In Anti & Politica, Economia

DI GIUSEPPE SANDRO MELA*

Da sempre denunciamo come l’attuale Grande Depressione sia stata innescata dal vorticoso calo dell’attività produttiva in Italia, e come i problemi finanziari siano secondari alla frana produttiva, così come quelli del debito sovrano.

Le argomentazioni “euro sì“/”euro no” son solo fumo negli occhi, come dire che la colpa di tutto fosse degli omini blu della luna.

L’economia non si riattiva usando la demagogia, e si stanno avvicinando a grandi passi momenti che saranno severamente drammatici.

Chi si fosse illuso di poter uscire da questa Grande Depressione senza veder falcidiato il potere di acquisto di pensioni, stipendi e rendite ne resterà severamente scottato. Solo ed esclusivamente la filiera produttiva genera reddito: distrutta quella, siamo tutti alla fame, quella vera.

Chi ancora di illudesse che una depressione di questa portata non esiti in un colossale aumento della disoccupazione, avrà ampio modo di ricredersi. Senza una produzione efficiente é semplicemente impossibile ottenere una piena occupazione: le imprese fallite o delocalizzate non assumono per definizione, perché semplicemente non ci sono più.

Il fatto.

Zhang Gang, delegato generale del Ccpit (China Council for the Promotion of International Trade) di Milano ha rilasciato recentemente delle severe dichiarazioni sull’Italia, indicando nella burocrazia e nella pressione fiscale i due elementi che ostacolano l’impresa produttiva in Italia e fanno passar la voglia a chiunque di trasferire nel bel Paese una qualche attività.

La burocrazia si mostra «collaborativa solo a parole ma non nei fatti. Nella penisola per gli imprenditori cinesi e’ difficile persino organizzare gli impegni quotidiani».

In Italia «le imprese cinesi sono una trentina, in Germania sono un migliaio. L’Italia è, dati alla mano, terra ostile per gli imprenditori».

«Gli imprenditori della Terra di mezzo si trovano meglio anche in Svizzera dove negli ultimi anni hanno aperto la sede 80 aziende».

«In particolare i tempi lunghissimi della giustizia, per cui una causa dura in media 7 anni e mezzo».

«Il numero delle imprese cinesi in Italia raddoppierebbe, passando dalla trentina attuale ad almeno sessanta, se non ci fosse la barriera della burocrazia».

Ci si pensi bene. Il fatto che le imprese si trovino meglio in Svizzera od in Germania piuttosto che in Italia indica in modo incontrovertibile che il problema non consiste in un costo del lavoro inteso come mero salario: tutto, tranne che questo!

Considerazioni.

L’evolversi delle cose ci conduce a ragionamenti grevi di conseguenze.

1. L’interventismo dello stato in economia non si estingue nello stato imprenditore. Un’impresa sana e generatrice di utili che fosse di proprietà dello stato e da esso diretta non darebbe fastidio a nessuno, anche se potenzialmente costituisce una mina vagante.

2. Ben più subdola e peggiore é l’iper-regolamentazione della produzione economica. Un coacervo di oltre 430,000 tra leggi, decreti, circolari attuative opprime la vita della filiera produttiva. Folle sterminate di burocrati e funzionari si dannano per attuare tutte queste disposizioni, sorvegliando con zelo degno del Kgb di passata memoria la loro pedissequa osservanza.

3. Lo strapotere della burocrazia ha assunto livelli inimmaginabili. Pensate solo ai recenti fatti di Napoli. Sono bastati quattro cancellieri della Procura della Repubblica per bloccare innumerevoli iter giudiziari. E se questo è il potere di un cancelliere, poco più di un archivista, vi immaginate quali siano i poteri dei Magistrati, specie quando si coalizzano in consorterie finalizzate? E si vorrebbe venire a dire che nessuno se ne sia accorto in tutti questi anni? E quale fiducia si potrebbe accordare ad una magistratura così diffusamente partigiana?

4.  Così, la libertà della persona umana, e quindi anche quella economica, risulta essere vanificata e conculcata, fino al punto di farla scomparire, causa prima dell’emigrazione industriale e culturale.

É semplicemente morta la libertà personale e quella aziendale.

5. Questo é il punto focale da razionalizzare.

Adesso la posta in gioco é la nostra libertà, quella per la quale i nostri avi presero le armi in pugno e versarono il loro sangue.

Allora ci poniamo un domanda.

Non sarebbe il caso di mettere tutti gli statalisti in condizione di non nuocere più a lungo a sé stessi ed agli altri?

Riprendere, in poche parole, l’iter intrapreso venti anni or sono dal grande Deng Xiaoping?

É sotto gli occhi di tutti come la Cina, liberata da quel severo statalismo che la attanagliava, in venti anni sia passata da paese misero a paese prospero e con un futuro. Si pensi anche allo sviluppo che Putin ha saputo imprimere alla Russia.

É vero che, lasciata a sé stessa, questa Grande Depressione annienterà alla radice statalisti e le loro malefiche teorie, ma é anche vero che tutti noi ne rimarremo coinvolti. Il paese ne uscirà immiserito. Qui è un problema di legittima difesa.

Ricordiamoci: «la morte di uno ne salverà molti».

 

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Showing 6 comments
  • gastone

    non vi azzuffate “lo stato” E’ una azienda (mercantile) da almeno 3 secoli.

    e oggi è anche l’attore principale del mercato,.in italia “impiega” direttamente /indirettamente circa il 70% della sua popolazione.

    • Parla come Mangi

      Infatti se ne vedono i risultati.
      Una fabbrica che sforna ladri per depredare i cittadini con un bilancio in passivo per privatizzare i profitti e socializzare le perdite.

  • iano

    Uno Stato deve essere come un,azienda,deve deve fare bene il proprio prodotto,essere abile ad imporsi nel mercato,essere originale e distinguersi da tutti gli altri,essere sempre all,avanguardia.Non possiamo copiare,invidiare,guardare quello che fanno gli altri,è inutile parlare della Cina,la Russia,I”America ecc.Noi siamo l”Italia abbiamo la nostra storia,la nostra cultura e tradizione,noi siamo quel (made in Italy) che tutto il mondo ammira e apprezza.Certo siamo ostacolati da burocrazia e forte pressione fiscale,ma chi ha le palle !! riuscirà a stare a galla,mentre chi scappa è un perdente….

    • cristian

      Uno Stato non dev’essere come un’azienda. Uno Stato non deve farsi concorrenza con un altro… ma che fesseria è questa? Uno Stato deve garantire protezione e benessere per tutta la comunità. stop! Che ci pensino le Aziende a farsi concorrenza.
      Gli “Stati-Azienda” li abbiamo sotto gli occhi tutt’oggi nella zona Euro, dove 17 Governi sono stati derubati della loro moneta. Tutti e 17 a fare la gara per vedere chi è più bravo ed efficiente… una sfida alla competitività, dove i lavoratori sono quelli che ne subiscono le conseguenze.
      La chiave di tutto non sta nello Stato ladro, nella burocrazia ecc… ma nella moneta! L’Italia non ha più una sua moneta, ed ha perso quindi una sovranità monetaria, economica e parlamentare (grazie al trattato di Lisbona). Se non si prende in considerazione tutto ciò, non ha senso parlarne.

    • Parla come Mangi

      Lo stato deve come un’aziendaaaaa????????
      Eh si e magari i cittadini sono i suoi diprendenti???
      Ma per favore, non ci risolleveremo mai, non c’è speranza.
      Ha questo punto credo che sia avvenuta una INVOLUZIONE!

  • Parla come Mangi

    …É sotto gli occhi di tutti come la Cina, liberata da quel severo statalismo che la attanagliava, in venti anni sia passata da paese misero a paese prospero e con un futuro. Si pensi anche allo sviluppo che Putin ha saputo imprimere alla Russia….
    Perchè la cina di adesso con gli operai che lavorano 18 ore al giorno (per pochi spiccioli) con la brandina a fianco la loro postazione sarebbero i risultato positivi dell’abbattimento dello statalismo? Questo sarebbe il futuro che avanza con una censura asfissiante? La russia? Quella che ha i bambini che vivono nelle fogne, dove si condannano i ragazzi a decine di anni di carcere per il semplice fatto di prendere in giro i prelati?
    Oppure bombardare il proprio territorio (Cecenia) perchè rivendica la propria indipendenza?
    Per carità, mi sembra che siamo ancora molto lontani dall’avere un’idea chiara su cosa si intenda per futuro e prosperità di una nazione che non sia riconducibile al benessere di una ristretta cerchia di persone.

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