«Il segreto bancario – come riportato su La Stampa – ha fatto il suo tempo» ha affermato Pierre Moscovici, ministro dell’economia francese, a supporto del tentativo da parte dei governi di (per adesso) dieci paesi europei di mettere in piedi, «possibilmente entro l’anno, una piattaforma multilaterale per lo scambio automatico di informazioni sui conti bancari che consenta di arginare in modo efficace contro l’evasione fiscale». La storia di princìpi che “hanno fatto il loro tempo” è lunga e i suoi passi sono invariabilmente scanditi dalle sempre maggiori esigenze di cassa degli Stati.
Nel 1914, per esempio, gli Stati europei dovevano finanziare la Prima Guerra Mondiale e, con la parità aurea, ciò avrebbe reso necessario aumentare in modo vertiginoso la pressione fiscale. All’epoca, questo aumento della pressione fiscale non sarebbe stato facilmente accettato dai cittadini. Così si decise che la parità aurea, e cioè il principio in base al quale la contraffazione è illegittima, “aveva fatto il suo tempo”. Questa decisione consentì agli Stati di stampare denaro dal nulla e quindi di tassare i cittadini mediante l’inflazione, “di nascosto”. Senza l’abbandono della parità aurea, cioè senza l’abbandono del denaro (la merce più commerciabile) e, con esso, del principio in base al quale la contraffazione è illegittima, la Prima Guerra Mondiale e la Seconda non sarebbero state possibili.
L’elenco dei princìpi che, viste le sempre maggiori esigenze di cassa degli Stati, chi è a capo di questi ultimi ha via via deciso che “hanno fatto il loro tempo”, è molto lungo. Fra questi princìpi che “hanno fatto il loro tempo”, a puro titolo esemplificativo possono essere citati:
- il principio che vieta l’appropriazione indebita, la cui abolizione è stata necessaria per consentire alle banche il privilegio della riserva frazionaria;
- quello dell’uguaglianza davanti alla legge, la cui abolizione è servita per consentire, fra le altre cose, la discriminazione fiscale (per esempio la progressività fiscale);
- il principio in base al quale l’onere della prova è a carico dello Stato che accusa il cittadino (guarda caso in materia fiscale);
- il principio in base al quale il saccheggio è illegittimo (si vedano le attuali misure fiscali in generale e, in particolare, i prelievi forzosi sui conti correnti oppure le tasse patrimoniali);
- il principio in base al quale uno può fare l’uso che vuole della sua proprietà se non danneggia altri, la cui abolizione è servita a vietare per esempio l’uso del contante; e, appunto,
- il principio che tutela la privacy delle persone, in questo caso il segreto bancario.
Naturalmente, in tutti questi casi chi detiene il potere politico ha deciso che questi princìpi “hanno fatto il loro tempo” solo in casi particolari, guarda caso quelli in cui gli Stati hanno esigenze di cassa, rimanendo invece generalmente vivi e vegeti negli altri casi. La ragione per cui sempre più principi “hanno fatto il loro tempo” nei casi particolari che interessano le casse degli Stati è che i princìpi sono vincoli che ostacolano la tendenza degli Stati a espandersi, cioè ad aumentare le loro dimensioni e le loro funzioni. In una (lunga) epoca storica in cui la “legge” intesa come provvedimento particolare (cioè come strumento di potere) è stata sostituita alla legge (il principio generale e astratto, il limite al potere), non c’è nessuna ragione per cui questa tendenza degli Stati a espandersi dovrebbe fermarsi di fronte ai princìpi invece che travolgerli uno dopo l’altro.
Le conseguenze economiche di questo progressivo smantellamento dei princìpi che “hanno fatto il loro tempo”, e quindi dell’espansione delle macchine statali, sono disastrose. Per coprire questo disastro il più a lungo possibile, cioè per rinviare il collasso sistemico prodotto da questo progressivo smantellamento della legge in casi particolari, gli Stati smantellano ulteriormente la legge (i princìpi), in un circolo vizioso la cui conclusione non può essere ritardata all’infinito.
Naturalmente, chi detiene il potere politico ha sempre dato giustificazioni altisonanti per questo progressivo smantellamento dei princìpi: generalmente un arbitrariamente definito “interesse del paese” o un’altrettanto arbitrariamente definita “giustizia sociale” (come se potesse esistere una giustizia “macro” in contraddizione con, e separata da, quella “micro”, cioè come se un’azione che è illegittima se a compierla è l’individuo potesse diventare legittima se a compierla è lo Stato).
La giustificazione di moda oggi per lo smantellamento degli ultimi princìpi rimasti è la cosiddetta lotta all’evasione fiscale: avendo saccheggiato il saccheggiabile, gli Stati raschiano il fondo del barile prima del naufragio. È sorprendente quante persone nel caso particolare dell’evasione fiscale, al contrario di quanto esse stesse fanno in tutti gli altri casi, siano disposte a condannare la fuga dalla coercizione senza prima aver giudicato la natura di quella coercizione. L’evasione fiscale non può infatti essere giudicata moralmente (e quindi legittimamente perseguita) senza prima giudicare moralmente il sistema fiscale in cui essa avviene; cioè senza prima giudicare coerentemente, su una base di principio, il modo in cui le tasse sono prelevate (per esempio, se nel rispetto dell’uguaglianza davanti alla legge o meno – e faccio notare che l’uguaglianza davanti alla legge è una cosa non solo diversa ma opposta alla disuguaglianza legale) e ciò che esse finanziano (se lo stato minimo, comunque lo si voglia non arbitrariamente definire, o meno). Se fosse possibile condannare la fuga dalla coercizione senza prima giudicare la natura della coercizione, allora uno dovrebbe condannare la fuga di un detenuto da un campo di concentramento nazista per il solo fatto di essere fuggito, cosa che chi condanna a priori l’evasione fiscale generalmente non fa. Ma lo Stato totalitario (quello nazista come quello contemporaneo) ha sempre ragione per definizione e quindi la fuga dalla sua coercizione è sempre e comunque un crimine: il modo in cui le tasse sono prelevate e ciò che esse finanziano non ha bisogno di essere coerentemente giustificato su un piano di principio, ha solo bisogno di una maggioranza, eventualmente qualificata.
È la civiltà che “ha fatto il suo tempo”, e lo ha fatto nel momento e nella misura in cui la leggeè stata sostituita dai provvedimenti particolari, cioè nel momento in cui lo strumento di potere ha usurpato il posto del limite al potere. E a questa sostituzione, a questo lungo processo di decivilizzazione, l’Europa ha contribuito e sta contribuendo in modo determinante. Come ha detto Nigel Farage in un recente discorso al Parlamento Europeo, “questa Unione Europea è il nuovo comunismo. E’ potere senza limiti”.
Nell’attuale vicenda del segreto bancario sarebbe sbagliato identificare l’Austria, che rifiuta la violazione del segreto bancario su un piano di principio, come il difensore solitario della civiltà. Come ogni altro Stato moderno, essa ha infatti sostituito i provvedimenti particolari alla legge: essa ha un sistema fiscale discriminatorio, il corso forzoso della moneta (fiat), la riserva frazionaria, eccetera. Nel caso particolare del segreto bancario, l’Austria (per adesso) prende le difese della legge e della civiltà contro la barbarie europea. Ma la sovranità della legge e la civiltà si difendono solo con la coerenza: la loro difesa in casi particolari è lo strumento migliore per distruggerle entrambe col beneplacito delle menti addormentate e complici dei cittadini.
IN COLLABORAZIONE CON http://www.lindipendenza.com
..complici, complici.
il popolo è complice, artefice del suo destino.
ora piange lacrime di coccodrillo per i suoi privilegi che evaporano,
lacrime che diventeranno amarissime davanti al
dramma della loro coscienza che dovrà essere saldata, lasciando un solco
profondo nelle loro guance a testimonio del dei loro sogni proibiti..
nella migliore delle ipotesi, nella peggiore avranno ceduto la loro sovranità
al loro padrone e saranno schiavi in terra senza più dignità.