La protezione non può accrescere la ricchezza di un soldo, diceva Bastiat; e lo stesso vale per la spesa statale.
Da qualche anno – almeno dai tempi del piano europeo di salvataggio per la Grecia – circola in rete una storiella; ne riporto di seguito una delle tante versioni in circolazione:
“Sono tempi duri, il paese è indebitato, tutti vivono a credito… Ad un certo punto, arriva un turista tedesco. Ferma la macchina davanti all’unico albergo ed entra. Posa 100 euro sul bancone della reception e chiede di vedere le camere per sceglierne una. Il proprietario gli dice di scegliere quella che più gli aggrada. Appena il turista è sparito su per le scale, l’albergatore prende i 100 euro, corre dal macellaio e paga il debito che aveva con lui. Il macellaio va immediatamente presso l’allevatore di maiali al quale deve 100 euro e regola il suo debito. L’allevatore, a sua volta, corre a pagare la sua fattura presso la cooperativa agricola che gli procura gli alimenti per gli animali. Il direttore della cooperativa si precipita al pub per saldare il suo conto. Il barman, dà il biglietto alla prostituta che gli fornisce i suoi servizi a credito da un bel po’. La ragazza, che usa a credito le camere dell’albergo con i suoi clienti, corre a regolare i conti con l’albergatore. L’albergatore posa il biglietto sul bancone della reception dove il turista lo aveva posato. Dopo un po’, il turista scende le scale e annuncia che non ha trovato una camera di suo gusto, per cui riprende il suo biglietto da 100 euro e se ne va… Nessuno ha prodotto nulla, nessuno ha guadagnato nulla, ma nessuno più è in debito e il futuro sembra molto più promettente… E’ in questo modo, Signore e Signori, che funzionano i piani di salvataggio a beneficio dei Paesi dell’Europa in difficoltà!”.
Tralasciando le possibili obiezioni alla storiella, che resta appunto una storiella, dirò in tutta sincerità che la considero comunque interessante; in primo luogo, perché rappresenta in maniera molto semplice un sistema economico; ipotetico, piccolo, ma comunque un sistema economico; e lo rappresenta in maniera “dinamica” – esattamente come sono i sistemi economici – e quindi meglio di tanti altri “modelli” fatti di curve di offerta e domanda (quando non sono curve IS-LM o AD-AS) sempre troppo “statici”.
Si dirà: “Questo non è un modello, è solo una storiella, non esiste nessuna equazione o curva o altro che lo ‘formalizzi’ ”.
Se proprio si ha bisogno di una “formula”, eccovi accontentati; basterebbe utilizzare l’equazione degli scambi (o di Fisher): MV = PT
La moneta iniziale (M = 100) è stata scambiata 6 volte, (V = 6), “producendo” scambi per 600 euro, 6 scambi (T = 6) ognuno da 100 euro (P = 100).
Teniamo a mente questa formula, perché ci servirà in seguito.
Inoltre trovo interessante questa storiella, per l’oggetto di questo articolo, proprio per l’apparente capacità dei 100 euro iniziali di “rimettere in moto l’economia”.
“Il denaro messo a disposizione da un piano di salvataggio (o da spesa pubblica in generale) – direbbero molti- costituisce un aumento di domanda esogena (per usare il lessico degli economisti), e questa, come si sa, moltiplica gli scambi”.
E molti potrebbero trovare una conferma a questa idea proprio in questa banalissima storiella:
100 euro “aggiunti” al sistema economico hanno “prodotto” 600 euro di scambi; quindi hanno moltiplicato per 6 la moneta aggiuntiva.
Ma in realtà, i piani di salvataggio (o la spesa pubblica in generale), fornendo moneta “aggiuntiva” non fanno nulla di diverso da quanto fa qualsiasi quantitativo di moneta: servirà da “mezzo di pagamento”.
Quello che è “eccezionale” nei piani di salvataggio è caso mai come viene ottenuta quella moneta aggiuntiva; ma su questo torneremo poi.
Tornando alla storiella, gli scambi non sono stati “prodotti” dalla moneta, né tanto meno sono stati da questa “moltiplicati”.
Bisogna innanzitutto far notare che le merci e servizi di questo “mini-sistema economico” erano già stati scambiati, senza bisogno di moneta, ma a credito; e nulla può far pensare – tranne l’inventore della storiella – che l’economia fosse “bloccata”, che gli scambi non potessero continuare allo stesso modo, o che quelli fatti precedentemente non potessero essere regolati diversamente, senza bisogno dei 100 euro di “domanda aggiuntiva esogena”, magari con un sistema di compensazioni, magari con “altra moneta” (reale o fiduciaria).
Diciamo poi che la “moltiplicazione” non è una moltiplicazione, visto che è solo una “conta” degli scambi effettuati contro moneta in un dato tempo.
Inoltre quel “moltiplicatore” uguale a 6 è tale proprio perché l’inventore della storiella “l’ha disegnato così”; quei 100 euro avrebbero potuto fare 1, 2, o 8 o 10 “passaggi di mano”; allora avrebbero “moltiplicato” per 1, 2 o 8 o 10 volte la cifra iniziale. Ma questo non sarebbe dipeso dalla quantità di moneta iniziale introdotta.
In definitiva, la “moltiplicazione” dei capitali o degli scambi risiede in realtà nelle caratteristiche del sistema economico stesso, non nella moneta che serve come “mezzo di pagamento”.
In apertura ho riportato il brano del vangelo che racconta della moltiplicazione dei pani e dei pesci; mi è sembrata un’immagine adeguata, visto che da oltre un secolo si è andata diffondendo la convinzione che lo Stato, come un novello Dio sceso in terra, possa operare le stesse meraviglie (o “segni prodigiosi”, usando un lessico “apocalittico”): moltiplicare la ricchezza, vincere la povertà.
Questa convinzione, che non ha niente di nuovo, è diventata quasi certezza da quando un nuovo profeta, John Maynard Keynes, è giunto ad annunciare la buona novella, facendo conoscere al mondo il Paraclito: il Moltiplicatore.
Leggo spesso di molte critiche alle politiche keynesiane, e quindi al moltiplicatore, ma non sono mai riuscito a trovare qualche scritto che cercasse di smontare le tesi keynesiane partendo dal suo fondamento, il moltiplicatore stesso, e “attaccandolo” matematicamente.
So di qualcuno che ogni tanto ha l’ardire di sostenere – che temerari, che impavidi – che il moltiplicatore… in realtà non “moltiplica come si crede”. Ma tutto finisce lì.
Non saprei bene a cosa imputare questa “mancanza”. Forse molti anti-keynesiani scontano questa “colpa”: alcuni di loro sono piuttosto scettici (per non dire critici o apertamente contrari) riguardo all’uso della matematica in economia; rifiutano la matematica, la ritengono inutile, persino quella che potrebbe giudicare la matematica – o pseudo-matematica come vedremo – del moltiplicatore.
Ritengo questo un grande errore. In primo luogo, se qualcuno fa un cattivo uso della matematica in qualche disciplina, non è certo colpa della matematica, e non è detto che non se ne possa fare un uso migliore. Inoltre, il miglior strumento per scoprire quando la matematica viene usata male, o a sproposito, è proprio la matematica stessa.
Per fare un esempio, il sistema degli epicicli su cui si fondava la teoria tolemaica (che poneva la Terra al centro dell’Universo) era matematica; una matematica spesso complicatissima – e probabilmente proprio per questo, inintelligibile e quindi inattaccabile. Ma chi è riuscito a “distruggerla” ha fatto sempre uso della matematica; non l’ha rifiutata, dedicandosi magari a oroscopi e tarocchi.
La domanda è quindi questa: è possibile “attaccare” il moltiplicatore di keynes attraverso la matematica? Vorrei fare questo tentativo.
Ben inteso, io non sono un esperto economista, né tanto meno un esperto matematico.
Ma quel poco di economia che so – e quel poco di matematica che conosco – è stata sufficiente per farmi dire “non posso prendere sul serio gli economisti che prendono sul serio il moltiplicatore di Keynes”.
Il moltiplicatore di Keynes, va detto, è stato in realtà ideato da un suo allievo, Richard Kahn, che lo utilizzò come “moltiplicatore dell’occupazione”; Keynes lo fece proprio nella celebre Teoria Generale facendone il “moltiplicatore degli investimenti”.
Nelle opere originali in cui, Kahn prima, e Keynes poi, fecero uso del loro moltiplicatore non ci sono molti dettagli che descrivano come questo venga ottenuto. Non conosco tutta la “letteratura” sull’argomento; non saprei quindi dire se Keynes, o Kahn, in qualche altro loro scritto successivo, spiegassero nel dettaglio la costruzione del moltiplicatore; io mi servirò di quello che viene spiegato in qualsiasi testo di macroeconomia – che non può ovviamente esimersi dal trattare questo argomento.
Citiamo da uno di questi testi, semplificando o riassumendo alcune parti:
Consideriamo un sistema economico; indichiamo con Y la produzione di beni e con Z la domanda; quest’ultima può essere scomposta in consumo e investimenti, quindi Z = C + I.
L’equilibrio nel mercato dei beni richiede che la produzione sia uguale alla domanda, quindi:
[1] Y = Z [2] Y = C + I
Ogni individuo ha a disposizione un certo reddito Y, e, attraverso la propria propensione marginale al consumo c, deciderà di consumare:
[3] C = cY
Ovviamente questa equazione potrà valere per l’intero sistema e in questo caso sarà la propensione marginale al consumo media.
Sostituendo l’equazione [3] nella [2] abbiamo:
[4] Y=cY + I
“Da questa si ottiene” l’equazione:
[5] Y=1/(1 – c) IIl coefficiente di proporzionalità 1/(1 – c) è appunto il moltiplicatore keynesiano.
Portando alle differenze questa equazione si ha
[6] ΔY=1/(1 – c) ΔIQuesta è l’espressione normalmente usata dalla teoria del moltiplicatore. “Essa afferma che l’incremento del reddito è dato dal moltiplicatore per l’incremento degli investimenti.”
Questa “moltiplicazione” del reddito è ottenibile per ogni tipo di domanda esogena, non solo per quella da investimenti. La moltiplicazione del reddito si può quindi ottenere anche con un aumento esogeno da spesa pubblica.
Tutto bene, quindi. La formula è stata ottenuta matematicamente, quindi deve essere vero che qualsiasi aumento di domanda può “moltiplicare” il reddito.
Riprendendo dal “testo”…. Se la propensione marginale al consumo è per esempio pari all’80% (propensione al risparmio del 20%) il moltiplicatore risulta uguale a 1/0,2 = 5.
Perciò se gli investimenti aumentano di 100 miliardi, il reddito aumenterà di 500.
Facciamo una prima semplice osservazione: come in effetti si fa notare nei testi di macroeconomia, “più alta sarà la propensione al consumo (o in maniera equivalente più bassa la propensione al risparmio), più alto sarà il moltiplicatore”.
Non ci è dato sapere quale “ricetta macroeconomica particolare” utilizzino i nostri governanti, ma si può essere quasi certi che qualcuno abbia provato ad applicare, e molto spesso, questa follia: “aumentiamo le tasse per aumentare la spesa e al tempo stesso faremo diminuire la propensione al risparmio, aumentando il moltiplicatore, così l’effetto moltiplicatore della spesa sarà ancora maggiore”.
Questo potrebbe portare ad una ricetta estrema (o estremamente folle): se si riuscisse a portare la propensione al consumo a 1, ovvero se la gente non risparmiasse nulla del reddito disponibile, allora il denominatore andrebbe all’infinito. Avremmo una moltiplicazione infinita di capitale anche per il più piccolo capitale aggiuntivo.
Troppa grazia! Altro che moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Generalmente i testi di macroeconomia non si perdono in “particolari matematici” su come venga ottenuto il moltiplicatore; per sapere qualcosa di più su come “nasce”, occorre leggere nelle “note”.
Leggiamo appunto, riportando fedelmente dal “testo”:
“Il processo attraverso il quale ciò si verifica è il seguente. Gli investimenti addizionali di 100 miliardi rappresentano un aumento di spesa, e quindi di reddito, di 100 miliardi. I percettori di questo reddito addizionale aumenteranno allora i propri consumi nella misura di 80 miliardi (pari all’80% dell’incremento del reddito). L’incremento della domanda per consumi si trasformerà in un nuovo incremento di reddito per 80 miliardi. Ma, a sua volta, questo reddito aggiuntivo provocherà un nuovo aumento di consumo (di 64, cioè dell’80% del reddito aggiuntivo). Ne seguirà un nuovo aumento di reddito e così via. In definitiva, l’incremento di reddito, innescato dall’iniziale spesa di 100 miliardi in investimenti aggiuntivi, sarà :
ΔY = 100 + 80 + 64 + … = 100 + 100(0,8) + 100(0,8)2 + 100(0,8)3 + …
Come si vede, l’aumento del reddito risulta dalla somma di una serie geometrica di ragione 0,8 che, come è noto, converge verso il valore di 100*1/(1-0,8) = 500, uguale al valore calcolato sopra applicando direttamente la formula del moltiplicatore.
Più in generale, indicando con ΔI l’aumento degli investimenti e ricordando che c è la propensione marginale al consumo, si può ripetere il ragionamento appena esposto nell’esempio per arrivare a mostrare che:
ΔY = ΔI+ cΔI + c2ΔI + … = (1 + c + c2 + …)ΔI = 1/(1-c) ΔI
e ritrovare quindi la formula del moltiplicatore”.
Tutto apparentemente corretto, apparentemente.
In primo luogo, occorre far notare che quel valore “finale” non viene raggiunto subito; per gli economisti è appunto un “valore di equilibrio”. Ma quando viene raggiunto? Semplice, essendo ottenuto da una serie infinita, verrà raggiunto dopo infiniti passaggi. Un equilibrio.. ma “di lungo periodo”; verrebbe proprio da dire “ma nel lungo periodo saremo tutti morti”.
Ma non vogliamo essere così pignoli. L’effetto “moltiplicatore” si può avere anche per un numero limitato di passaggi, senza dover “arrivare all’infinito”.
Concentriamoci piuttosto su questioni più importanti.
Non è necessario conoscere cosa sia una serie geometrica per capire che, seguendo il ragionamento sopra esposto che ha “costruito” quella serie e quindi il moltiplicatore, non si è fatto altro che “seguire” il percorso dei 100 miliardi nel loro passaggio da una mano all’altra (o da una spesa all’altra), “contando” la spesa complessiva che questi hanno “prodotto”, nello stesso identico modo in cui i 100 euro della storiella iniziale “producevano” 600 euro complessivi.
Nulla è stato moltiplicato: i 100 miliardi, come i 100 euro, sono serviti come “mezzo di pagamento o di scambio” per un certo numero di scambi, ed è quindi del tutto naturale che la quantità di scambi operati siano un multiplo della quantità di moneta utilizzata.
L’equazione degli scambi MV = PT che abbiamo utilizzato all’inizio per “formalizzare” la storiella iniziale non serviva solo per accontentare qualche “formalista” (o “formulista”), io credo che l’equazione del moltiplicatore non sia altro che un riformulazione “parziale” di quella equazione: si segue una quantità di moneta (investimento aggiuntivo) in un certo numero di scambi nella loro continua “trasformazione” redditi/consumo/produzione.. ma solo lungo un certo percorso, quello del consumo che diventa nuovo consumo.
Se vogliamo ben vedere, è quasi una sfortuna che quella “conta” abbia prodotto una serie geometrica convergente – e vedremo perché nell’appendice matematica – in grado quindi di farci giungere ad un moltiplicatore finito, ad una moltiplicazione “finita”; se il ragionamento avesse invece portato – come infatti dovrebbe portare, lo si vedrà sempre nell’appendice matematica – ad una serie non convergente, ad un numero infinito, ad una moltiplicazione infinita, forse l’inventore del moltiplicatore si sarebbe accorto subito dell’assurdità insita nella sua invenzione.
Possiamo quindi giungere a questa conclusione: vedendo come è stato ottenuto il moltiplicatore possiamo già dire, senza troppa matematica, che il moltiplicatore non moltiplica proprio nulla.
(Se qualcuno volesse leggersi un po’ più di matematica, ma neanche troppa, potrà andare all’appendice matematica).
La conclusione ottenuta sarebbe già più che sufficiente per presentare una formale denuncia a carico di molti keynesiani per “abuso della credulità popolare”.
Ma sappiamo perfettamente che non si otterrebbe nulla: ogni cittadino è tenuto a conoscere tutte le leggi dello stato, ma nessuno è tenuto a conoscere le leggi economiche e della matematica; nemmeno gli economisti.
Eppure si dirà: “Ma l’aumento di ricchezza ottenuto nell’ultimo secolo è un fatto! Che cosa l’ha prodotto?”.
Ecco una domanda interessante, la cui risposta sarebbe molto complessa, ma per trovare una risposta molto semplice anche se parziale, potremmo tornare all’equazione degli scambi (o di Fisher): MV = PT
Il maggior benessere materiale di una persona (o paese o economia) è dato da quanti beni questi ha a sua disposizione, da quanti beni può consumare (o ha “accumulati” per il consumo), in pratica, utilizzando l’equazione, da quanto è grande T.
Riscriviamo l’equazione in questo modo
T = MV / P
T può quindi crescere per tre motivi, o combinazione dei tre (in realtà, non tutto quello che produce “maggior ricchezza o benessere materiale” è incluso in questa equazione; ma facciamocela bastare) :
– diminuzione dei prezzi, per aumenti di produttività;
– aumento della “velocità” di circolazione della moneta.
– aumento della quantità di moneta;
La politica ha cercato quest’ultima scorciatoia: aumentare la ricchezza aumentando la quantità di moneta a disposizione. Il risultato è il sistema economico che conosciamo da un secolo e forse più: l’Economia Falsaria.
Non mi dilungherò su questo argomento; ha preso già troppo spazio quanto detto finora sul moltiplicatore, e dobbiamo ancora passare all’appendice matematica.
Magari ci sarà occasione per parlarne in futuro.
APPENDICE MATEMATICA
Un primo errore del moltiplicatore nasce da questo fatto: si utilizzano grandezze diverse, dando loro lo stesso nome.
Nell’equazione
[4] Y = cY + Ila Y usata a destra e la Y a sinistra non sono lo stesso “oggetto”, è sufficiente pensare alla “costruzione” del moltiplicatore, descritta nella “nota” riportata sopra per intero, come “somma” dei diversi redditi provocati via via dal reddito aggiuntivo iniziale attraverso la propensione marginale al consumo.
Il reddito attuale ottenuto ad ogni passaggio è dato da quello precedente che si è deciso di consumare.
Un modo alternativo per descrivere quel percorso è attraverso questa formula:
[7] Yn = cYn-1che non è una semplice equazione, ma un’equazione di ricorrenza.
Tale equazione ha come soluzione:
[8] Yn =cne considerando una somma di n termini di questo tipo ritroviamo appunto la serie geometrica convergente che abbiamo visto generare il moltiplicatore 1/(1 – c)
Per poter utilizzare lo stesso Y nella stessa equazione dovremmo considerare anche la parte di reddito, che, non essendo consumato, diventa investimento I.
[9] Y = cY + (1-c)Y = C + Il’equazione si riduce ad una banale identità: il reddito Y si trasforma in consumo C o in investimento I, e la scelta è determinata, per le ipotesi prese, solo dalla propensione marginale al consumo; quindi quel reddito Y si scomporrà nelle due componenti cY e (1-c)Y.
E questo sarà vero per qualsiasi passaggio (ammettendo ovviamente per semplicità che i diversi redditi ridiventino altrettanto consumo e investimento “negli stessi tempi”).
A questo punto qualcuno avrà già notato l’insensatezza di una simile scomposizione in componenti C e I, ma vediamo di andare fino un fondo.
Se volessimo quindi riutilizzare il ragionamento usato per costruire il moltiplicatore dovremmo inserire anche la componente (1 – c)Y = I e seguire quanto reddito “producono” o “moltiplicano” entrambe le componenti, su n “cicli”, e al limite in un numero infinito di cicli, così come fatto nel ragionamento visto.
Proviamo a farlo:
Per maggior chiarezza (e correttezza), ogni “passaggio” sarà indicato con un indice differente:
consideriamo che il reddito iniziale sia Y0
[10] Y1 = cY0 + (1-c)Y0al passaggio successivo ogni componente seguirà la stessa “scomposizione” secondo la propensione marginale al consumo, visto che anche gli investimenti diventeranno redditi e quindi, ancora consumi e investimenti. Quindi:
[11] Y2 = cY1 + (1-c)Y1 = c cY0 + c(1 – c)Y0 + (1 – c) cY0 + (1 – c)(1 – c)Y0e raggruppando, per meglio evidenziare le diverse componenti C e I ad ogni passaggio:
[12] Y2 = c (c + (1-c))Y0 + (1 – c )(c + (1- c))Y0
o, utilizzando le seguenti sostituzioni:
c = α e (1 – c) = β , Y2 = α (α + β)Y0 + β (α + β)Y0
Questo procedimento può essere reiterato per n passaggi;
Si noti che la somma di tutti i primi termini di questa scomposizione (termine evidenziato in neretto nell’equazione 10 e 11) darà proprio la serie geometrica che genera il moltiplicatore visto sopra:
Y + c Y + c2 Y + c3 Y + …
Quella infatti considerava, o “seguiva”, solo gli “incrementi” di reddito derivanti dal consumo C dedicato nuovamente al consumo, trascurando invece le componenti che finiscono in investimenti I o che da investimenti I diventano nuovamente consumi C.
La formula generale di questa scomposizione, per il passaggio n, sarebbe
[13] Yn = α (α + β)n – 1 Y0 + β (α + β)n – 1 Y0Nell’equazione i termini a secondo membro si possono raccogliere in questo modo:
[14] Yn = (α + β) (α + β)n – 1 Y0 = (α + β)n Y0ma poiché:
(α + β) = c + ( 1 – c) = 1
ogni termine, sebbene elevato alla potenza n , sarà quindi sempre identico a Y0.
Conclusione del tutto ovvia, dato che siamo partiti da un’identità Y = C + I.
Facendo la somma di n termini di questo tipo non potremmo quindi che trovare n volte Y0.
Al limite per n che diventa infinito, proprio come si fa per la serie geometrica convergente che genera il moltiplicatore, avremo un numero infinito di Y0.
La conclusione, come detto, è del tutto ovvia, se non lapalissiana; se “seguo” una certa quantità di moneta Y0 attraverso un numero n di scambi, ma “seguendone” tutte le possibili suddivisioni, questa non potrà che “produrre” un valore nY0 di scambi. Proprio come i 100 euro della storiella iniziale “producevano” 600 euro di scambi.
Non serviva quindi la matematica per arrivare a questa conclusione, ma la matematica è servita per mostrare la pseudo-matematica su cui è fondato il moltiplicatore di Keynes.
Sarebbe molto semplice vedere che il ragionamento svolto or ora, può essere fatto in maniera perfettamente identica per la spesa statale; immaginando questa volta – per semplicità – che tutto il reddito disponibile diventi consumo, ma che una parte di reddito venga “prelevato” di volta in volta sotto forma di tasse andando a costituire la spesa pubblica.
[15] Y = tY + (1 – t)Y = S + CCon :
t = α e (1 – t) = β ,
avremo comunque
[16] Yn = α (α + β)n – 1 Y0 + β (α + β)n – 1 Y0 = (α + β) (α + β)n – 1 Y0 = (α + β)n Y0
Identico al risultato di prima, e identiche conseguenze:
La maggiore spesa pubblica non può moltiplicare proprio nulla.
Comunque i 100 euro non hanno generato scambi.Tutte le prestazioni/firniture erano avvenute in precedenza.
Con le formule si spazza via la realtà ed il tempo.
Nelle formule la creatività imprenditoriale non è minimamente tenuta in considerazione (per forza non si può descrivere quel che non è ancora stato scoperto) La continuità dinamica dei processi distribuiti ed interconnessi non consente campionature senza perdere qualcosa di rilevante. Viene così frustrato ogni tentativo di riduzione della realtà a formalizzazione in linguaggio matematico.
Nelle formule non c’è il tempo perchè tra il di qua ed il di la di un uguale non c’è differenza a nessun tempo. Il tempo oggettivo non fa la diferenza in economia. Se non ci credete chiedetelo a chi è nato o morto mentre stavate leggendo queste considerazioni. Il tempo oggettivo si può spazializzare e mettere su un grafico. In fondo lo si può ridurre a lunghezza moltiplicandolo per una costante. Il tempo soggettivo no.
In ultimo pretendere di matematizzare con qualche utilità delle variabili e solo delle variabili non è matematica ma è la dimostrazione o di mala fede o che non si è capito cos’è la matematica. In economia le variabili sono tutto perchè rappresentano l’uomo e le sue azioni in un intorno di ineradicabile incertezza.
Siete sicuri che ci alzeremo dal letto domattina?
(Ognun per se con tocco scaramantico) Matematizzatemi questo.
Bell’articolo complimenti.
non capisco granchè di matematica se non per quanto devo dare e prendere, le formule così profuse mi annoiano e la macroeconomia che nè ha bisogno per spiegare i suoi assunti improbabili, naufraga in un mare di errori davanti alla realtà impietosa della micro economia generata dalla azione umana dei singoli individui.
a spanna però, credo che il moltiplicatore keynesiano una cosa la moltiplica egregiamente, se pur con i suoi limiti matematici impliciti, è il numero di persone che si sentono intitolate alle ricchezze altrui.
forse cotanto genio dell’economia lo sapeva o forse no, di sicuro quelli che lo applicano non lo sanno, perchè non sanno usare logiche deduttive ma certe cose si possono vedere anche con altri “strumenti”..
Il moltiplicatore keynesiano non funzionera’, ma funziona benissimo il DEmoltiplicatore: quello per cui lo stato si becca il pizzo del 20-30 per cento del circolante per ogni transazione, finche’ alla fine tutti sono strozzati dal debito.
Al contrario, per Keynes il denaro che da’ lo stimolo doveva essere creato dallo Stato proprio dal nulla, mentre ora da un bel pezzo e soprattutto nell’europa dell’euro che e’ quanto di piu’ al mondo si avvicini al gold standard (si avvicini ho detto, e rispetto al resto del mondo) esiste in giro solo denaro dato a prestito a interesse, per pagare l’interesse del quale quando sta per scoppiare tutto viene creato altro denaro prestato ad interesse, in un circolo vizioso infinito, con tutti strangolati dal debito tranne pochissimi che detengono tutti i mezzi.
Cio’ che sta succedendo, cioe’ la forse ancora peggiore fallacia dei modelli europei attuali, che credevamo potessero sostituire quelli gia’ difettosi del passato, l’abbiamo davanti agli occhi. Grecie, Spagne, Portogalli quando era keynes a dettare la linea non ce n’erano proprio. Ci sara’ stata inflazione, ma non c’era crollo della produzione dal 25 per cento in su’ in pochi anni e disoccupazione del 30 per cento e oltre, valori da peste del 1347 o da guerra dei trent’anni piu’ che da 1929.
Come non quotarti.
Mi hai rubato le lettere dalla tastiera :-)
Credo che Liati abbia solo voluto fare dello humour nero.
“Sono tempi duri, il paese è indebitato, tutti vivono a credito… Ad un certo punto, arriva un turista tedesco. Ferma la macchina davanti all’unico albergo ed entra. Posa 100 euro sul bancone della reception e chiede di vedere le camere per sceglierne una. Il proprietario gli dice di scegliere quella che più gli aggrada. Appena il turista è sparito su per le scale, l’albergatore prende i 100 euro, paga l’iva e l’irpef e tassa sulle affissioni , gli rimangono 50 euro corre dal macellaio e paga la metà del debito che aveva con lui. Il macellaio va immediatamente a pagare ipref e iva con quello gli rimane da ciò che ha preso va presso l’allevatore di maiali al quale deve 100 euro e gli dà quello che è rimasto cioè 25 euro . L’allevatore, a sua volta, corre a pagare iva e irpef , tassa immondizia e paga con 12,5 euro un poco della sua fattura presso la cooperativa agricola che gli procura gli alimenti per gli animali. Il direttore della cooperativa si precipita a pagare irpef iva e imu e gli rimangono 6 euro con il quale va al pub per saldare il suo conto anzi gli dà 6 euro e resta debitore di 94 . Il barman, paga irpef e ilor gli avanzano 3 euro alla alla prostituta che gli dice ” ma per chi hai preso ? per la bussola delle elemosine ?La ragazza, che usa a credito le camere dell’albergo con i suoi clienti, corre dall’ albergatore e gli dice se le presta qualcosa per pagare le tasse .L’albergatore posa sul bancone della reception la sua testa perchè non sa come potrà pagare le imposte . Dopo un po’, il turista scende le scale e annuncia che non ha trovato una camera di suo gusto, per cui vuol riprendersi il suo biglietto da 100 euro ma non lo trova più e se la prende con l’ albergatore … Nessuno ha prodotto nulla, nessuno ha guadagnato nulla, lo Stato si è preso un po’ di soldi ma e il futuro non sembra molto più promettente… E’ in questo modo, Signore e Signori, che funzionano i piani di salvataggio a beneficio dei Paesi dell’Europa in difficoltà!”.
Oltre alle giuste considerazioni del signor Liati, credo che si possano aggiungere le seguenti:
1) La trattazione macroeconomica assume che la propensione marginale al consumo c rimanga costante – e che quindi lo faccia anche la propensione marginale al risparmio s.
2) Viene tralasciata la relazione tra I e Y, ovvero
I = sY = (1-c) Y
Ammesso e non concesso che c e s rimangano costanti – altrimenti l’equazione [6] citata dal testo sarebbe errata – si ha che:
ΔY = ΔI / (1-c) = sΔY / (1-c) = (1-c)ΔY / (1-c) = ΔY
Cioè si può avere un aumento della produzione SOLO tramite un aumento della produzione. Chi l’avrebbe mai detto?!
Tutto questo senza tirare in ballo questioni “reali” come: il ruolo degli investimenti e dei risparmi; la differenza tra politici e imprenditori; etc. Tutte cose che difficilmente si possono schematizzare con formule matematiche.
Premetto: in matematica sono un cane e per pigrizia non ho cercato di capire gli sviluppi dell’articolo.
Mi son fermato alla storiella.
Quello che vedo è un sistema economico con soggetti in posizioni diverse:
Il tedesco con del denaro, e tutti gli altri con dei debiti e dei crediti.
La storiella si svolge a velocità super accelerata.
Secondo me è stato omesso un particolare importante nella storiella: quei 100 euro il tedesco NON li ha prestati, ma l’albergatore se ne è impadronito.
Se il tedesco li avesse prestati si sarebbe fatto pagare gli interessi, poniamo ad esempio del 10%.
Quindi avremo: un creditore e dei debitori/creditori.
A sua volta il primo debitore (l’albergatore) dovrà pagare il macellaio più gli interessi, perché il macellaio ha aspettato quei soldi e quindi è a sua volta creditore del capitale più gli interessi, a quel punto quei 100 euro da dare al macellaio diventano 110 e così via.
Alla fine del giro dei sei resta un sospeso di interessi di 60 euro più i 10 che spettano al tedesco. L’albergatore si è indebitato di 10 euro più altri 10 che avrebbe dovuto dare al macellaio, quindi secondo me quella storiella non risolve.
A voler fare proprio i pignoli al macellaio spetterebbero più di 10 euro di interessi, poiché verosimilmente ha fatto credito all’albergatore per un tempo piu lungo di quanto il tedesco abbia fatto all’albergatore. Ma la sostanza non cambia.
Questo è quanto mi salta all’occhio.
Se mi sto sbagliando correggetemi, mi interessa.
Un saluto .
Segnalo la critica della equazione degli scambi di Fisher da parte di Murray Rothbard in “Man, Economy, and State”, pp. 831-842, disponibile su http://www.mises.org, della quale riporto solo un breve stralcio in cui Rothbard esprime un giudizio generale sull’utilizzo della matematica in economia: “Mathematics can at best only translate our previous knowledge into relatively unintelligible form; or, usually, it will mislead the reader, as in the present case.”