proiezione di un film diverso da quello scelto. Questo si chiama presa in giro e truffa e le persone, anche quelle che sono a favore delle tasse, lo capirebbero in 60 secondi (no, esagero, bastano 35 secondi).
    Questo è il messaggio che volevo far passare.
    Quelli che sono contro lo stato, in una situazione in cui lo stato appare chiaramente come un organismo in via di putrefazione, non partono svantaggiati. Tutt’altro. Lo sono (svantaggiati) solo se non riescono a far capire, ad esempio, che non è che non si vuole pagare (tasse) per i servizi ricevuti ma che si vuole (a) scegliere i servizi che si vuole finanziare e (b) scegliere tra diversi fornitori di servizi. Tutto lì. A quel punto voglio vedere cosa risponde il Cofferati di turno.

    • Giovanni Birindelli

      Grazie Gian Piero: il tuo messaggio è efficace. Tuttavia a mio parere non è sufficiente: è una buona freccia, ma temo che ne servono parecchie altre per abbattere il Leviatano (e i suoi parassiti). Non ho difficoltà a immaginare, infatti, la risposta di un Cofferati qualunque alla tua obiezione.

      Prendiamo ad esempio il cinema, l’esempio che hai scelto tu. Cofferati ti risponderebbe:

      che la cultura non è dannosa, è fondamentale; e il cinema fa parte della cultura;
      che senza i finanziamenti dello Stato il cinema morirebbe; quindi lo Stato deve finanziare il cinema;
      che la democrazia è la regola della maggioranza, quindi se la maggioranza sceglie di espropriare la minoranza per finanziare la cultura (il cinema in questo caso) questa è la democrazia (il fatto che una minoranza non sia d’accordo col finanziamento pubblico di determinati servizi per lui è rilevante quanto il fatto che una minoranza di condomini non sia d’accordo col finanziamento condominiale del rifacimento del pavimento del cortile: cioè zero).

      Cofferati può affermare queste tre idiozie in complessivamente 13 secondi e ciascuna di esse penetrerebbe nell’intelletto della quasi totalità degli spettatori senza difficoltà e immediatamente, come un coltello su burro caldo.

      Il liberale (passami il termine, che so non gradisci, per semplicità) potrebbe rispondere a ciascuna di queste obiezioni con argomenti filosofici ed economici molto semplici nella loro essenza i quali porterebbero alla conclusione che uno Stato che finanzia il cinema è necessariamente totalitario (come lo è uno Stato basato sulla “democrazia” intesa come regola della maggioranza) e non fa altro che distruggere la cultura e più in generale il tessuto economico (cioè nel lungo termine produce miseria). La parte economica di questi argomenti del liberale è inconfutabile (vedi nota dell’articolo), mentre la parte filosofica trova riscontro nel senso del giusto che lo stesso spettatore e lo stesso Cofferati hanno dentro di loro, solo che lo applicano in modo selettivo (nei limiti in cui gli fa comodo). L’unico problema è che l’illustrazione di questi argomenti (che ridurrebbero Cofferati al silenzio o balbettare) richiede tempo, molto più tempo dei tuoi 35 secondi.

      Infatti il problema che ha il liberale (prendiamo il campo economico) è che dice la verità e che la verità è contro-intuitiva (come è contro-intuitivo il fatto che sia la Terra a orbitare attorno al Sole) mentre le menzogne degli statalisti (passami il termine) sono intuitive (come è intuitivo il fatto che sia il Sole a orbitare attorno alla Terra). Prendiamo per esempio il messaggio economico che viene lanciato a tambur battente da tutti i governi: che per uscire dalla crisi occorre rilanciare i consumi. Questo è un messaggio intuitivo e immediatamente comprensibile a tutti: tutti infatti sanno che se la gente spende di più i commercianti saranno più ricchi e “l’economia gira”. Naturalmente è vero l’esatto opposto (come sa bene, quando deve pensare ai conti di cui esso è responsabile, un qualunque individuo): la crescita è prodotta dai maggiori risparmi e quindi dai minori consumi, non viceversa. Maggiori sono i consumi rispetto ai risparmi minore sarà la crescita e oltre un certo punto ci sarà decrescita. Ma per spiegare questo occorre spiegare le basi della struttura produttiva e la teoria del capitale che nemmeno all’università si insegna. E questo, anche se in forma ultra semplificata, richiede tempo.

      In breve, il tuo argomento è solido ma secondo me non basta. Proprio perché le nostre ragioni sono contro-intuitive, per spiegarle dobbiamo sovvertire tutto ciò che i collettivisti danno per scontato: dalla loro idea di legge ai loro assunti economici. Mentre per i secondi c’è bisogno di davvero tanto tempo (la teoria economica è un elemento esterno che deve essere assorbito, e molto pochi hanno interesse ad assorbirla) l’idea di legge no: la legge intesa come principio sta già dentro i collettivisti, solo che è seppellita sotto tonnellate di cemento (cioè di positivismo giuridico). E io credo che portarli a dissotterrare qualcosa che sta già dentro di loro sia più facile che far loro assorbire qualcosa di esterno (e verso cui magari non hanno nessuna inclinazione). Ma anche se uno si limitasse ad aiutare le persone a dissotterrare l’idea di legge che esse hanno già dentro di loro, i tempi e il tipo di analisi sarebbero comunque molto diversi da quelli ammessi in una trasmissione televisiva. Il tuo argomento, dal mio punto di vista, per quanto giusto, sarebbe solo l’inizio della discussione: non ridurrebbe Cofferati al silenzio. Per ridurlo al silenzio o a un imbarazzato balbettio ci vuole, temo, oltre che il carisma, il tempo che le trasmissioni televisive sono disegnate per non dare. Ma magari mi sbaglio.

      • firmato winston diaz

        Ok, ma c’e’ una misura in tutte le cose: Cofferati puo’ anche fare cio’ che vuole coi nostri soldi, basta che si renda conto che deve arrangiarsi con, che ne so, non piu’ del 50 per cento di prelievo fiscale TOTALE MASSIMO per ogni singolo cittadino (imposte dirette indirette patrimoniali accise bolli previdenze e assicurazioni obbligatorie e tutto).
        Adesso siamo al 60, 70, 80!
        Tutto qua.
        Oltre, va considerato furto da punire con il carcere e la fustigazione corporale per tutti gli impiegati pubblici di qualsiasi ordine e grado.
        Se stiamo a discutere se sia legittimo o no il prelievo fiscale o lo Stato e come spendere i soldi in modo efficiente non ne verremo mai fuori, in quanto il prelievo fiscale e’ ovvio che c’e’, che sia legittimo o no (si fa da sempre e dappertutto), lo Stato lo stesso, e sulla efficienza o opportunita’ della spesa pubblica non ci sara’ mai un accordo generale, dato che siamo tante zucche una diversa dall’altra.
        Va posto semplicemente un paletto invalicabile: oltre questa cifra percentuale sul reddito e/o rendita, scatta il diritto al rimborso immediato in quanto furto, si tratti dei berlsuca o del barbone alla stazione, e la punizione dei colpevoli del furto. Ecchecazzo.

        • Giovanni Birindelli

          In una società libera i paletti devono essere criteri non arbitrari e coerenti, non numeri (i quali sarebbero necessariamente arbitrari): dove i criteri fossero numeri fissati arbitrariamente, come suggerisce lei, la società sarebbe per definizione totalitaria (la libertà è antitetica all’arbitrarietà del potere e dei limiti a esso). Dal mio punto di vista, l’unica funzione dello Stato che può eventualmente essere moralmente e non arbitrariamente giustificata è, in ultima istanza (cioè solo laddove questo ruolo non potesse essere svolto da istituzioni informali, come in parte avveniva nella Gran Bretagna della prima metà dell’800**) quella di argine contro la violazione della legge (giudici, tribunali, prigioni, polizia). I numeri (che a occhio in questo caso ammonterebbero a un prelievo fiscale dell’ordine del 2-3%, che comunque dovrebbe essere ripartito nel rispetto dell’uguaglianza davanti alla legge, cioè ciascuno dovrebbe pagare la stessa cifra, non la stessa percentuale), sarebbero solo la conseguenza.

          (**) Faccio notare che le istituzioni informali di cui parlo (si veda as esempio il meccanismo della reputazione su eBay) non implica società private for profit. Utile a questo proposito Mokyr J., The Enlighted Economy. An Economic History of Britain 1700-1850 (Yale University Press, Yale), p. 371

      • Giovanni Birindelli

        P.S. (@ Gian Piero) Aggiungo che in un recente confronto televisivo con Leonardo Facco proprio Cofferati ha detto candidamente che gli investimenti possono essere privati o pubblici, in sostanza non ci sarebbe differenza. Di nuovo, questo messaggio è molto intuitivo: tutti sanno che se lo Stato tassa per 100 e spende quei 100 (magari in investimenti pubblici “veri e genuini” come suggerisce Monti) si crea occupazione e quindi ricchezza (l'”economia gira”). Il problema è, fra gli altri, che così facendo si distorce la struttura produttiva e in questo modo nel lungo periodo si produce miseria. Ma per spiegare le ragioni di questo fatto contro-intuitivo, di nuovo, ci vuole tempo e inclinazione allo studio dell’economia. Tutte cose che in una trasmissione televisiva non ci sono.

  • firmato winston diaz

    Comunque occhio che l’estremizzazione e’ il modo migliore per veder perdere la propria istanza.

    La storia insegna, gli estremisti vanno al governo solo mascherandosi da agnelli. (ne sappiamo qualcosa, gli estremisti della tassazione a gogo’ al governo ce li abbiamo eccome, e da un bel pezzo: ecco forse bisognerebbe evidenziare questo fatto, smascherarli con dati di fatto e numeri ala mano: berlusca, che da grande tattico a suo tempo lo ha fatto, al governo ci e’ arrivato subito, e gli smascherati contro questa estremamente efficace strategia infatti hanno lottato con tutti i mezzi leciti e non per contrastarla)

    Ricordare, esempio fra i tanti, i radicali dei vecchi tempi: nonostante la massima visibilita’ sono stati poco piu’ di un fenomeno da circo, e nonostante siano stati il partito piu’ libertario d’europa probabilmente, come risultato delle loro lotte quello che abbiamo ottenuto e’ il paese meno liberale. Attorno a loro c’era un cordone sanitario.

    Quando si parte per una guerra, bisogna essere sicuri di vincerla, perche’ se si perde, si torna peggio che se non si fosse mai partiti.

    Comunque l’avete vista la notizia di ieri, di Letta che risparmia ben 50 milioni di euri tagliando qualche aereo e auto blu: verranno davvero risparmiati? No, verranno reindirizzati per qualche mezzo per la protezione civile in piu’.

    Proprio non ne vogliono sapere IN NESSUN MODO di capirla che, evasione o no, devono spendere meno, e non, quando ci va bene, spostare le immani risorse derubate al contribuente ormai estenuato da un posto all’altro, cosi’ da non recuperarne mai la fiducia.

  • Giovanni Birindelli

    Grazie a te Leo per tutto quello che stai facendo. Sei un punto di riferimento fermo per me e credo per tutti i liberali/libertari che ti leggono. Un collettivista non ha bisogno di argomentare quello che dice in quanto la sua idea di legge è la stessa che è stata imposta a tutti. Un liberale invece ha bisogno di argomentare quello che dice perché la sua idea di legge è opposta a quella che è stata imposta a tutti, e da questa diversità ne discendono a cascata molte altre. Questa è la ragione per cui un liberale in un dibattito televisivo (in cui c’è poco tempo) a mio modo di vedere è svantaggiato. Ma egli può, come dici tu, mettere la pulce nell’orecchio. Questo non è poco: è molto se è vero, come dice Arthur Koestler, che «le rivoluzioni di pensiero che danno forma all’essenza di un’epoca storica non sono diffuse mediante libri di testo – esse si diffondono come epidemie, mediante contaminazione da parte di agenti invisibili e innocenti portatori-sani, attraverso le più diverse forme di contatto, o semplicemente respirando la stessa aria». Di nuovo, grazie.

    • Giovanni Birindelli

      … naturalmente né tu né io siamo portatori sani…. ma molto contagiati… :)

      • leonardofaccoeditore

        :-)

  • leonardofaccoeditore

    Grazie per la stima Giovanni. Effettivamente, ciò che io tento di fare è SOLO ED ESCLUSIVAMENTE cercare di mettere la pulce nell’orecchio di qualcuno che abbia voglia di aprire la mente e provare ad immaginare l’esistenza di un altro mondo. Io non sono un intellettuale, ma un manovale della comunicazione, che da sempre per mestiere fa il divulgatore di quelle idee che sia io che te (e moltissimi altri lettori di questo sito) amiamo.

  • firmato winston diaz

    Vedremo cosa ci riservera’ il futuro, nei termini delle generazioni venute su a bistecche e internet: internet permette a tutti (e forse magari uno su un milione sapra’ coglierne frutto) l’acquisizione di conoscenze che prima erano proibitive se non girando il mondo per cento biblioteche. Non so se capita anche a voi ma io continuo continuamente a scoprire cose che ogni volta ribaltano e mi fanno vedere in nuova luce fatti e loro interpretazioni che davo per scontati e definitivi. Ribaltamenti causati da nuovi fatti, o anche solo da nuovi punti di vista (come e’ stato per lo stesso libertarismo di Hayek, Mises e Rothbard).

    Vedremo cosa ne verra’ fuori, che impasto ne risultera’.
    Attualmente, personalmente penso che siamo in stallo, e anzi che gli avvenimenti concreti di globalizzazione e “irretizzazione” ci stiano scavalcando alla grande, anche se non riesco a capire cosa ne verra’ fuori (e forse cosi’ si dorme meglio).

    Ad un certo punto ci si rende conto che tutto quello che prima pareva ovvio, non vale ne’ funziona piu’, e per quanto logico e sensato, non serve piu’ nel nuovo contesto. E’ successo all’inizio del secolo scorso, e poco dopo, con la prima guerra mondiale, ad esempio, che ha sancito il passaggio dalla civilta’ contadina a quella industriale e urbanizzata.

    Ogni epoca tende a reagire, anche con violenza, a cio’ che la precedente dava per scontata. E’ la storia che e’ andata cosi’ almeno nell’ultimo millennio. Il difficile e’ capire in anticipo a quale aspetto della epoca precedente si abbia la reazione violenta.

  • firmato winston diaz

    In altre parole, per convincere onestamente il pubblico televisivo sarebbe necessario un discorso molto piu’ complesso (e anche MOLTO piu’ opinabile).
    Nel frattempo quel grande attore e raccontatore di bazellette che e’ Grillo (o Berlusconi, o, un po’ meno, Bersani) si portano via tutto l’elettorato.
    Evidentemente bisognerebbe studiare l’arte della retorica, prima che Rothbard e Mises. Arte che prevede soprattutto la capacita’ di anticipare i ragionamenti dell’avversario per contrastarlo meglio. Su questo direi che non ci siamo proprio.

    • firmato winston diaz

      Non e’ una critica a Facco, che sicuramente cerca con la massima buona volonta’ di farlo, solo che appunto cambiare il paradigma in qqesto paese come mi pare dicano altri nei commenti sopra, e’ un’impresa decisamente da superman. Peraltro, dopo quest’ultimo ventennio, e con la ciliegina sulla torta che sono stati i “liberisti” Monti e Giannino, la finestra “buona” direi che si e’ proprio chiusa.

  • Giovanni Birindelli

    Il fatto che le imposte siano non volontarie e quindi una forma di coercizione non sottintende nessun assunto non condiviso da tutti. L’assunto non condiviso da tutti (soprattutto da coloro che non hanno letto i filosofi ed economisti liberali) è che questa forma di coercizione (le imposte) siano illegittime (anche se legali) e che producano miseria, anche e soprattutto per coloro che sono economicamente più fragili. Ma il fatto che le tasse siano una forma di coercizione non è meno incontestabile e oggettivo del fatto che 1+1=2.

    • firmato winston diaz

      Vaben, lasciamo perdere.

      • firmato winston diaz

        Quanto detto sopra anche secondo me e’ vero, solo che cosi’ non serve praticamente a nulla.

        • firmato winston diaz

          Anche la proibizione dell’omicidio e’ una coercizione, se non sbaglio.

  • firmato winston diaz

    “Le imposte, infatti, sono oggettivamente una forma di coercizione e quindi di violenza”

    Oggettivamente?
    Oggettivamente solo per una certa parte dei soggetti gia’ convinti di questo.
    Cioe’ soggettivamente.
    Forse e’ meglio partire da qua, la differenza fra oggettivo e soggettivo.
    Preso atto, poi si puo’ passare a cercare di convincere gli increduli della maggiore opportunita’ della soggettivita’ interpretativa che si preferisce, in un nuovo intero paradigma da discutere assieme.
    Senno’ il ragionamento, piu’ che inutile, e’ assente, e puo’ solo finire a bastonate, con vincitore chi bastona piu’ forte.
    Loro sono piu’ forti, perche’ sono tanti di piu’.
    Del resto proporre un nuovo paradigma e’ quello che cerca di fare Leonardo Facco, mi pare, il problema e’ che ribaltare un gia’ esistente intero paradigma interpretativo appunto del tutto soggettivo in chi ne possiede gia’ uno di completamente formato e ormai inconscio, e’ difficile se non impossibile, specialmente se non si tiene conto del tipo di difficolta’ che si ha di fronte.
    La mia impressione e’ che Facco lo invitino con lo stesso intento con cui invitavano Casarini, cioe’ dimostrare la pochezza delle ragioni dell’avversario: quando dice che le tasse sono un furto, non ci vuole grande immaginazione per mettersi nella testa e capire cosa ne puo’ pensare uno che e’ gia’ convinto che gli evasori sono ladri da galera e che l’evasione e’ il problema n.1 dell’italia, cioe’ la stragrande maggioranza della popolazione, quando per evasore essa intende l’altro da se stessa. ;)

    Ecco, magari portare dati sull’evasione effettiva in europa dopo una accurata revisione di quelli esistenti sarebbe forse utile, poi si puo’ andare avanti.

    Sarebbe ad esempio da approfondire come viene misurata l’evasione all’estero, ci sono paesi dove il registratore di cassa, lo scontrino fiscale e la fattura obbligatoria intesa come documento con valore di prova legale non esistono (per non parlare di quel vecchio arnese da unione sovietica che era il passaporto interno per le merci, la “bolla di accompagnamento”, vi ricordate?), mi sapete dire come fanno la’ a misurare l’evasione con lo stesso puntiglio con cui si fa qua in italia, per cui ai controlli della finanza risulta che il 99 per cento dei contribuenti e’ infedele?
    Una certa misura di evasione, ad esempio per i lavori marginali, e’ fisiologica, anche in francia e olanda (riporto due paesi che conosco indirettamente) per i piccoli lavori e le piccole attivita’ marginali il nero e’ la regola, eppure il fenomeno dell’evasione non e’ nemmeno considerato esistente, non dico un problema.
    In germania, col mini job da 420 euro quasi completamente esentasse il lavoro nero e’ stato addirittura sostanzialmente legalizzato (e li’ ce ne sono 7.500.000 di tali contratti, cioe’ un ragguardevole percentuale del totale)

    Peraltro in Italia c’e’ una molto maggiore prevalenza di lavoro marginale (al sud ad esempio), un carico fiscale complessivo estremamente alto e sempre in aumento (il piu’ alto del mondo, per chi paga tutto), una burocrazia che rende difficilissimo se non vietato lavorare in regola e non di nascosto, nonche’ infine dei costi per la gestione della complicatissima contabilita’ ai fini fiscali, pensata per grandi e grandissime aziende ma imposta anche ai piccolissimi individuali, che sono improponibili per i piccoli guadagni, in quanto da soli, questi costi di gestione, li superano.

    Queste sono le cose che si possono discutere, a meno che non si preferisca che le tasse, essendo impagabili nella loro interezza per i tanti motivi detti sopra, siano davvero un furto, talmente smaccato che ad un certo punto il “quarto stato” si ribellera’. Ma il problema e’ che il “quarto stato” si sta gia’ ribellando, ma in nome di un ancora maggiore carico fiscale, in particolare ai “ricchi”, attraendo cosi’ alla sua stessa condizione di “quarto stato” una sempre maggior fetta della popolazione.

    E’ anche per questo che ogni tanto vi chiamo scherzosamente “liberisti di geova”. Credete che la vostra sia l’unica verita’. Magari… ;)

    • Giovanni Birindelli

      Le imposte sono oggettivamente una forma di coercizione e di violenza perché non sono volontarie: se lei non le paga arriva la cartella esattoriale, se lei non paga quella prima o poi arrivano gli agenti dello stato con le pistole. Crollata la premessa del suo discorso, crolla tutto il resto.

      • firmato winston diaz

        Io ne sono convinto, il problema e’ convincere gli altri, soprattutto convincerli che questa e’ l’unica violenza possibile e tolta questa viga la pace universale. In altre parole convincerli che la coercizione detta sopra non sia una violenza necessaria in risposta ad un’altra peggiore violenza. (e’ questo che pensano, anche se non sempre lo esprimono in modo cosi’ chiaro, ma spesso, tutto sommato, si’, per chi vuole intendere).

        “Le imposte sono oggettivamente una forma di coercizione e di violenza perché non sono volontarie”

        Questa frase sopra sottende tutta una serie di assunti che purtroppo non sono condivisi da tutti o, come detto sopra, privilegiano un “male minore” che noi rifiutiamo, allo stesso modo in cui critichiamo negli altri, di riconoscere. E’ corretta solo nei nostri schemi di pensiero, non in quelli di tutti. Nei nostri che condividiamo col Berlin l’opinione che le liberta’ piu’ importanti siano quelle negative. Ma il semplice fatto che ci sia questa definizione, di liberta’ negativa, dimostra che c’e’ quell’altra dall’altra parte, la positiva, e che difficilmente potremo avere l’una senza l’altra.
        Nel momento in cui si definisce una legge, si definisce anche la sua violazione, cioe’ si crea il reato. Prima nessuno dei due esisteva.

        IMises e Rothbard avevano una capacita’ di persuasione verso il loro paradigma intellettuale (come a ben altro livello, almeno finora, ebbe quell’altro fondatore di religioni, quel certo Marx) che noi non abbiamo. Assomigliamo a quei legnosi che cercano di far ridere riportando una barzelletta sentita raccontare da altri, invece artisti nel loro genere. Facciamo ridere solo quelli che hanno gia’ ascoltato l’originale, e se lo prefigurano nella loro immaginazione.

      • firmato winston diaz

        En passant, l’incapacita’ di riconoscere le ragioni soggettive, credendole oggettive, e’ la stessa che fa si’ che, raggiunta con la posizione di potere una nuova situazione soggettiva, trasformi chi sperimenta il suddetto cambiamento di prospettiva, da governato a governante, facendogli fare gli stessi presunti errori che facevano quelli prima di lui.
        Il fatto che i politicanti una volta raggiunta Roma, qualsiasi cosa abbiano detto prima, si trasformano e diventano tutti uguali, dovrebbe far pensare, e indurre a porsi la domanda, “perche’ fanno tutti cosi’?” (evitando le risposte piu’ semplicistiche, evidentemente se fan tutti cosi’ ci deve essere una ragione piu’ profonda di quella che induce alla facile, e autoconsolatoria, risposta, cioe’ che siano solo dei cialtroni)

        • fabio

          Perché è proprio così che il giocattolo è studiato e predisposto per funzionare, è scolpito sulla pietra angolare dello Stato, chiamata Sacra Costituzione Italiana, che non c’è alcun vincolo di mandato tra elettori ed eletti.

          Lo fanno passare per formula a protezione del popolo, in modo che i potenti non mandino qualcuno che allo scoperto sia dichiaratamente ai loro ordini, mentre è proprio quello che accade mentre quella regola serve solo a prendere in giro gli elettori .

          Lo Stato non ha difetti, funziona alla perfezione ed a meraviglia e la quotidianità non fa che confermarlo!

      • Albert Nextein

        Esatto. Questa è la sintesi.

  • Liberty Defined

    Concordo pienamente con quanto scritto nell’articolo, credo che Facco faccia benissimo ad andare in tv e sopratttutto che abbia la capacità di insinuare il dubbio in molti “addormentati”…..

  • Antonio Belmontesi

    Il Liberale, nel mondo in cui si trova a vivere, è un portatore di idee politiche e sociali di radicale cambiamento, un rivoluzionario.

    Egli non può accontentarsi di ragionare secondo una logica di second best, elaborando proposte che, prendendo atto delle difficoltà di scardinare un sistema ormai troppo radicato, mirino a delle soluzioni liberali di ripiego.
    Egli deve ogni volta smontare i pezzi di una costruzione consolidata e ricostruirsi le basi dalle quali far scaturire le sue posizioni.
    Ma questo richiede un tempo di argomentazione di gran lunga superiore a quello dei suoi interlocutori.

    Quindi, sono perfettamente d’accordo con Birindelli sul fatto che in una discussione, in un convegno, in un salotto e soprattutto in una tavola rotonda televisiva, il Liberale si trovi in una situazione di svantaggio.

  • Gian Piero de Bellis

    Per fare passare le proprie idee io suggerirei due accorgimenti:
    1) non presentarsi come liberale o libertario ma come essere umano razionale, amante dell’umanità (cosmopolita)
    2) non parlare mai di tasse (il loro tema) ma di servizi (quello di cui loro non vogliono mai parlare).
    In sostanza, uscire dalle categorie e dai temi imposti dal potere è la maniera migliore per stimolare tutti a ragionare sui fatti (non sulle ideologie).
    E invece si continua con: destra-sinistra, pubblico-privato, liberali-socialisti, ecc. ecc. Insomma, nulla di nuovo almeno dai tempi dei guelfi e dei ghibellini e dei bianchi e dei neri.

    • Giovanni Birindelli

      Grazie Gian Piero per il commento. Se al termine “liberale” viene dato il significato che ho premesso in questo e altri articoli, credo che l’accostamento della contrapposizione “destra-sinistra” a quella “liberali-socialisti” sia sbagliata e anzi opposta alla realtà dei fatti.

      La contrapposizione “destra-sinistra”, infatti, è una contrapposizione di interessi e di gusti fra persone che condividono, consapevolmente o meno, la stessa identica idea filosofica di legge: il positivismo giuridico (la “legge” intesa come provvedimento particolare, come decisione dell’autorità, come strumento di potere). Indipendentemente da ciò che affermano, tutti coloro che sono di “destra” o di “sinistra”, si battono contro il libero mercato in quanto il positivismo giuridico è di per sé incompatibile con esso. La contrapposizione “destra-sinistra” è la messinscena che serve a mantenere in piedi l’ideologia collettivista in epoca moderna. I fatti concreti sono la svalutazione della moneta, la distorsione dei processi di mercato, la crisi, l’impoverimento.

      Viceversa, la contrapposizione “liberali-collettivisti” è una contrapposizione di ideologie. Il liberale, almeno nel modo in cui lo intendo io, vede la legge come principio generale e astratto (a seconda dei punti di vista, risultato di un processo evolutivo di selezione culturale di usi e convenzioni di successo oppure insito nella natura stessa dell’uomo), in ogni caso come limite al potere non stabilito dall’uomo e non modificabile arbitrariamente dall’uomo. In altre parole, mentre per il collettivista è la legge a orbitare attorno all’autorità (a derivare da essa), per il liberale è l’autorità a orbitare attorno alla legge (cioè a derivare da essa “non nel senso che l’autorità viene costituita in base alla legge ma nel senso che l’autorità richiede obbedienza perché (e fino a quando) applica una legge che si presume esista indipendentemente da essa”, Hayek).

      Questa idea di legge, quella del liberale, è antitetica a quella che condividono sia quelli “di destra” che quelli “di sinistra”, e, anche se è l’idea originaria di legge, oggi in essa c’è molto di nuovo in quanto la quasi totalità delle persone, indottrinate a dovere dallo Stato totalitario, intendono per “legge” quello che quest’ultimo ha fatto in modo che intendessero (la “legge” positiva, quella che rende il potere politico illimitato) così che continuassero il teatrino.

      Personalmente non sono affatto d’accordo sul fatto che sia opportuno “ragionare sui fatti e non sulle ideologie”. Inoltre sono convinto che, anche volendolo, ciò non sia possibile.

      Pensiamo, per esempio, alla stampa di moneta fiat da parte delle banche centrali oppure alla riserva frazionaria, cioè ai due indiscussi pilastri dei sistemi monetari e creditizi di tutti i paesi, indipendentemente dal fatto che che ci siano governi di “destra” o di “sinistra”. La Scuola Austriaca di economia dimostra in modo inconfutabile* (ed è per questo che non viene insegnata in praticamente nessuna università) che l’espansione monetaria e del credito resa possibile dalla stampa di moneta fiat e dalla legalizzazione della riserva frazionaria è all’origine di fatti molto concreti quali la crisi dell’euro, la crisi economica, Cipro, il Monte dei Paschi di Siena, La famosa casalinga di Voghera che non riesce a tirare avanti, eccetera.

      Tuttavia, la legalizzazione della stampa di moneta fiat e della riserva frazionaria non sono altro che privilegi (nel primo caso viene concesso alle banche centrali il privilegio della contraffazione, nel secondo caso viene concesso alle banche commerciali il privilegio dell’appropriazione indebita). E questi privilegi sono stati resi possibili dal positivismo giuridico, condiviso dalla “destra” e dalla “sinistra”. Qui c’è il legame fra fatti concreti e ideologie: l’ideologia del positivismo giuridico, consente questi privilegi e di conseguenza i fatti concreti che ne derivano: crisi, impoverimento, ecc.. Viceversa, se si adottasse l’ideologia liberale (la legge intesa come principio), questi privilegi non sarebbero possibili e di conseguenza i fatti sarebbero altri: le migliori possibilità di crescita e prosperità. Quindi tra fatti concreti e ideologia (per esempio fra crisi economica e filosofia del diritto di riferimento) c’è uno stretto legame causale.

      Anche se si volesse fare a meno dell’ideologia credo che ciò non sarebbe possibile senza abbandonare il concetto stesso di legge (e cioè senza diventare bestie): spesso chi crede di essere una persona pratica e non ideologica (o addirittura anti-ideologica) in realtà sta adottando a sua insaputa un’ideologia (un’idea filosofica di legge) che gli è stata imposta da altri: non parlo di te, naturalmente, ma di coloro che, all’interno del quadro istituzionale esistente, pensano che concentrarsi solo sulle cose concrete, senza anche pensare alle questioni ideologiche, sia la via da seguire per uscire dalla crisi.

      (*) col termine “inconfutabile” intendo che non può essere confutato coerentemente, cioè mantenendo coerenza fra macroeconomia e microeconomia; e fra queste, cioè fra la scienza economica vista nel suo complesso come lo studio dell’azione umana, e l’idea filosofica di legge che limita questa azione.

      PS. Per il resto della giornata non avrò probabilmente accesso a internet. Quindi mi scuso in anticipo per il ritardo con cui risponderò a eventuali risposte/altri commenti.

      • Gian Piero de Bellis

        Giovanni, noto che hai dovuto impiegare parecchie parole per spiegare la tua posizione, differenziando destra da liberali (cosa che se entri ad esempio nella pagina Facebook del Tea Party non è affatto scontata). E il bisogno di chiarire troppe cose porta, come giustamente sostieni nel tuo articolo, ad essere svantaggiati in partenza rispetto ad altri che parlano di aria fritta ma comprensbile a tutti.
        L’unico punto comunque che mi interessa sottolineare nella tua replica è che tu identifichi l’assenza di ideologie con l’assenza di idee; questo è un po’ come associare assenza dello stato e assenza di qualsiasi tipo di servizi e di organizzazione sociale.
        Questo è solo un esempio per far vedere come noi utilizziamo spesso temi e categorie proprie del potere (lo stato) per essere davvero alternativi al potere.

        • Giovanni Birindelli

          Il fatto che non sia riuscito a illustrare la mia posizione con meno parole io lo leggo come la combinazione di due fattori: la mia incapacità di sintesi (confermata dalla lunghezza di questa risposta) e, metaforicamente, il fatto che spiegare la caduta di un grave in base alla fisica newtoniana quando tutti danno per scontata la fisica aristotelica richiede più tempo che spiegarla in base alla fisica aristotelica quando tutti (di “destra”, di “sinistra” e altro) danno per scontata quest’ultima, senza nemmeno porsi il problema se sia la il Sole a orbitare attorno alla Terra o viceversa.

          Io non identifico l’assenza di ideologie con l’assenza di idee. Al contrario, affermo che non è possibile, consapevolmente o meno, aderire a una particolare idea filosofica di legge (e quindi a una particolare ideologia), anche quando si difende un approccio strettamente pragmatico. Insieme ai liberali/libertari, ritengo che l’ideologia, cioè la tendenza verso un sistema coerente di idee astratte, sia fondamentale e che ci sia un legame fra l’ideologia (e in particolare fra l’idea astratta di legge che limita l’azione umana) e i risultati concreti e reali (la possibilità stessa e il successo di quell’azione).

          L’ideologia liberale e libertaria, nei limiti in cui è coerente, è proprio quella che va contro l’associazione a cui ti riferisci tu fra assenza dello stato e assenza di qualsiasi tipo di servizi di organizzazione sociale. Tutta la teoria della conoscenza e del mercato inteso come ordine spontaneo (catallassi), e cioè come risultato inintenzionale dell’interazione e degli scambi volontari e legittimi fra gli individui, è tesa a dimostrare proprio l’assurdità di questa associazione (assurdità che è riscontrabile empiricamente in ogni momento: basti guardare internet ad esempio). Non credo che questo concetto possa essere espresso meglio di come ha fatto Bastiat quando ha scritto: “I nostri avversari ritengono che un’attività che non sia né aiutata da sussidi, né regolata dal governo, sia un’attività distrutta. Noi pensiamo il contrario. […]. Il Signor Lamartine disse: “in base a questo principio dovremmo abolire le mostre pubbliche, che sono l’onore e la ricchezza di questo paese”. Ma io risponderei al Signor Lamartine: “in base al suo modo di pensare, non sussidiare significa abolire; infatti, partendo dal presupposto che nulla esista indipendentemente dalla volontà dello Stato, Lei conclude che niente vive tranne ciò che lo Stato fa vivere. Ma io oppongo a questa asserzione lo stesso esempio che ha scelto Lei, e la prego di notare che la più grandiosa e nobile delle esposizioni, quella che è stata concepita nello spirito più liberale e universale (e potrei anche utilizzare il termine umanista, in quanto non sarebbe un’esagerazione) è l’esibizione che viene adesso preparata a Londra; l’unica in cui nessun governo ha parte alcuna, e che non è finanziata dalle tasse” (credo si riferisse all’esposizione inglese del 1851 in cui furono mostrate le conquiste della prima rivoluzione industriale).

          Riferirsi all’idea di legge intesa come principio generale e astratto non vuol dire utilizzare temi e categorie del potere ma utilizzare temi e categorie che sono antitetici al potere e allo stato moderno (cioè totalitario): infatti l’idea di legge intesa come principio limiterebbe un potere (quello politico) che oggi è illimitato grazie al fatto che l’idea di legge imposta dallo stato è quella opposta (lo strumento di potere invece che il limite al potere). Personalmente credo nello stato minimo in quanto ritengo che sia possibile definirlo in modo non arbitrario e compatibile con la legge negativa e con la libertà intesa come assenza di coercizione illegittima. Tuttavia, l’idea di legge intesa come principio è perfettamente compatibile anche con l’assenza di stato (si veda Rothbard). Il problema su cui concentrarsi, a mio parere, non è stato si/stato no, ma quale idea di legge: il resto viene da sé. La legge intesa come principio porterebbe necessariamente a uno stato minimo e, via via che le persone imparano l’arte della libertà, potrebbe portare anche allo stato nullo, a cui in ogni caso è necessaria.

          • Giovanni Birindelli

            errata corrige: “Io non identifico l’assenza di ideologie con l’assenza di idee. Al contrario, affermo che non è possibile, consapevolmente o meno, NON aderire a una particolare idea filosofica di legge…”

  • Albert Nextein

    Ogni qualvolta sia possibile, è un bene se voci libertarie si presentano in Tv, o alla radio.Anzi, io mi chiedo se esista una radio filo-libertaria in italia.
    Una radio via internet, una radio digitale.

    Leo Facco fa bene in Tv.
    Si tratta di una scelta individuale , quella di far conoscere alla gente un punto di vista alternativo.
    Mi chiedo quanti siano i libertari disposti e preparati per salotti para-politici ove propagandare le idee libertarie.
    Preparazione, faccia tosta, combattività, tecnica oratoria e di recitazione.
    Fossi io, farei affermazioni stringate e brutali, risposte sintetiche all’osso.
    Tutte cose che sollecitano nel conduttore richieste di chiarimenti, ed interesse negli altri partecipanti.
    Si crea il personaggio.
    Sintesi estrema, affabilità, risolutezza, brutalità cortese.

    La gente ritiene solo urli, litigi, sterili ed insensati battibecchi, senza capirne le ragioni.
    La gente è mediamente ignorante.

    Occorre iniziare dall’ABC.
    Ecco , un libertario del genere, semplice , quasi ultimativo e brusco, ma inoppugnabile nei contenuti, sarebbe un bel vedere.
    E altrettanto interessante sarebbe notare le reazioni di tutti quei paperi starnazzanti degli altri invitati alla trasmissione.

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