“La Fiba si è fatta promotrice di un progetto di legge di iniziativa popolare che imponga un tetto massimo alle retribuzioni e ai bonus dei manager. Proponiamo un limite per la retribuzione fissa di 294mila euro, pari a quello dei manager pubblici, e un rapporto di 1 a 1 per il salario variabile”. (G. Romani)
Giulio Romani è segretario della Fiba, il sindacato dei bancari della Cisl, che ha recentemente promosso un progetto di legge iniziativa popolare per imporre limiti alle retribuzioni dei manager delle banche, utilizzando lo slogan “se firmi li fermi”.
Non so se l’iniziativa avrà o meno successo, ma sarebbe pericoloso e sbagliato, a mio parere, se lo Stato si sostituisse agli azionisti privati nello stabilire quale debba essere la remunerazione dei banchieri. Sono gli azionisti a dover stabilire quanto e come pagare i banchieri. Una replica comprensibile è più o meno questa: quando le banche vanno in difficoltà vengono salvate con i soldi dei contribuenti, per cui è giusto porre limiti alla remunerazione dei banchieri. Questa, peraltro, non sembra essere la preoccupazione dei promotori del progetto di legge, i quali contestano per lo più il crescente divario tra la retribuzione media dei vertici e quella degli impiegati. Un’argomentazione tipicamente socialista che non ha altra reale giustificazione se non l’egualitarismo redistributivo mosso dall’invidia, che prescinde dalla capacità dimostrata e dai risultati ottenuti dai percettori dei redditi contestati.
Con riferimento alla (più sensata) questione dei salvataggi, a mio parere la posizione – per quanto comprensibile – si concentra sull’obiettivo sbagliato. Premesso che avrebbe senso eventualmente porre limiti solo in caso di effettivo salvataggio e solo sulle banche (o imprese in generale) oggetto di intervento pubblico, sono i salvataggi che devono essere evitati. Porre limiti alle remunerazioni per poi continuare, in caso di crisi, a caricare gli oneri delle ristrutturazioni sulle spalle dei contribuenti, non risolverebbe il problema.
Ma per evitare i salvataggi e ridurre, al tempo stesso, la probabilità che si verifichino crisi sistemiche, la via maestra consiste nell’abolire il sistema a riserva frazionaria, portando al 100 per cento il coefficiente di riserva obbligatoria sulla raccolta a vista. Andrebbero anche rimossi i limiti di capitale minimi, che nella prassi diventano in realtà quelli massimi, il che rende di fatto quasi tutte le banche sottocapitalizzate.
Dovrebbe essere il mercato a “premere” sulle banche affinché abbiano mezzi propri adeguati a evitare crisi. Sia chiaro, però, che a fronte di una maggiore solidità delle banche ci sarebbe un flusso di credito molto inferiore a quello attuale (lo tengano presente quelli che già oggi si lamentano del credit crunch).
Essendo realisticamente poco probabile che venga abolita la riserva frazionaria (se non in caso di implosione globale del sistema), al posto dei limiti alle remunerazioni dei banchieri avrebbe molto più senso invocare un miglioramento delle regole di governance, onde limitare l’autoreferenzialità che si manifesta ai vertici di molte banche. Anche su questo i sindacati avanzano proposte, le quali, però, credo finirebbero per peggiorare la situazione.
A mio parere non è con la cogestione (la mitica mitbestimmung alla tedesca) che si risolvono i problemi. Le banche non hanno bisogno di cogestione, ma di azionisti che abbiano effettivamente investito consistenti capitali propri nelle aziende che controllano. Tanto consistenti da rendere superflue le peraltro scarsamente efficaci norme sulle operazioni con parti correlate. In Italia non è così, salvo rare eccezioni, soprattutto a causa del meccanismo che fu inventato (da Giuliano Amato) per privatizzare le banche pubbliche una ventina d’anni fa. I principali azionisti delle banche società per azioni sono le fondazioni, a capo delle quali non vi sono individui che hanno investito capitali propri, ma persone per lo più di nomina politica o parapolitica.
Quanto alle banche cooperative, tranne nelle realtà piccole è evidente che il sistema del voto capitario conduce alla sostanziale autoreferenzialità dei banchieri. I sindacati parlano di cogestione, dimenticando che la banca popolare più in difficoltà in Italia è quella di Milano, storicamente controllata dai dipendenti (per la precisione, dai sindacati dei dipendenti).
Anche in questo caso, credo che dovrebbe esserci maggiore corrispondenza tra investimento di capitali propri e potere decisionale, il che è inconciliabile con il mantenimento del voto capitario tipico del modello cooperativo. Modello che ritengo possa essere valido per realtà piccole, nelle quali tutti (o quasi) i soci si conoscono e realmente cooperano.
Insomma, non è certo con altro dirigismo che si risolvono i problemi delle banche. Men che meno con iniziative mosse in ultima analisi dall’invidia.
Non mi sembra che: Fulvio Conti Enel 3.064.000 €, Befera ADE 304.000 € e Mastrapasqua Inps 1.360.000€ rientrino nel limite citato dei 294 k che sono già una grande cifra per fare il burocrate. Se sono così bravi a fare i manager perchè non si occupano di aziende private dove sarebbero gli azionisti a stabilire il compenso?
Sono pochi i coraggiosi che sanno come si trattino le banche.
I rapinatori.
Pienamente d’accordo, tranne che per il miglioramento della governance come soluzione di second best. A mio parere bisogna puntare solo al libero mercato e non ritenere accettabile nessuna soluzione di second best, quindi: abolizione riserva frazionaria, abolizione corso forzoso, abolizione banche centrali. Si può discutere delle strategie per conseguire questo obiettivo (e personalmente io sono d’accordo con Huerta de Soto che, oltre allo Stato naturalmente, se qualcuno deve essere colpito da questa transizione queste sono, nella misura massima possibile, le banche che hanno lucrato da secoli sui privilegi concessi loro dallo Stato) ma non sull’obiettivo. Questo è l’unico su cui ha senso puntare, senza compromessi, senza “mezze vie”. Solo puntando a questo obiettivo e continuando senza tregua a spiegare perché è l’unico che è in grado di evitare le crisi cicliche, un giorno questo potrà essere raggiunto.
Giovanni, non è certo mia opinione che migliorare le regole di governance significhi cambiare obiettivo. Ma realisticamente l’abolizione della riserva frazionaria potrebbe avvenire in tempi rapidi solo in caso di implosione del sistema. Questo non significa non continuare a indicarne le conseguenze nefaste e auspicarne la abolizione. Personalmente, però, riterrei già un passo avanti se venisse congruamente aumentato il requisito attuale. Passami la divagazione: la tassazione andrebbe abolita istantaneamente, ma ogni passo che va in quella direzione (ossia ogni riduzione) per me dovrebbe essere considerato un passo avanti rispetto alla situazione attuale.
Il discorso sulla governance l’ho fatto mettendomi nei panni di quelli che vorrebbero porre limiti alle remunerazioni dei banchieri, in quanto ritengo che “avrebbe molto più senso invocare un miglioramento delle regole di governance, onde limitare l’autoreferenzialità che si manifesta ai vertici di molte banche”. Avrei dovuto forse specificare che avrebbe molto più senso per i sindacati che propongono i limiti alle remunerazioni. In buona sostanza, dato che credo che siano gli azionisti a dover decidere chi pagare e quanto parare, la cosa penso funzioni meglio se gli azionisti hanno effettivamente investito capitali propri nella società. Quando di proprio si rischiano briciole (o neppure quelle, come nel caso di chi comanda nelle fondazioni bancarie), si tende a essere meno “attenti”.
Spero di aver fatto chiarezza.