Nell’area culturale della sinistra, in cui il quotidiano La Repubblica occupa un posto di rilievo, gira da tempo una balla colossale sull’attuale crisi economico-finanziaria. Proprio Ezio Mauro, direttore del giornale fondato da Eugenio Scalfari, l’ha ripetuta con grande faccia di bronzo nel corso del salotto televisivo della spigolosa Lilli Gruber. In estrema sintesi, lo stesso Mauro avrebbe lanciato l’ennesima invettiva contro la presunta tentazione di risollevare l’Italia attraverso le ricette del liberismo economico. Essendo a suo parere il medesimo liberismo la causa principale della crisi mondiale, egli lo ritiene fondamentalmente inadatto a fornire risposte adeguate ai nostri problemi.
Ora, tralasciamo di affrontare le gravi ed inequivocabili responsabilità della politica, a tutti i livelli, nella crisi che è cominciata alla fine del 2008 con i cosiddetti subprime, per sfociare nella devastante caduta di fiducia su molti debiti sovrani, tra cui quello del nostro Paese di Pulcinella. Ma parlare di liberismo in Italia, in cui intere regioni vivono sostanzialmente di spesa pubblica, può al massimo far ridere i polli. Ci vuole, infatti, molta fantasia a scagliarsi contro il fantasma del liberismo -sempre selvaggio per antonomasia – quando lo Stato controlla oramai il 55% del reddito nazionale, essendo esso divenuto il socio di maggioranza di ogni forma di impresa, attraverso una ferocissima tirannia fiscale e burocratica.
Spero vivamente che il buon Mauro non faccia uso regolare di sostanze alcooliche, però mi riesce difficile credere che una persona che scrive ed osserva per professione il sistema italiota non si sia accorto che la tendenza in atto da molti decenni è quella di aumentare costantemente l’influenza della mano pubblica nell’ambito della società, inseguendo i bisogni dei cittadini dalla culla alla tomba. Tanto è vero che non solo gli affezionati e politicamente corretti lettori di Repubblica , ma pure molti appartenenti al fronte liberista da burletta del centro-destra continuano ad invocare ancora più Stato e più politica per risolvere il gravi problemi dell’Italia. Tanto è vero che siamo diventati così liberisti che non esiste praticamente iniziativa umana in cui non si senta la sinistra influenza della lunga mano della politica.
A questo proposito mi piacerebbe che un illustre pensatore come Ezio Mauro ci indicasse almeno un settore della collettività e dell’economia nel quale il bieco egoismo sociale del famigerato liberismo selvaggio abbia prodotto i suoi effetti. Per quanto io mi stia spremendo le meningi, francamente non ne trovo alcuno. Mi dovrò rivolgere ad un bravo terapista poiché, contrariamente alla lucida consapevolezza del direttore di Repubblica, da tempo nutro l’ossessione di vivere in un sistema afflitto da collettivismo strisciante. Ma forse la cura migliore è quella di lasciare per sempre una valle di lacrime dominata dai vaneggiamenti di certi intellettuali.
Da ex-giornalista, confermo tutto ciò che avete detto.
Il sistema giornalistico-mediatico è nato e cresciuto come arma del potere e come tale continua ad essere utilizzato, a tutti i livelli. Non credo ci sia tanto da aggiungere in tal senso.
Vi vorrei far riflettere su un aspetto particolare: si parla sempre a sproposito di libertà di stampa e/o di satira. Quasi sempre in occasione di tackle a gamba tesa del cosiddetto servizio pubblico iperlottizzato, nei confronti della parte contendente il loro potere. Ebbene, avete mai visto un servizio di satira o di inchiesta da parte di tv e giornali locali? Io mai, vi assicuro. A quei livelli, la commistione e il lecchinismo sono all’ennesima potenza.
Se i giornalisti d’oggi conoscono l’economia in modo approssimativo come la grammatica la sintassi e l’ortografia che quotidianamente sfoggiano (per non parlare dei mostruosi neologismi angloitalici di cui inzeppano i loro articoli) non c’è da meravigliarsi che le loro argomentazioni siano spesso un coacervo di sciocchezze. Liberismo selvaggio? Ma se ci siano sorbiti per anni un ministro dell’economia, di ascendenza socialista, che tuonava un giorno sì e un giorno no contro il mercatismo, facendo le lodi di Rathenau e riconoscendosi in Colbert? “Avevamo sognato una Thatcher e ci siamo trovati Berlusconi” disse una volta Ostellino, uno dei pochi che si salvano.
Mi permetto di richiamare la vostra attenzione non sull’argomento (vigenza o latitanza del liberismo e/o libero mercato), peraltro già egregiamente trattato da Corsini e quelli che mi precedono, ma sulla fonte della diatriba.
Cioè i giornalisti in genere.
Mi chiedo se, nel 2013, la figura del giornalista sia ancora di pubblica utilità, ovvero non rappresenti l’equivalente dei monatti della peste manzoniana: diffondere il morbo facendo finta di combatterlo.
Credere alla autorevolezza dei giornalisti odierni è come credere alla verginità di una cagna di 10 cucciolate, molte delle quali promiscue (seme di più donatori).
Ma cos’altro potrebbe affermare un qualsiasi direttore di Repubblica? (idem Libero, Stampa, Sole, Corriere, Giornale, Tg1-2-3, TgLa7, Tg4-5-6, etc.)
Lo sapete tutti chi è il suo padrone, chi gli passa lo stipendio, chi gli scrive le veline, chi gli detta la linea editoriale, chi gli mostra gli elenchi degli inserzionisti, chi lo invita alle cene ed alle convention, chi gli passa le femmine, chi gli assume i figli nelle company, etc etc.
Già nel 1961 Alberto Sordi e Dino Risi descrissero la figura del giornalista venduto nel tristissimo film “Una vita difficile”: da allora non è cambiato nulla, anzi la mercenarizzazione del giornalista è diventata norma.
Più di recente, gli irresistibili Toti e Tata (Emilio Solfrizzi ed Antonio Stornaiolo) hanno irriso la figura del giornalista lecchino, ma con maggiore comicità e sarcasmo, nella sgusciante macchietta di Mino Linguetta su Telenorba.
Oggi (e da parecchi anni ormai) il giornalista è un elemento-cardine dell’apparato, quello che deve INCUL(tur)ARE le masse dei lettori e degli spettatori, convincerle oggi di una cosa e domani dell’altra magari contraria.
Oggi TUTTI i giornalisti sono dei volgari pennivendoli:
– quelli nazionali si vendono per soldi ai grandi gruppi, ai grandi inserzionisti;
– quelli locali si vendono agli enti locali, alle curie, alle procure, persino alle associazioni ambientaliste e/o culturali, in cambio di un’intervista, di una velina, di una soffiata, di un premio “Giornalista dell’anno”;
– tutti, indistintamente grandi e piccoli, puppano soldi pubblici attraverso il contributo statale all’editoria, in nome della libertà di stampa (feticcio idolatrico); senza il contributo starebbero tutti a ciclostilare il giornaletto scolastico;
– Fatto Quotidiano pomposamente sventola il sottotitolo: “Non riceve soldi pubblici” ma io personalmente non ci credo nemmeno se lo vedo con tre occhi.
In sintesi, la società moderna ed evoluta non avrebbe più bisogno del giornalista, come non avrebbe più bisogno del politico.
Solo un paese arretrato e provinciale come l’italietta ha ancora bisogno degli uni e degli altri (comunque le altre nazioni non stanno molto meglio).
Vuoi mettere che bello e comodo trovare la verità rivelata tutta bella scritta sui giornali, mentre bevi il caffè la mattina?
Invece pensare, ragionare, criticare, verificare è penoso e scomodo.
Chi me la fa fare?
Sinceramente i siti dei giornali tradizionali sono finiti nella mia lista di feed in fondo, utilizzati giusto per la cronaca spiccia.
TV non ce l’ho da 8 anni ormai.
Ascolto tanta radio, ma di giornalisti degni di questo nome ce n’è proprio pochi. Forse Musumeci di Radio24, che fa ancora un giornalismo d’inchiesta che stimola il cervello. Poi mi piace anche Cruciani, ma più come uomo di spettacolo che come giornalista.
Sì, oggi, così, sono completamente inutili, anzi dannosi.
Ma esisteva una tradizione di giornalisti, soprattutto anglosassoni, che facevano una controinformazione tale da mettere in difficoltà il potere. In Italia sono mai, davvero arrivati?
……quando lo Stato controlla oramai il 55% del reddito nazionale, essendo esso divenuto il socio di maggioranza di ogni forma di impresa…..
BEL SOCIO DI MAGGIORANZA… magari esistesse un socio che tira fuori il 55% ( o quello che sia ) del capitale, lo metta a rischio sulla tua idea, ti suggerisca soluzioni, ti presenti clienti, si assuma le perdite e magari ricapitalizzi pro quota. E’ molto peggio, metafora insufficiente, dobbiamo trovarne un altra, vampiro, sanguisuga, AIDS, colera, qui ci andiamo piu’ vicino!
fg
Io non riesco a capire se è un problema di ignoranza o se c’è davvero malafede.
Ho appena avuto questa discussione su RC:
http://www.rischiocalcolato.it/2013/05/meglio-leuropa-o-leuro.html#comment-901908896
Qui prendono un mercato, lo regolamentano fino al dettaglio più infimo ed inutile, non funziona e poi ti dicono “ecco, il libero mercato non ha funzionato”.
Ma porca miseriaccia, acciderbolina, perdincibacchissima (giusto perché adesso in questo paese così libero i blogger sono anche responsabili per chi li commenta e non voglio mettere Facco nei guai), ma perché non si riescono a formare chiaramente due schieramenti, uno a favore della libertà e l’altro contrario. Punto.
Il primo è costantemente perdente da secoli in tutto il mondo, quindi lo si può accusare di tutto, si può dire che non capiscono nulla, ma non si può di sicuro dire che è colpa loro se le cose non funzionano.