Nel suo discorso alla Camera il neopremier Enrico Letta ha affermato di volersi rivolgere al parlamento e al paese col «linguaggio “sovversivo” della verità» e ha lanciato la sfida di un’«autorevolezza del potere [che] … sceglie sempre e solo la verità e ha il coraggio e la pazienza di raccontarla ai cittadini, anche se dolorosa o brutale». Questa sfida Letta la ha persa in partenza.
Innanzitutto è necessario premettere (ed è scandaloso che ci sia bisogno di farlo) che in politica e in economia la “verità” non esiste. Quelle che nel suo discorso Letta ha indicato come le cause principali della crisi economica (per esempio il fatto che l’unione politica e quella bancaria non si siano accompagnate all’unione monetaria) non sono “verità” ma solo ipotesi che, quando sono argomentate (cosa che nel suo discorso non è avvenuto neanche in minima parte), diventano teorie.
La validità di queste e altre ipotesi che egli ha fatto nel suo discorso è misurata da una sola cosa: la coerenza. La coerenza nell’idea di legge (e quindi di uguaglianza davanti alla legge); la coerenza fra legge ed economia; quella fra macroeconomia e microeconomia; quella fra le regole che limitano i comportamenti dello Stato e le regole che limitano i comportamenti degli individui. In breve, la coerenza delle idee. In politica e in economia (ma più in generale nelle scienze sociali) la coerenza è quanto di più vicino ci sia alla dimostrazione scientifica. Per esempio, se in una parte del discorso si afferma che non saranno tollerate «sacche di privilegio» e in un’altra si tollerano implicitamente, si promuovono esplicitamente e perfino si esaltano particolari privilegi, allora quel discorso non solo perde ogni validità ma non esige nemmeno rispetto intellettuale: diventa semplice propaganda, venduta come «verità di cui non bisogna aver paura».
La riserva frazionaria, la stampa di moneta, il corso forzoso, la redistribuzione delle risorse e più in generale l’interventismo economico dello Stato in ogni sua forma sono privilegi, cioè «leggi speciali fatte per uno o per pochi; indi vantaggi concessi a uno solo o a più, e di cui si gode a esclusione degli altri contro il diritto comune» (etimo.it). Quando Letta afferma che le «premesse economiche» da cui partirà l’azione del suo governo «sono quelle dell’Euro e della Banca Centrale Europea» egli sta dicendo che le premesse economiche da cui partirà l’azione del suo governo sono privilegi quali il corso forzoso e la stampa di moneta che lo Stato ha concesso a se stesso e alla banca centrale: perché un gioielliere che sostituisce una moneta d’oro al 100% con una moneta che è d’oro al 50% sta commettendo il crimine della contraffazione mentre una banca centrale che stampando moneta ne riduce il potere d’acquisto no? Quando, parlando di «unione bancaria», Letta auspica il consolidamento e l’uniformazione delle regole che riguardano il contemporaneo sistema bancario, egli implicitamente sta avallando il privilegio della riserva frazionaria su cui quel sistema è basato: perché un garagista che affitta ad altri l’automobile che Letta ha parcheggiato nel suo garage commette il crimine dell’appropriazione indebita mentre una banca che presta ad altri il denaro depositato presso i suoi sportelli dai correntisti no?
Ecco così che le «sacche di privilegio» che Letta afferma che non devono essere tollerate diventano la base della sua azione di governo. E sono proprio i privilegi in generale, e in particolare queste «sacche di privilegio» che Letta ha posto alla base della sua azione di governo, che sono la causa principale della crisi: come dice Huerta de Soto in Money, Bank Credit and Economic Cycles, «le crisi economiche [cicliche] non sono un inevitabile prodotto delle economie di mercato ma, al contrario, risultano dal privilegio che gli Stati hanno concesso alle banche, permettendo loro, in relazione ai depositi monetari dei correntisti, di agire al di fuori dei tradizionali principi di legittimità relativi alla proprietà privata, principi che sono vitali per le economie di mercato». Questa è una teoria, non la “verità”, le cui argomentazioni si trovano in questo e in altri testi degli economisti e filosofi della Scuola Austriaca di economia e del liberalismo classico. Tuttavia, a differenza dell’ipotesi di Letta, questa teoria è coerente in ogni sua parte: nella sua idea di legge (e quindi di uguaglianza davanti alla legge); nel legame fra legge e economia; in quello fra macroeconomia e microeconomia; in quello fra le regole che limitano i comportamenti dello Stato e le regole che limitano i comportamenti dell’individuo; nell’assenza di ogni privilegio. Troppo facile parlare di “verità” senza che ci sia la minima possibilità di essere confrontati con questa coerenza: per esempio senza dover spiegare quale è, sul piano dell’idea astratta di uguaglianza davanti alla legge, la differenza fra il “Lodo Alfano”, la progressività fiscale (art. 53 della Costituzione) e le leggi razziali; oppure quale è, su un piano di principio, la differenza fra il garagista di cui sopra e la banca che opera con riserva frazionaria; oppure quale è, sempre su un piano di principio, la differenza fra il gioielliere di cui sopra e la banca centrale. Troppo facile davvero eliminare i privilegi semplicemente cambiando in alcuni casi il loro nome, senza confrontarsi con nessuno che sia disposto a (e/o capace di) giudicare il vino e non solo di leggere le etichette che lo Stato ha appiccicato sulle bottiglie.
Questi privilegi che il governo Letta vuole mantenere e rafforzare sono quelli che servono per “governare l’economia” cioè per realizzare quella «strategia complessa», quelle «politiche» sempre più centralizzate che secondo Letta e le sue “verità” la crescita economica richiede. Dove c’è coerenza nell’idea di legge e di uguaglianza davanti alla legge, fra legge e economia, fra macroeconomia e microeconomia, la crescita richiede una strategia non complessa, ma al contrario estremamente semplice: la fine dell’interventismo economico dello Stato in ogni sua forma. Uno dei passi necessari per fare questo è la separazione del potere politico dal potere legislativo e la sottomissione del primo al secondo. Il potere politico è il potere di approvare misure particolari, le quali esistono solo come espressione della volontà di coloro che hanno questo potere. Il potere legislativo, viceversa, è il potere di scoprire e difendere in ogni caso particolare, soprattutto dallo Stato, la legge intesa come principiogenerale e astratto, la quale è indipendente dalla volontà di chi ha questo potere allo stesso modo in cui le regole della lingua italiana sono indipendenti dalla volontà della maggioranza dei membri dell’Accademia della Crusca. Oggi, a causa dell’idea di “legge” adottata dalla nostra costituzione (il positivismo giuridico) il potere politico e il potere legislativo sono confusi l’uno con l’altro e sommati l’uno all’altro; e la democrazia è diventata così l’istituzionalizzazione del voto di scambio invece che, come dice il Prof. Raimondo Cubeddu, «il riconoscimento politico della soggettività delle scelte». In altri termini, oggi il potere politico è illimitato e questa illimitatezza del potere politico, questa assenza cioè di separazione dei poteri, è esattamente quella che Letta, nella parte del suo discorso relativo alle modifiche istituzionali, ha accuratamente voluto mantenere e anzi perfino aumentare.
Passi avanti in dettagli di importanza minima ma di grande impatto mediatico quali l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti sono il prezzo che Letta e la classe politica nel suo complesso dovranno forse (e, eventualmente, chissà per quanto tempo) pagare per mantenere la stessa struttura economica e istituzionale che sta portando il paese al collasso e senza la quale buona parte dei politici, dei burocrati e dei parassiti dovrebbe trovarsi un lavoro il cui compenso non ha bisogno del ricorso alla forza e alla violenza da parte dello Stato.
Nel programma di Letta non c’è nulla di “sovversivo”: la «fase nuova», essendo basata sulla stessa idea di legge di quella vecchia, sulla stessa illimitatezza del potere politico della maggioranza (eventualmente qualificata), sulla stessa tracotanza dello Stato e del suo interventismo economico, differisce da quella vecchia in nulla: le cause strutturali dei problemi, anche e soprattutto dopo le riforme proposte in questo discorso da Letta, rimarranno intatte. Anzi, a causa dell’ulteriore processo di accentramento descritto esse si consolideranno, mentre il processo di distruzione economica di lungo periodo prodotto dall’interventismo economico dello Stato in tutti i settori (da quello monetario a quello della regolamentazione del lavoro) continuerà necessariamente a fare il suo corso.
Quando le persone capiranno che senza economia di mercato non c’è né il cosiddetto “Stato di diritto” (cioè la sovranità della legge intesa come principio, cioè come regola di comportamento valida per tutti, Stato per primo, allo stesso modo) né crescita, sarà troppo tardi per loro, anche se forse non per i loro pronipoti.
Le cose che non vengono dette sono che la moneta carta che piace tanto agli statalisti serve al finanziamento del Warfare state e del Welfare state. Uno stato dovrebbe stare in piedi senza ricorrere continuamente al debito. Il debito è una tassa e scoraggiare le persone a risparmiare dovrebbe essere punito come la contraffazione di moneta. Almeno sull’euro hanno avuto la decenza di non scrivere che la legge punisce i fabbricatori e gli spacciatori di monete false (cioè loro)
– tre, la nuova moneta non viene regalata, viene PRESTATA AD INTERESSE: cio’ non la svaluta per niente, anzi fa si’ che coloro che presi dalla disperazione se la sono fatta prestare per poter sopravvivere a tasso ancora piu’ alto, fino all’usura, dagli intermediari che ormai hanno il controllo dei governi locali, debbano restituire ai creditori sempre piu’ solidissima moneta che rappresenta ben solidi beni reali. A colpi di patrimoniali o di prelievi sui conti correnti o di tasse in solidissima valuta, altro che carta straccia, il debito dello Stato non e’ altro che debito privato sottoscritto con delega in bianco dai rappresentatanti del popolo che e’ l’insieme dei privati.
Non e’ fantaeconomia, e’ cio’ che sta succedendo con l’euro in italia e in tutti i paesi piu’ disastrati, l’euro e’ la moneta piu’ vicina al gold-standard, il sogno di tutti gli usurai (oggi chiamati professionisti del mondo della finanza), del mondo.
L’unico rischio per gli usurai e’ che gli strozzati, esasperati, si rifiutino di sottostare ancora agli strozzini, e smettano di pagare. Per questo i politici che hanno creato questa valuta a debito hanno devoluto ai rappresentanti degli strozzini i governi, che a colpi di decreti legge hanno ancora aumentato la tassazione e la fanno rispettare attraverso il controllo della forza fisica delle polizie.
I parlamenti, credo piu’ per ignoranza, stupidita’, o per non voler ammettere a se stessi i precedenti errori, lasciano fare.
Come si faccia a pensare che sostenere la causa prima di questo stato di cose possa essere apparentato al libertarismo mi sfugge.
Del resto non deve essere un caso se molti siti di cosiddetto “liberismo” , “economia austriaca” ora tanto di moda, o addirittura millantato “libertarismo” sono animati da intermediari finanziari e/o veri e propri feticisti della moneta fisica.
“perché un gioielliere che sostituisce una moneta d’oro al 100% con una moneta che è d’oro al 50% sta commettendo il crimine della contraffazione mentre una banca centrale che stampando moneta ne riduce il potere d’acquisto no?”
Per due motivi, entrambi alla portata di tutti:
– uno, perche’ a definire cosa e’ criminale e cosa no, nel nostro pur sgangherato ordinamento ma non fino a questo punto, e’ lo Stato e non i commercianti di oro, non del tutto ancora, almeno;
– due, perche’ se la moneta che viene stampata finisce tutta nei circuiti finanziari che non per niente sono alfieri del liberismo dei banchieri dove si moltiplica a leva e interesse, l’economia di scambio di beni e servizi reali che ne resta privata in quanto meno remunerativa e piu’ debole, muore per mancanza di mezzi di pagamento.