“Se vogliamo risolvere i problemi della gente, non aggravarli, il modo è alzare il reddito nazionale. Non significa volere debito e disavanzo più alti per sempre. Quale deve essere l’obiettivo naturale della politica, se non si vuole gestire una nazione come un’azienda? Distinguere fra obiettivi finali e obiettivi intermedi: il debito è intermedio, crescita e occupazione sono finali. Qualsiasi altra considerazione è inappropriata. Berlino pensa che la stabilità macroeconomica dipenda dall’inflazione: ma proprio quando tale tasso era il più basso della storia, negli anni 2000, è scoppiata la crisi. Semmai, come le statistiche più recenti anche in Italia confermano, il problema è la deflazione, la perdita di valore del reddito”. (J-P. Fitoussi)
Anche Jean-Paul Fitoussi, l’economista francese tanto apprezzato in Italia (una volta dalla Francia arrivava Bastiat, adesso questo passa il convento…), lancia l’allarme deflazione e invoca una politica fiscale più accomodante, per “alzare il reddito nazionale”. E pazienza se si fa correre il debito: quello è un obiettivo “intermedio”, mentre “crescita e occupazione sono finali”.
La sua posizione è oggi quella che va per la maggiore in tutta Europa, con l’eccezione della Germania; un’eccezione, peraltro, politicamente non irrilevante. Non avrei mai pensato di dover condividere un’affermazione di Richard Koo, ma in questo caso mi vedo costretto a farlo, pur rimanendo in totale disaccordo su ciò che secondo lui andrebbe fatto. In sostanza, Koo ritiene che la vulgata “anti-austerità” che sta prendendo piede in Europa sia basata semplicemente sulla repulsione per il consolidamento dei conti pubblici, e questo verrebbe spiegato anche dalla frequente invocazione di massicci acquisti di titoli di Stato da parte della Bce, meglio se accompagnati dalla mutualizzazione dei debiti sovrani. In realtà molti Paesi europei necessitano di riforme strutturali, né la politica di quantitative easing può risolvere i problemi (Koo non è tra i fans della politica ultraespansiva della Bank of Japan).
Ciò detto, ancora una volta mi pare che il problema principale risieda nella definizione di inflazione. Se al posto dell’espansione monetaria si considera una delle sue conseguenze ultime, ossia la crescita degli indici dei prezzi al consumo, si finisce per non rendersi conto della formazione di bolle dovute a politiche monetarie espansive, proprio perché i prezzi al consumo crescono moderatamente. Mentre la Bce abbassava i tassi al 2 per cento, in parte per non disallinearsi troppo rispetto alla Fed e in parte perché la principale economia dell’Area Euro, quella tedesca, era allora in forte crisi, nei Paesi periferici, soprattutto in Spagna e Irlanda, si gonfiavano bolle immobiliari enormi, mentre in Grecia si truccavano i conti vivendo ben al di sopra di propri mezzi e in Italia si approfittava del basso costo del debito e dello spread di soli 20-30 punti base rispetto alla Germania per evitare di ridimensionare la spesa pubblica e il debito.
Questa è storia di ieri, non di mille anni fa. Chiedere adesso un replay, magari in versione peggiorativa, a me pare allucinante. Purtroppo è illusorio credere che si possa uscire da una crisi semplicemente facendo debito e stampando soldi (o solo stampando soldi senza debito, come vorrebbero alcuni). Dal nulla non si crea ricchezza reale. Ma il keynesismo, da ormai otto decenni, fornisce ai governi una giustificazione (pseudo)scientifica per mantenere a oltranza comportamenti che altro non fanno se non rinviare e aggravare i problemi. Dato che l’idea di fondo è rimandare a domani (che non diventa mai oggi) i sacrifici (si tratti di aumentare le tasse o, come sarebbe meglio, tagliare spesa pubblica), tutti i politici e molti cittadini vedono nel keynesismo una sorta di bacchetta magica. In realtà l’unica via d’uscita da una politica keynesiana consiste nella svalutazione reale del debito (a danno di chi ha risparmiato) o, più drasticamente, nel default. Credo sarebbe onesto che i Fitoussi di questo mondo lo dicessero chiaro e tondo, giusto perché si sappia che qualcuno i sacrifici li dovrà comunque fare. La bacchetta magica esiste solo nelle favole.
mi sono caduti gli occhi sulla deflazione, che poi mi dicono essere il contrario dell’inflazione. E l’inflazione è “la perdita di valore del reddito”.
Se vi fosse deflazione si avrebbe una diminuzione del costo dei beni, per cui pur restando fermo il salario si potrebbero comprare più beni.
Mi chiedo chi paghi Fitoussi, ma la mia è,ovviamente, una domanda retorica.
Leggi bene..deflazione perdita di valore del reddito e non deflazione come accezione del termine sono due cose completamente differenti. Credo che si convenga sul fatto della perdita di valore del reddito avvenuta negli ultimi vent’anni che è stata peggio di un’inflazione.