“Ma aveva proprio ragione Bastiat? Certo, rompere finestre non è una bella cosa; e condonarlo, con la scusa di stimolare la domanda, sarebbe come condonare un vetraio che pagasse un ragazzino per andare in giro a rompere finestre. Tuttavia, c’è una circostanza in cui Bastiat non avrebbe avuto ragione. Supponiamo che il commerciante che tira fuori 6 franchi per riparare il vetro non voglia restringere la sua spesa in atre cose. Quei 6 franchi di maggiore spesa li toglie sa quello che avrebbe risparmiato. In questo caso la sua propensione alla spesa (cioè quanto spende del proprio reddito) sarà aumentata e il reddito della nazione ne beneficerà.” (F. Galimberti)
Come di consueto, Fabrizio Galimberti scrive la lezione domenicale per i (giovani?) lettori del Sole 24 Ore. Questa volta inizia ricordando l’errore della finestra rotta, arrivando perfino a definire “geniale” Frederic Bastiat, salvo poi rileggere la situazione con le solite lenti keynesiane.
Chiunque abbia letto “Ciò che si vede, ciò che non si vede” di Bastiat oppure “L’economia in una lezione” di Henry Hazlitt ricorderà le argomentazioni utilizzate dai due autori. L’esempio della finestra rotta serve a evidenziare che nell’analizzare un provvedimento di politica economica è necessario non fermarsi agli effetti immediati su un solo particolare soggetto (o insieme di soggetti), bensì occorre valutare quali possono essere gli effetti anche di lungo periodo sull’intero sistema economico.
Ciò che si vede è il reddito ottenuto dal vetraio per la riparazione, ciò che non si vede è il mancato reddito del sarto. Ma c’è anche un’altra cosa da considerare: dopo aver proceduto alla riparazione della finestra, il fornaio si ritrova con la stessa finestra di prima e 6 franchi in meno. E, a ben vedere, ciò vale anche a livello aggregato.
E’ questo il punto che viene tralasciato da Galimberti (e da tutti i keynesiani) quando cercano di “smontare” il ragionamento di Bastiat. A loro parere, basta ipotizzare che il fornaio decida comunque di farsi fare un abito nuovo attingendo al denaro risparmiato, perché si verifichi un aumento del reddito aggregato, con ciò concludendo che, tutto sommato, non è stato poi male che il monello abbia rotto la finestra.
La miopia implicita in questo modo di ragionare è, a mio avviso, incredibile. In primo luogo, non è affatto detto che il panettiere disponga di altri 6 franchi per farsi fare un abito nuovo. In tal caso, salta tutto il ragionamento di Galimberti. Ma concediamo pure che il fornaio abbia in precedenza risparmiato e sia in grado di spendere altri 6 franchi per l’abito. Ex post, il fornaio si ritrova con una finestra, un abito nuovo e 6 franchi in meno di quanti ne avrebbe avuti senza dover riparare la finestra. Ed è evidente che c’è minore risparmio anche a livello aggregato.
Galimberti sembra inoltre escludere che il risparmio del fornaio avrebbe potuto essere utilizzato per finanziare investimenti produttivi da parte di altri soggetti, ma non è affatto una eventualità da escludere.
Il problema fondamentale, a mio avviso, è quindi rappresentato dal fatto che i keynesiani si concentrano solo sull’evoluzione del reddito aggregato e non anche sullo stock di ricchezza del sistema a livello aggregato.
Quindi finiscono per biasimare la rottura della finestra non tanto perché rappresenta una distruzione di ricchezza, bensì perché è un atto di vandalismo (peraltro deprecabile). Ma se al posto del vandalo ci si mette madre natura, i keynesiani sono pronti a ritirare fuori la storia degli impatti positivi sul Pil. Succede ogni volta che si verifica una catastrofe naturale: giusto il tempo di dimostrarsi affranti per le perdite di vite umane (per non sembrare cinici), che passano a fare i calcoli dei possibili incrementi di Pil dovuti alla spesa pubblica connessa alla ricostruzione, ovviamente tralasciando che spesso ciò comporta un aumento del debito pubblico e che, ex post, lo stock di ricchezza reale non sarà aumentato.
Forse per questi signori il titolo del saggio di Bastiat potrebbe essere modificato così: “Ciò che si vede, ciò che non si vede o che non si vuole vedere”.
Un buon keynesiano dovrebbe sfondare il parabrezza dell’auto di Galimberti con un sasso e lasciargli un biglietto in cui c’è scritto “l’ho fatto perché amo il mio paese e voglio contribuire a farlo crescere”.
Secondo voi Galimberti sarebbe contento? Ovviamente no, perché bisogna essere keynesiani col culo degli altri.
pure Grillo ci arrivò una volta quando disse che è incredibile che il pil salga se crolla un ponte medievale e bisogna ricostrirlo. il pil è perverso.
Non vale neppure la pena di perdere tempo a leggere Galimberti.