“Il mio attaccamento a questa banca è totale e tale che mai esiterei a passare la mano ad altri al primo segno di difficoltà che avvertissi nell’espletamento del mio mandato”. (G. Bazoli)
Giovanni Bazoli è ai vertici del sistema bancario italiano dal 1982. In quell’anno fu chiamato a gestire la spinosa vicenda del Banco Ambrosiano dopo la gestione criminale di Roberto Calvi. Nacque il Nuovo Banco Ambrosiano, che in tre decenni, tra crescita interna, acquisizioni e fusioni, è divenuto il gruppo Intesa San Paolo.
Se uno pensa al 1982 ricorda il mondiale di calcio vinto dalla nazionale italiana, con il presidente Pertini in tribuna al Bernabeu a esultare e la prima Repubblica che ancora aveva davanti a sé un decennio di vita. Io avevo appena finito di frequentare la seconda elementare.
In trent’anni Bazoli non è stato attaccato solo a ciò che adesso è Intesa San Paolo, ma è stato a lungo anche ai vertici di quella che è divenuta UBI Banca (per parte bresciana), finché le norme hanno reso incompatibile la sua permanenza anche in quella banca. Per non parlare della presidenza della finanziaria Mittel. Tramite le partecipazioni di Intesa, Bazoli ha poi avuto un ruolo influente su diverse società italiane, tra cui RCS, società editrice del Corriere della Sera.
Mentre altri personaggi amavano apparire potenti non essendolo, Bazoli lo è stato, e lo è tuttora, pur non facendo parlare tanto di sé. Personalmente non avrei nulla in contrario alle lunghe carriere ai vertici di una o più società, se ciò derivasse da iniziative imprenditoriali e investimenti fatti rischiando capitali propri. Se un imprenditore fonda o rileva un’azienda, rischia in proprio e riesce ad avere successo, non vedo nulla di male se decide di restare al vertice fino alla fine dei suoi giorni. In fin dei conti se il suo attaccamento alla poltrona nuoce all’azienda, è il suo patrimonio che viene intaccato.
Bazoli non mi pare, però, che appartenga a questa categoria di individui. Al contrario, mi risulta abbia vissuto tra accademia, professione forense e (soprattutto) banca tenendo sempre rapporti molto ben oliati con la politica e minimizzando il capitale proprio investito nelle società che presiedeva. Mi si potrebbe dire che in Italia (e forse anche altrove) funziona così. Il che è indubbiamente vero, ma ciò non significa che sia il modo migliore o addirittura l’unico modo in cui possono andare le cose.
E’ peraltro vero che se gli azionisti di riferimento (che sono poi fondazioni bancarie, soggetti che meriterebbero un’analisi a parte) hanno sempre fin qui deciso di rinnovare i suoi incarichi, evidentemente erano (e restano) soddisfatti del suo operato. Che io non intendo neppure discutere.
Però mi pare ci sia una certa dose di ipocrisia in frasi fatte come “farsi da parte se necessario” o nel sostenere che si rimane alla presidenza solo perché chiesto con insistenza dai soci. Se Bazoli avesse veramente voluto passare la mano sarebbe riuscito a farlo, e non mancherebbero certo persone che sarebbero liete di sostituirlo. Magari lui stesso avrebbe potuto indicare un degno successore agli azionisti. Ma evidentemente non lo ha fatto. Pare che il potere sia un elisir di lunga vita e, come sosteneva Andreotti, “logora chi non ce l’ha”, molto più di chi lo detiene.