“Non mi stancherò mai di dire che il problema delle tasse è anzitutto un problema di qualità dei servizi pubblici. Se i cittadini sentono di ricevere in cambio delle imposte un “servizio” (bella e nobile parola) che gli rende la vita più facile e gradevole, allora cesserebbero tanti mugugni”. (F. Galimberti)
Ultimamente Fabrizio Galimberti pare essersi dato il proposito di inculcare nei (teoricamente giovani) lettori della sua paginata domenicale sul Sole 24 Ore l’idea che il mondo non potrebbe andare avanti se non ci fossero le tasse. Sicuramente senza tasse il mondo non andrebbe avanti nel modo in cui è andato finora, ma dubito che si arriverebbe all’estinzione del genere umano. Di sicuro il parassitismo e l’aggressione alla proprietà privata sarebbero riconosciute immediatamente e inequivocabilmente tali, al contrario di quanto accade ora con la tassazione.
Secondo Galimberti la diffusa avversione alla tassazione sarebbe attribuibile non già a un rigetto dell’idea di essere coercitivamente privati di una parte (sempre maggiore) dei beni di cui si è legittimamente proprietari, bensì al fatto che, a fronte del prelievo coattivo, si riceverebbero servizi scadenti. Basterebbe, quindi, che i servizi fossero di qualità migliore per risolvere il problema e avere contribuenti felici e contenti ogni volta in cui lo Stato infila loro le mani in tasca.
Credo che in parte ciò sia vero, non fosse altro per il fatto che ognuno, fin da bambino, viene abituato all’idea non solo dell’inevitabilità della tassazione, bensì della necessità di un’azione di redistribuzione della ricchezza operata dallo Stato per finalità “sociali”. L’idea implicita in questo modo di ragionare è che lo Stato sia un “buon padre di famiglia”, che opera per il bene dei cittadini e che questi ultimi debbano sottostare al suo volere in quanto essi stessi facenti parte dello Stato, tra l’altro avendo legittimato l’azione del “padre” (che ma pare sarebbe meglio definire padrone o padrino) mediante il voto.
Può darsi, quindi, che “tanti mugugni” cesserebbero se lo Stato fornisse servizi di buona qualità a fronte del prelievo fiscale. Ciò nonostante, non cesserebbero tutti i mugugni. Quanto meno non cesserebbero i mugugni di coloro che non condividono l’idea benevola dello Stato e della tassazione che viene somministrata alle persone fin dall’infanzia, e che considerano il primo qualcosa di ostile e la seconda uno strumento di aggressione della loro proprietà.
Costoro non discutono tanto il livello qualitativo dei servizi (peraltro oggettivamente mediocre), bensì l’idea stessa che si debba essere costretti a pagare per servizi non richiesti. Vorrebbero scegliere quali servizi acquistare e a chi richiederli, come avviene quando comprano il pane o hanno bisogno di un elettricista. Si tratta di persone che antepongono la libertà di disporre di ciò che appartiene loro alla qualità dei servizi imposti dallo Stato, per quanto eccellente possa essere (o diventare).
Persone che non vedranno mai nello Stato un buon padre di famiglia.
Oggi nessuno più crede nell’onnipotenza e nella bontà di Dio, meno di tutti i membri della curia romana di Santa Chiesa, e anche chi ci crede è tormentato da mille dubbi. Visto però che l’anima umana non può fare a meno d’aggrapparsi all’ idea di un Assoluto, ci si abbarbica a un’altra fede, che sembra corroborata-ma è pura illusione- dai risultati della Scienza: la religione del del Caso. Visto poi che “Caso” non significa nulla (è semplicemente, secondo l’origine latina della parola, “ciò che accade”, quindi una vera e propria tautologia), bisogna pur inventarsi un altro Dio un po’ più sostanzioso; ed ecco allora -complice Hegel, che, per vie traverse, ha lasciato una forte traccia anche nel pensiero di chi lo aborre o semplicemente non lo conosce- nascere e fortificarsi la devozione allo Stato, con tutti i suoi riti: le feste nazionali, che sono una scimmiottatura delle ricorrenze religiose; le parate militari e le altre consimili celebrazioni, che sono una brutta copia delle cerimonie liturgiche. Un tempo senza Dio non c’era salvezza, oggi non c’è salvezza senza Stato. Chi costruirebbe le strade, chi tutelerebbe l’ordine pubblico, chi si curerebbe della nostra salute, chi provvederebbe all’istruzione dei nostri figli, chi sosterrebbe la ricerca scientifica, chi si prenderebbe a cuore i beni culturali, chi ci difenderebbe da aggressioni esterne, chi presterebbe aiuto ai più poveri ecc. ecc? Il dogma più ferreo della nuova religione è quello delle tasse che sono una cosa bellissima: non pagare le tasse è la più grave offesa che si possa fare al nuovo Dio, un’offesa che merita la galera e, se non fosse politicamente scorrettissimo, la morte. Tra le persone che conosco, gli statalisti più intransigenti sono quelli che si dichiarano atei convinti: il Vangelo è un cumulo di fanfaluche, ma la nostra Costituzione è la più bella del mondo, è Via Veritas et Vita (Benigni docet). Purtroppo questo credo statalista permea anche le pagine del giornale della Confindustria. Una cosa è certa: noi libertari da quella parte non avremo mai alleati. Guido Rossi, che dalle pagine di quel prestigioso giornale continua a pontificare, ha già avuto modo più d’una volta di irridere, con argomentazioni insulse e forvianti, il pensiero libertario. L’altro grande pontefice è il bandito Giuliano. Non c’è da stupirsene: se tutto è dello Stato, come un tempo tutto era di Dio, i grandi sacerdoti dello Stato possono impunemente mettere le mani nelle tasche dei sudditi, e assurgere a benemeriti della Patria (che ha preso il posto della Madonna). Galimberti è un prete ossequente alla Gerarchia. Gli eretici vengono sospesi “a divinis” e invitati a cambiare aria.