“Se gli incentivi ad assumere rischi sono ridotti a seguito di una grande crisi – e tutti quanti accumulano liquidità – non ci saranno iniziative imprenditoriali, né ci sarà crescita. Ma se si è incentivati/spinti ad assumere rischi tramite la repressione finanziaria, allora può essere raggiunto un equilibrio in cui c’è maggiore crescita reale… La politica monetaria accende gli spiriti animali che alimentano la ripresa… In sostanza, abbassando i tassi di interesse reali privi di rischio e forzando l’assunzione di rischi si va verso una ripresa reale. Incentivare l’assunzione di rischio risolve un tradizionale fallimento del mercato che si verifica dopo una crisi, quando nessuno vuole assumere rischi.” (D. Zervos)
Quando leggo i commenti di David Zervos sull’operato della Fed ho sempre l’impressione di avere a che fare con una persona ben consapevole del funzionamento della politica monetaria e anche delle sue conseguenze (lui stesso ha lavorato alla Fed per un periodo), ma ho anche la sensazione che costui sguazzi all’idea abbuffarsi al banchetto dei beneficiari delle politiche inflazionistiche.
Gli stralci che ho riportato da uno dei suoi ultimi commenti si concentrano sull’obiettivo che la Fed sta perseguendo con politiche espansive senza precedenti (per quantità). Il fatto che nella fase recessiva “non ci siano iniziative imprenditoriali” o più genericamente diminuisca fortemente la propensione al rischio, è inevitabile e perfino necessario. Il superamento della crisi può avvenire solo se gli investimenti errati effettuati in gran quantità durante il boom precedente (indotto per lo più dalla politica monetaria espansiva) vengono liquidati e i prezzi tornano a livelli consoni con domanda e offerta non distorte da fattori esogeni come le politiche monetarie o fiscali.
Il problema è che le banche centrali – e la Fed in questo è campionessa indiscussa – intervengono con politiche monetarie espansive per contrastare questo aggiustamento. Così facendo non aiutano l’economia a riprendersi più velocemente, bensì rimandano e aggravano i problemi, consentendo a iniziative imprenditoriali fallimentari di sopravvivere artificialmente e impedendo, al tempo stesso, la riallocazione delle risorse a favore di nuove iniziative.
In sostanza, la politica monetaria espansiva prima della crisi crea uno scollamento tra il risparmio reale e gli investimenti; a crisi in corso impedisce il necessario riallineamento tra risparmio reale e investimenti. Ma nessuna crescita economica è sostenibile se gli investimenti non poggiano su risparmio reale, bensì su un suo multiplo generato da politiche monetarie espansive e meccanismo della riserva frazionaria.
Ecco, allora, che lo schiacciamento dei tassi di interesse su attività considerate prive di rischio (come i titoli del Tesoro) dovuto alla politica monetaria della Fed finisce per spingere gli investitori verso attività a maggiore rischio, creando per esse un eccesso di domanda e, di conseguenza, una compressione del premio per il rischio. Questo (ri)crea le condizioni per la formazione di bolle, rendendo apparentemente profittevoli investimenti che non lo sono, si tratti di evitare il fallimento di imprese decotte o di favorire lo sviluppo (che si rivelerà insostenibile) di nuove iniziative che sembrano avere un valore attuale netto positivo solo per via di tassi di interesse e premi per il rischio artificialmente compressi.
In definitiva, l’effetto degli stimoli monetari della Fed non è quello di correggere un “fallimento del mercato”, bensì di impedire il corretto funzionamento del mercato. Così facendo non si raggiunge un equilibrio con maggior crescita reale, bensì si pongono le basi per una nuova crisi. La cosa allucinante è che poi si chiederà ancora alla Fed di intervenire…